Il mancato rispetto datoriale degli obblighi informativi costituisce condotta antisindacale

Paolo Patrizio
26 Luglio 2023

È antisindacale la condotta del datore di lavoro che omette di adempiere all'obbligo di comunicare alle OO.SS. le informazioni di cui all'art. 26, d.l. n. 48/2023 convertito in l. n. 85/2023 (e già previsti dall'art. 1-bis del d.lgs. n. 1526/1997, come novellato dal d.lgs. n. 104/2022), in relazione all'utilizzo di sistemi integralmente automatizzati e non coperti da segreto industriale e commerciale. La legittimazione attiva nel procedimento di repressione della condotta antisindacale ex art. 28 St. Lav. spetta agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse e la competenza territoriale a decidere della vicenda appartiene al Giudice del luogo di commissione del comportamento denunciato e non già a quello del luogo in cui tale comportamento è stato deliberato.
Massime

[…] l'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori definisce la condotta antisindacale in modo teleologico e non analitico. In altri termini qualifica antisindacale non una determinata condotta in base alle sue modalità esteriori, ma qualsiasi condotta diretta a un determinato risultato, diretta, cioè, a impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale, ovvero del diritto di sciopero. Di conseguenza qualsiasi condotta idonea a ledere i beni indicati deve essere considerata antisindacale: e pertanto non soltanto le condotte dirette esclusivamente a ostacolare l'attività sindacale, come l'impedire lo svolgimento di una assemblea sindacale o minacciare sanzioni disciplinari a coloro che avessero scioperato, ma anche condotte che, legittime in astratto, potrebbero in concreto essere idonee oggettivamente a limitare o a impedire la libertà sindacale […].

Il caso

La fattispecie in commento trae origine dal ricorso ex art. 28 St. Lav., depositato in data 28.04.2023 da alcune organizzazioni sindacali che lamentavano l'antisindacalità della condotta posta in essere dalla società datrice di lavoro e consistente nel diniego della comunicazione delle informazioni previste dal d.lgs. n. 104/2022, così come richieste dalle OO.SS.

Costituitasi in giudizio la Società datrice di lavoro contestava l'avversa ricostruzione e pretesa, eccependo, da un lato, l'incompetenza per territorio del giudice adito in favore del Tribunale di Milano e sostenendo, dall'altro, l'inapplicabilità dell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori al lavoro autonomo (e in ogni caso, anche al lavoro etero-organizzato), in uno alla carenza di legittimazione passiva (per assenza in capo alle ricorrenti del requisito di comparata maggiore rappresentatività previsto dal d.lgs. n. 152/1997) nonché la mancanza dei presupposti sostanziali idonei a fondare l'applicabilità dell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

Nel merito, la Società deduceva l'infondatezza delle avanzate richieste, avendo la datrice nelle more adempiuto agli obblighi informativi che su di essa incombevano (mediante invio alle OO.SS di alcune informazioni limitate a quelle ritenute dovute per legge) ed evidenziava, in ogni caso, l'esclusione dell'esistenza di obblighi informativi in relazione ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale, oltre che ai sistemi non integralmente automatizzati, così invocando il rigetto del ricorso, con richiesta di sollevamento finanche di questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-bis, d.lgs. n. 152/1997 per violazione dell'art. 76 Cost.

La questione

La questione in esame involge il profilo dell'azionabilità dello strumento rimediale sancito dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro, che omette di comunicare alle OO.SS richiedenti le informazioni in relazione all'utilizzo di sistemi integralmente automatizzati e non coperti da segreto industriale e commerciale.

La soluzione giuridica

Nel dirimere il caso posto alla propria attenzione, l'Autorità Giudiziaria adita prende le mosse dalla sollevata eccezione di incompetenza territoriale, disponendone in prima battuta l'integrale rigetto.

