La retribuzione feriale e la sua quantificazione in ambito nazionale e comunitario

Barbara Mandelli
26 Luglio 2023

L'irrinunciabilità delle ferie è un diritto costituzionalmente garantito nell'ambito del potere datoriale previsto dalla legge (art. 36 Cost. ed art. 2109 c.c.). Sulla scorta di tale incontestabile premessa, il lavoratore ha diritto non solo a mantenere il suo stipendio di base durante il periodo feriale ma a conservare tutti gli emolumenti intrinsecamente connessi all'espletamento delle mansioni e a quelli collegati al proprio status personale e professionale. Tali principi di derivazione comunitaria aprono la strada ad una interpretazione che può condurre anche ad uno scostamento quantitativo tra retribuzione ordinaria e feriale, legate da un rapporto di paragonabilità piuttosto che di esatta identità. L'esigenza di fondo è la tutela del lavoratore che non abbia a patire, durante il periodo feriale, di una riduzione a tal punto sproporzionata del proprio trattamento retributivo da agevolare un effetto dissuasivo dell'effettiva fruizione del diritto.
Massima

È da escludere che vi possa essere un diritto alla assoluta parità della retribuzione percepita durante il periodo feriale rispetto a quella percepita durante l'attività lavorativa, sussistendo il diritto ad una retribuzione feriale che sia semmai paragonabile a quella ordinaria. Il che, se da un lato non esclude che anche le voci variabili della retribuzione possano essere prese in considerazione per comporre la retribuzione feriale, dall'altro comporta che non sia sufficiente accertare l'esistenza e la non occasionalità della corresponsione di certe voci incluse nella retribuzione ordinaria per farne derivare automaticamente il diritto alla loro percezione anche durante il periodo feriale.

Il caso

I lavoratori dipendenti di una società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. rivendicavano in giudizio differenze economiche rispetto alla retribuzione loro erogata nei giorni di ferie e ciò in ragione del mancato computo di talune indennità correlate alle mansioni di macchinisti.

Infatti, i ricorrenti, previa declaratoria di nullità dell'art. 25 del CCNL Settore Attività Ferroviarie del 16 aprile 2003, dell' art. 31 del CCNL della Mobilità - Area contrattuale Attività Ferroviarie del 20 luglio 2012 e dell' art. 30 del CCNL della Mobilità - Area contrattuale Attività Ferroviarie del 16 dicembre 2016, chiedevano al Giudice del Lavoro adito che, nella retribuzione feriale percepita, fossero ricomprese l'indennità di utilizzazione professionale variabile (IUP), il compenso per assenza dalla residenza e l'indennità di utilizzazione professionale giornaliera, calcolate sulla media dei compensi percepiti per tali titoli nei dodici mesi precedenti la fruizione di ciascun periodo di ferie.

Più nello specifico, le indennità richieste erano relative al riconoscimento di: Indennità di Condotta; Indennità di Utilizzazione Professionale/Riserva traghettamenti tradotte manovre; ulteriori Indennità Accessorie specifiche della figura; Indennità di Utilizzazione Professionale per la condotta diurna con secondo agente di macchina; Indennità di Utilizzazione Professionale per la condotta notturna con secondo agente di macchina; Indennità di Utilizzazione Professionale per la condotta diurna primo agente di macchina; Indennità di Utilizzazione Professionale per la condotta notturna primo agente di macchina; Indennità di Assenza dalla residenza di lavoro senza riposo Fuori Residenza; Indennità di Assenza dalla residenza di lavoro con riposo Fuori Residenza.

Il Giudice del Tribunale di Grosseto respingeva la richiesta e rigettava il ricorso presentato dai dipendenti.

La questione

Ci si chiede in che cosa consista il vigente obbligo di paragonabilità della retribuzione feriale rispetto a quella ordinaria, assolutamente differente dall'obbligo di identità tra i due emolumenti. Di conseguenza, è interesse conoscere la portata che hanno le indicazioni fornite dall'ordinamento comunitario in materia.

Le soluzioni giuridiche

In ambito comunitario, l'art. 7 della Direttiva dell'Unione Europea n. 2003/88/CE del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, stabilisce che: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali”.

Tale norma deve essere letta in coordinato disposto con l'art. 31, par. n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a mente del quale: “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.

Tali disposizioni sanciscono quindi il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite quale principio fondamentale del diritto sociale dell'Unione.

Stante il riportato quadro normativo, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha dapprima chiarito che l'espressione ferie annuali retribuite: “significa che, per la durata delle ferie annuali ai sensi della direttiva, la retribuzione va mantenuta. In altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo” (cfr. CGUE, 16 marzo 2006, n. 131, conf. CGUE, 20 gennaio 2009, n. 350).

Premesso ciò, viene subito in rilievo la sentenza Williams e altri/British Airways plc della CGUE, 15 settembre 2011, C-155/10, che ha preso in esame una vicenda similare a quella analizzata in questa sede. I piloti di linea British Airways, oltre ad un importo a titolo di ferie annuali basato sulla loro retribuzione, chiedevano, infatti, elementi variabili a seconda delle ore di volo maturate e del tempo trascorso fuori dalla base.

La CGUE si è espressa in senso parzialmente favorevole alla tesi dei piloti ed infatti: “L'art. 7 della Direttiva 2003/88 e l'art. 3 dell'accordo europeo devono essere interpretati nel senso che un pilota di linea, durante le sue ferie annuali, ha diritto non solo al mantenimento del suo stipendio di base, bensì anche, da un lato, a tutti gli elementi intrinsecamente connessi all'espletamento delle mansioni che gli incombono in forza del suo contratto di lavoro e che sono compensati tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della sua retribuzione complessiva e, dall'altro, a tutti gli elementi collegati allo status personale e professionale del pilota di linea. È compito del giudice nazionale valutare se i diversi elementi che compongono la retribuzione complessiva di tale lavoratore rispondano a detti criteri”.