Evidenzia, sul punto, l'estensore della pronuncia in commento come, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente nel procedimento di repressione della condotta antisindacale, deve aversi riguardo non tanto al luogo in cui il comportamento denunciato è stato deliberato, quanto al luogo in cui si producono gli effetti di limitazione della libertà ed attività sindacale, e, quindi, viene leso il diritto delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori al corretto svolgimento delle prerogative sindacali ad esse riconosciute dalla legge e dall'autonomia collettiva.

Posto, dunque, come, nel caso di specie, l'obbligo di informazione doveva essere soddisfatto nei confronti delle rappresentanze sindacali costituite presso l'unità produttiva interessata (sita nel circondario del Tribunale adito) e che l'omissione di tale obbligo costituiva (e realizzava) il comportamento denunciato di insindacabilità, ne discende l'infondatezza della rilevata eccezione di incompetenza territoriale sostenuta dalla datrice di lavoro.

In seconda battuta, il Tribunale di Palermo dispone il rigetto anche dell'eccezione di inapplicabilità dell'art. 28 Stat. Lav. ai rapporti di lavoro autonomo (oltre che alle collaborazioni coordinate e continuative), atteso che le prestazioni che i lavoratori interessati rendono in favore della società datrice di lavoro vanno qualificati, se non proprio come di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., almeno come di collaborazione ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015, con conseguente applicazione della normativa di riferimento ad essa compatibile, fra cui rientra certamente anche quella azionabile ex art. 28, Stat. Lav. e relativa all'attività sindacale e alla tutela contro le condotte antisindacali.

Quanto, poi, all'inammissibilità dell'azione ex art. 28 per l'omissione delle comunicazioni previste dalla legge, il Giudice di prime cure osserva come, al fine di ritenere antisindacale una condotta, non sia necessario che essa si estrinsechi nel totale disconoscimento dell'esistenza e rappresentatività delle OO.SS. (circostanza che, peraltro, sembra comunque emergere nella fattispecie in esame, in considerazione dell'incartamento processuale), essendo al contrario sufficiente che venga violato un diritto attribuito dalla legge al sindacato, poiché la violazione in sé del medesimo è idonea a ledere il libero esercizio dell'attività sindacale.

Ebbene, fra le norme imperative dirette a tutelare l'attività e libertà sindacale rientrano certamente quelle che prevedono obblighi di comunicazione e informazione, atteso che proprio l'omissione delle informazioni previste e richieste dal sindacato è presunta dalla legge come idonea a impedire all'organizzazione l'esercizio dell'attività sindacale, a causa della mancata conoscenza delle informazioni medesime e della conseguente impossibilità di interloquire in modo idoneo sia con i lavoratori che con i datori di lavoro.

Né può essere accolta la tesi della società datrice, secondo la quale l'intenzionalità del comportamento antisindacale del datore di lavoro, mentre è irrilevante nel caso di condotta contrastante con norme imperative, assume rilievo per qualificare come antisindacale una condotta che, lecita nella sua obiettività, presenti i caratteri dell'abuso del diritto.

Osta, invero, a tale conclusione il pacifico orientamento giurisprudenziale per cui qualsiasi condotta idonea a ledere i beni tutelati dalla normativa di protezione deve essere considerata antisindacale, dovendosi ritenere che il comportamento datoriale rilevi in quanto "obiettivamente" idoneo ad impedire o a limitare la libertà sindacale o il diritto di sciopero, a prescindere dall'intento della datrice di lavoro e dall'indagine in merito alla volontà o meno di perseguire uno scopo antisindacale.

Venendo alle eccezioni di carenza di legittimazione passiva e attiva delle organizzazioni sindacali ricorrenti, il Tribunale ne rileva sia il difetto di corretto sollevamento giudiziale ad opera della società datrice di lavoro sia, in ogni caso l'infondatezza nel merito.

Evidenzia, infatti, il Giudicante come risulti provato ed incontestato che le OO.SS. ricorrenti sono organismi locali di organizzazioni sindacali nazionali e come il loro interesse alla pronuncia si desuma dal fatto che l'art. 28 dello Statuto dei lavoratori attribuisce la legittimazione attiva nel procedimento di repressione della condotta antisindacale agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, sul presupposto per cui l'interesse ad agire delle associazioni sindacali non deve essere limitato ai soli casi in cui il sindacato agisca per la tutela dei diritti sindacali dei propri membri, bensì esteso a tutti i casi in cui lo stesso agisca per la libertà di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati.

Ancora nel merito, il Tribunale respinge anche l'ulteriore deduzione della Società datrice di lavoro, che aveva contestato, in ogni caso, l'insussistenza dei presupposti che rendono obbligatoria l'informativa invocata dalle OO.SS. ricorrenti, eccependo in particolare che le informazioni richieste sarebbero coperte da segreto commerciale e che il sistema in relazione alle quali sono richieste non è un sistema integralmente automatizzato, requisiti la cui necessità deriverebbe dall'applicazione del d.l. 4 maggio 2023, n. 48.

Ebbene, al riguardo il Giudicante osserva come dalla documentazione in atti e dalle deduzioni delle parti risulta che, a fronte di una espressa richiesta di rilascio delle informazioni da parte delle organizzazioni sindacali ricorrenti, la resistente abbia tenuto una duplice condotta, in ambo i casi censurabile per acclarata antisindacalità.

Ed invero, quantomeno sino alla notifica del ricorso ex art. 28 Stat. Lav., la datrice di lavoro è rimasta del tutto silente, omettendo qualsivoglia riscontro alla richiesta di ostensione informativa avanzata dalle organizzazioni sindacali.

Tale comportamento, attesa la sussistenza del corrispondente obbligo giuridico, va valutato alla stregua di formale rifiuto, da cui la certa rilevanza, per tale primo frangente temporale, della natura senz'altro antisindacale della condotta datoriale, in quanto idonea ex sé ad impedire alle OO.SS. l'esercizio dell'attività sindacale a causa della mancata conoscenza delle informazioni medesime e della conseguente impossibilità di interlocuzione nel merito.

Successivamente al deposito del ricorso ex art. 28 St. Lav., invece, sono sopraggiunti due fatti nuovi, rappresentati dall'entrata in vigore del d.l. n. 48/2023 (avvenuta il 5 maggio 2023) e dalla comunicazione datoriale nei confronti delle organizzazioni sindacali ricorrenti di alcune informazioni (inviate con pec del 15.05.2023 e, pur tuttavia, subito contestate come non esaustive dell'obbligo imposto dalla normativa di riferimento).

Ebbene, in relazione a tali circostante il Tribunale di Palermo ha evidenziato come le informazioni fornite dalla resistente alle OO.SS. ricorrenti dopo la notifica del ricorso fossero in ogni caso insufficienti a soddisfare gli obblighi previsti dagli artt. 1 e 1-bis introdotti dal d.lgs. n. 104/2022 e ribaditi dal d.l. n. 48/2023.

Ed invero, per l'estensore, il d.l. n. 48/2023, all'art. 26, ha inteso imporre un dovere di ostensione datoriale, in favore dei lavoratori e delle loro formazioni sindacali, in riferimento alle informazioni relative ai sistemi di decisione e monitoraggio "integralmente" automatizzati, cioè quelli che non prevedono alcun intervento umano nella fase finale del processo decisionale o di monitoraggio (sempre che tale sistema non sia coperto da segreto industriale o commerciale).

Senonché, in giudizio è stato dimostrato che i sistemi automatizzati utilizzati dalla resistente sono integralmente automatizzati, atteso che in essi l'intervento umano (peraltro solo dedotto dalla datrice) comunque non interverrebbe nella fase finale, bensì eventualmente solo in quella dell'inserimento dei dati o dell'attivazione del sistema medesimo, in cui la successiva elaborazione e trattamento dei dati ed eventuale decisione finale sono affidati integralmente ad automatismi algoritmici o informatici.

Deve, quindi, essere dichiarata, l'antisindacalità della condotta tenuta dalla datrice di lavoro anche nel periodo successivo alla notifica del ricorso, avendo la stessa omesso di adempiere alla condotta obbligatoria di comunicare alle OO.SS. ricorrenti le informazioni di cui all'art. 1-bis, d.lgs. n. 1526/1997, come novellato dal d.lgs. n. 104/2022, siccome inerenti a sistemi integralmente automatizzati e non coperti da segreto industriale e commerciale.

Né accoglimento alcuno potrebbe essere riservato alla sollevata questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 104/2022, siccome manifestamente infondata, oltre che irrilevante.

Ed invero, per un verso, la previsione degli obblighi informativi in relazione ai sistemi automatizzati di cui all'art. 1-bis del d.lgs. n. 104/2022 non viola la delega di attuazione della Direttiva UE 2019/1152, la quale, nello stabilire gli obblighi informativi dei datori in favore dei lavoratori e dei sindacati di riferimento su tutti gli elementi del rapporto di lavoro, prevede espressamente che gli Stati membri possano stabilire condizioni di miglior favore.

Per altro verso ed in ogni caso, la questione relativa al lamentato eccesso di delega del d.lgs. n. 104/2022, in relazione all'introduzione dell'art. 1-bis cit. appare irrilevante, essendo stata detta normativa superata dalla previsione dell'art. 26, d.l. n. 48/2023, che ha disposto quegli stessi obblighi informativi per i sistemi integralmente automatizzati e che, alla data di pubblicazione della sentenza in commento, trovava applicazione ed immediata efficacia, nelle more del termine di 60 giorni per la conversione in legge.

In particolare, quindi, la questione, oltre che manifestamente infondata per quanto detto, deve ritenersi irrilevante, dapprima perché la società, sino alla notifica del ricorso, non ha fornito alcuna informazione alle OO.SS. ricorrenti, neppure quelle testualmente previste dalla Direttiva, successivamente perché gli obblighi informativi relativi ai sistemi, come quelli utilizzati dalla resistente, integralmente automatizzati (nel senso sopra detto) sono stati ribaditi con il d.l. n. 48/2023, non soggetto ad alcuna limitazione contenuta nell'originaria legge delega o nella Direttiva da recepire.

In conclusione, quindi, l'obbligo della resistente di fornire le informazioni previste dal citato art. 1-bis, introdotto dal d.lgs. n. 104/2022, alle OO.SS. ricorrenti permane anche dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 48/2023.

Il Tribunale di Palermo, quindi, in accoglimento del ricorso presentato dalle organizzazioni sindacali, ha dichiarato antisindacale la condotta tenuta dalla Società datrice, ordinando di comunicare le informazioni richieste dalle OO.SS ricorrenti, con fissazione della somma giornaliera da versare alle stesse in ipotesi di inadempimento datoriale all'obbligo informativo e con condanna della datrice di lavoro al pagamento delle spese e competenze di lite.

Osservazioni

La questione affrontata dall'Autorità giudiziaria siciliana affonda le proprie radici nell'istituto dell'art. 28 Stat. Lav., una norma dal carattere pluriforme e non certamente meramente processuale, siccome di fatto posta a presidio di tutela di una serie di beni e valori aventi rilevanza costituzionale, tra cui, a pieno titolo, rientrano le libertà ed i diritti connessi all'azione sindacale, latu senso intesa.

Siamo, infatti, nel campo di una classica ipotesi applicativa del criterio ermeneutico di interpretazione della legge ordinaria secondo i principi costituzionali, specie se si considera come le condotte che la norma mira a reprimere si traducono in fattispecie di valenza plurioffensiva, essendo i beni tutelati appartenenti non solo all'organizzazione sindacale che può attivarne la difesa, ma anche ai singoli lavoratori coinvolti nella vicenda, tanto da meritare il conio qualificatorio di diritti individuali ad esercizio collettivo.

L'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, del resto, definisce la condotta antisindacale in modo teleologico e non analitico, in quanto per ritenere antisindacale un determinato comportamento non è necessario che lo stesso si estrinsechi nel totale disconoscimento dell'esistenza e rappresentatività delle OO.SS. (circostanza che, nel caso di specie, sembra comunque ricorrere), essendo, al contrario, sufficiente che venga violato un diritto attribuito dalla legge al sindacato, poiché la violazione in sé del medesimo è idonea a ledere il libero esercizio dell'attività sindacale.

Ne discende una vera e propria cristallizzazione “aperta” della fattispecie ricondotta alla tutela dell'art. 28, l. n. 300/1970, posto che qualsiasi condotta idonea a ledere, impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale viene ad essere considerata antisindacale, con estensione operativa dell'efficacia normativa di protezione non solo nei confronti di quei comportamenti diretti in modo evidente a violare le prerogative sindacali (come ad esempio l'impedire lo svolgimento di un'assemblea sindacale), ma anche a condotte che, legittime in astratto, potrebbero in concreto essere idonee oggettivamente a limitare o a impedire la libertà sindacale.

Così, ad esempio, il trasferimento di un lavoratore da un reparto a un altro, nell'ambito della stessa unità produttiva, è un atto legittimo, che potrebbe essere adottato da un imprenditore anche nei confronti di un rappresentante sindacale, senza il nulla osta dell'associazione sindacale di appartenenza. Qualora, tuttavia, il trasferimento assuma carattere apertamente discriminatorio e persecutorio nei confronti dell'attività sindacale del lavoratore, a causa delle particolari modalità di tempo e di luogo ovvero per la sua reiterazione, deve ritenersi che la condotta dei datore di lavoro sia antisindacale, siccome idonea ad impedire o limitare la libertà sindacale o il diritto di sciopero e ciò, si badi, anche quando il datore di lavoro non aveva inteso perseguire uno scopo antisindacale, venendo in rilievo unico ed assorbente il dato oggettivo rispetto a quello soggettivo.

Entriamo, quindi, nel campo della irrilevanza sostanziale del requisito della intenzionalità del comportamento antisindacale del datore di lavoro, posto che, ai fini della configurabilità di una condotta di tal specie, la sussistenza o meno di un intento del datore di lavoro di ledere i diritti sindacali non è né necessaria né sufficiente.

Ed invero, la volontà datoriale non è, anzitutto, necessaria, perché un errore di valutazione del datore di lavoro, che magari non si è reso conto della portata causale della sua condotta, non fa venir meno l'esigenza di una tutela della libertà sindacale e della inibizione dell'attività oggettivamente lesiva di tale libertà.

In tal senso, infatti, l'esistenza di un elemento intenzionale risulterebbe certamente irrilevante nelle condotte previste espressamente dalla legge come antisindacali, ossia in tutte quelle condotte del datore di lavoro che contrastano con norme imperative destinate a tutelare, in via diretta e immediata, l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale.

Pensiamo ad esempio al caso di disconoscimento dei permessi previsti dagli artt. 23 e 24 dello Statuto dei Lavoratori o al diniego del datore di lavoro di consentire lo svolgimento dell'assemblea sindacale ai sensi dell'art. 20 dello Statuto dei Lavoratori, ipotesi in cui l'analisi circa l'elemento psicologico e volitivo datoriale diventa del tutto inutile, rappresentando tali condotte delle violazioni oggettive delle libertà di riferimento.

In seconda battuta, il medesimo profilo soggettivo non appare, altresì, sufficiente, in quanto l'intento del datore di lavoro non potrebbe far assurgere alla qualifica di antisindacalità un'attività che non appare obiettivamente diretta a limitare la libertà sindacale, anche qualora posta in essere con tale intenzionalità da parte del datore di lavoro.

Ciò premesso, al di là delle opportune argomentazioni di rigetto delle eccezioni preliminari di incompetenza territoriale e carenza di legittimazione attiva e passiva delle organizzazioni sindacali intervenute, due passaggi deduttivi inseriti nella pronuncia in commento meritano particolare attenzione, siccome forieri di una serie di considerazioni di corredo senz'altro significative.

Viene così in rilievo, in primo luogo, il profilo inerente all'estensione applicativa della tutela d'urgenza propria dell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, anche nei confronti dei rapporti di collaborazione.

Ed invero, la contestazione in parola, così come sollevata dalla datrice di lavoro resistente, si articola sul dato semantico riguardante l'espresso richiamo alla figura del “datore di lavoro” nel dettato del citato art. 28, il che porterebbe ad escludere l'operata estensione applicativa alle forme di collaborazione di cui all'art. 2, d.lgs. n. 81/2015, nelle quali, è pacifico, la controparte del prestatore non è denominata datore di lavoro, in nome, peraltro, di un'operatività circoscritta alle sole norme sostanziali in materia di lavoro subordinato, con esclusione di quelle processuali, quali l'art. 28 Stat. Lav.

Tale delimitazione, tuttavia, creerebbe delle distorsioni e distonie nel sistema, in uno ad una forte limitazione delle effettive possibilità di tutela.

È, infatti, principio giurisprudenziale acquisito quello secondo cui l' art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 ha riconosciuto alle collaborazioni organizzate dal committente una protezione equivalente a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato, compresi i diritti affermati nello Statuto dei Lavoratori e senza alcuna esclusione esplicita della normativa processuale.

Il richiamo alla figura del “datore di lavoro” utilizzato nell'art. 28 Stat. Lav., dunque, necessita di essere interpretato alla luce della innovazione legislativa introdotta dal disposto del menzionato d.lgs. n. 81/2015, che sancisce la piena acquisizione del committente, nelle collaborazioni da lui organizzate, di tutti gli obblighi che il datore di lavoro ha nei confronti del lavoratore subordinato.

D'altro canto, la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare come al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall' art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, la legge ricolleghi imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione, non contenendo peraltro la norma alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici.

A ciò aggiungasi, come evidenziato nell'incipit delle considerazioni di chiusura, come l'art. 28 Stat. Lav. sia norma dal carattere pluriforme e non certamente meramente processuale, siccome di fatto posta a presidio di tutela di una serie di beni e valori aventi rilevanza costituzionale, tra cui, a pieno titolo, rientrano le libertà ed i diritti connessi all'azione sindacale, latu senso intesa.

Passando, invece, al secondo profilo di particolare interesse sollevato dalla pronuncia in commento, l'attenzione cade sul fondamento della contestazione inerente all'insussistenza dei presupposti che rendono obbligatoria l'ostensione alle OO.SS. delle informazioni richieste, con particolare riferimento alle previsioni introdotte dal d.l., 4 maggio 2023, n. 48 ed all'attuale permanenza dell'obbligo.

Ebbene, viene al riguardo in rilievo l'art. 1 bis, introdotto dall'art. 4, d.lgs. n. 104/2022, che prevedeva come il datore di lavoro o il committente pubblico e privato fossero tenuti ad informare il lavoratore dell'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.

Senonché, il d.l. n. 48/2023, nell'art. 26 dedicato alle “Semplificazioni in materia di informazioni e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro”, ha sancito la modifica dell'art. 1-bis, d.lgs. 26 maggio 1997, n. 152, mediante sostituzione del comma 1 con la previsione per cui “Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto a informare il lavoratore dell'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall'art. 4, l. 20 maggio 1970, n. 300."; b) il comma 8 è sostituito dal seguente: "8. Gli obblighi informativi di cui al presente articolo non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale".

Viene, pertanto, in rilievo l'esigenza di analizzare la portata sostanziale della norma, in riferimento anche alle previsioni della disciplina euro unitaria che il d.lgs. n. 104/2022 doveva attuare, oltre che a quelle del GDPR, nonché della Direttiva UE 2016/493 relativa alla protezione del segreto commerciale.

Ebbene, un primo addentellato interpretativo va individuato nelle indicazioni fornite dall'Autorità Garante della Privacy, che ha evidenziato come tra le informazioni che il datore di lavoro (soggetto ai nuovi obblighi informativi e sempre titolare del trattamento) deve fornire al lavoratore interessato, rientrano: - gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l'utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati; - il funzionamento dei sistemi; - i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni; - le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di correzione e il responsabile del sistema di gestione della qualità; - il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati e le metriche utilizzate per misurare tali parametri, nonché gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse.

Tali obblighi informativi, dunque, non sostituiscono quelli già previsti dal General data protection regulation (GDPR) che confluiscono, ex artt. 13 e 14 GDPR, nell'informativa sul trattamento dei dati personali nella gestione del rapporto di lavoro, ma si aggiungono ad essi, non senza dimenticare tre considerazioni fondamentali, ovvero come: (i) tali obblighi, la cui inosservanza è peraltro gravemente sanzionata, si applichino a tutti i sistemi automatizzati e non solo a quelli "integralmente automatizzati"; (ii) nei confronti dal Garante non possa essere opposto il segreto sugli elementi che sono oggetto di comunicazione obbligatoria; (iii) la normativa sulla trasparenza nei confronti dei lavoratori (nonché delle RSU, RSA o associazioni sindacali maggiormente rappresentative) debbano essere coordinate con quelle del GDPR, cui il legislatore nazionale non può derogare, perché contenute in un Regolamento UE.

In tale contesto normativo a carattere nazionale e comunitario, l'art. 1bis introdotto dal d.lgs. n. 104/2022, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea, ha disposto che i datori di lavoro e i committenti pubblici e privati sono tenuti a informare il lavoratore dell'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori, che hanno, dunque, il diritto di conoscere se il datore utilizzi tecniche automatizzate o decisioni algoritmiche e simili e come tali tecniche funzionano, anche in termini di rischi per la sicurezza dei dati personali.

Ma il fulcro del ragionamento ruota attorno all'introduzione normativa disposta con l'avvento del d.l. n. 48/2023 e, più nel dettaglio, alla concreta portata dell'art. 26 sulle "Semplificazioni in materia di informazioni e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro".

In particolare, il quesito da delibare riguarda l'obiettivo sotteso alla previsione della richiamata novella legislativa, ovvero se la stessa abbia inteso meramente semplificare le modalità con le quali vanno rese le informazioni e non anche introdurre una modifica di ridimensionamento sostanziale di tali informazioni e obblighi, anche alla luce del citato Regolamento UE.

Ed invero, nell'ambito dei sistemi automatizzati il cui utilizzo è lecito all'interno dell'Unione Europea, l'art. 22 del citato Regolamento impone di fornire informazioni ai lavoratori in relazione a quelli che risultino integralmente automatizzati e, dunque, che non prevedono l'intervento umano contemporaneo o successivo rispetto alla decisione del sistema o al monitoraggio dei lavoratori, a prescindere da un eventuale intervento dell'uomo nelle fasi antecedenti, quale quella di mero inserimento di dati, comunque elaborati.

Ed è allora in tal senso che si coglie la portata previsionale dell'art. 26 d.l. n. 48/2023, intervenuto a precisare e circoscrivere il dettato della Direttiva UE attuata dalla norma del d.lgs. n. 104/2022 ed il Regolamento UE più sopra citato, disponendo che le pregnanti informazioni che vanno rilasciate ai lavoratori e alle loro formazioni sindacali sono quelle relative solo ai sistemi di decisione e monitoraggio "integralmente" automatizzati, cioè quelli che non prevedono alcun intervento umano nella fase finale del processo decisionale o di monitoraggio, sempre che tale sistema non sia coperto da segreto industriale o commerciale.

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