Di conseguenza, qualsiasi “incomodo”, parafrasando la Corte, “intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore, come il tempo trascorso in volo per i piloti di linea, deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali.”.

In sintesi, anche le parti variabili devono essere ricomprese nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le ferie, ove si tratti di indennità che compensino qualsiasi incomodo collegato all'esecuzione delle mansioni (ad esempio, le indennità per il tempo trascorso in volo per i piloti di linea), oppure di indennità correlate allo status personale o professionale del lavoratore (ad esempio, le integrazioni collegate alla qualità di superiore gerarchico, all'anzianità ed alle qualifiche professionali).

Dal calcolo dell'importo, la Corte è arrivata ad escludere unicamente gli elementidella retribuzione complessiva del lavoratore diretti a coprire spese occasionali o accessorie, come, ad esempio, le spese connesse al tempo che i piloti sono costretti a trascorrere fuori dalla base.

Tutto ciò in virtù del principio che permette al lavoratore di fruire delle ferie e di ricoprire una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro. Pertanto, una diminuzione della retribuzione di un lavoratore in base alle sue ferie annuali retribuite, idonea a dissuaderlo dall'esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie, sarebbe in contrasto con l'obiettivo perseguito dal citato art. 7 della Direttiva.

Analogamente si è espressa la sentenza del 22 maggio 2014 (Lock c/ British Gas Trading Limited), ove pure la CGUE, in un caso di calcolo di retribuzione delle ferie di un consulente interno per le vendite di energia, ha avuto modo di chiarire che il lavoratore, nel corso del periodo di ferie, deve godere di condizioni economiche paragonabili” (dunque non identiche) a quelle di cui beneficia durante l'attività lavorativa ordinaria. In particolare, nella base di calcolo della retribuzione doveva essere inclusa anche la media delle provvigioni percepite dall'interessato durante un periodo rappresentativo di tempo.

Quanto fin qui esposto riguarda giustappunto l'ambito comunitario.

Per quanto riguarda il rapporto nazionale con il diritto unionale, la Suprema Corte di Cassazione (con sent. n. 13425/19), seppur abbia sancito che l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia ha efficacia ultra partes sicché alle sentenze dalla stessa rese va attribuito “il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes, nell'ambito della comunità (cfr. Cass., n.22577 del 2012 e giurisprudenza ivi richiamata)”, purtuttavia ha specificato che il dictum del giudice europeo debba necessariamente essere calato nel contesto del caso nazionale specifico in cui esso matura e poi adeguato alla normativa interna di ogni singolo Stato.

Tanto vale anche con precipuo riferimento alla questione qui di interesse della “retribuzione ordinaria” e dell'inclusione delle “voci variabili” nelle ferie annuali retribuite.

In ambito nazionale, il principio delle ferie retribuite ha trovato precedente riconoscimento nell'art. 2109 c.c. e successiva consacrazione costituzionale nell'art. 36, comma 3, secondo cui “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi”.

In virtù della detta normativa, i lavoratori dipendenti hanno un diritto irrinunciabile ad un periodo annuale di ferie retribuite. Le singole voci e i criteri di computo del compenso da corrispondere durante il periodo feriale obbligatorio sono stati poi affidati alla sintesi delle relazioni sindacali e ciò al fine di armonizzare, caso per caso, la disciplina dei singoli settori.

Sulle ferie del personale navigante, la Corte di Cassazione, con la pronuncia del 23 giugno 2022, n. 20216, ha stabilito che deve essere assicurata: “una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l'attività lavorativa”.

Sulla scorta delle dette precisazioni nazionali, rimane la questione dell'apprezzamento dell'eventuale scostamento tra la retribuzione ordinaria e quella feriale, che alla prima deve essere legata da rapporto di paragonabilità e non di identità. È opportuno ricordare come in presenza di una retribuzione composta da una parte fissa e una variabile, nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le giornate di ferie, le voci variabili devono essere prese in considerazione solo laddove sussista un rapporto di funzionalità con le mansioni ed esse compensino un “incomodo” ovvero siano correlate allo status personale o professionale del lavoratore.

In altri termini, l'emolumento aggiuntivo invocato ai fini del computo nel periodo feriale deve essere ordinariamente corrisposto e intrinsecamente collegato alle mansioni svolte.

Per contro, una voce non connessa alle ordinarie modalità della prestazione oppure attribuita in maniera saltuaria o eventuale non può essere riconosciuta e non può, a prescindere dalla sua entità, produrre alcun effetto dissuasivo dal godimento delle ferie.

Ed è in virtù di tutte le superiori considerazioni che il Giudice del Tribunale di Grosseto, con la sentenza in esame, ha deciso respingendo il ricorso dei lavoratori, atteso che gli elementi ordinari della retribuzione, connessi alla natura delle mansioni svolte e al disagio derivante dal relativo espletamento, sono stati regolarmente corrisposti in base ai parametri sanciti dalla contrattazione collettiva di settore che ha individuato voci comprese nella retribuzione feriale che vanno oltre la mera paga base.

In particolare, il Giudice ha considerato elementi della retribuzione a) il minimo contrattuale; b) gli aumenti periodici di anzianità̀; c) gli assegni ad personam pensionabili (art. 30, comma 6, CCNL Mobilità – Area contrattuale attività ferroviarie del 16 dicembre 2016). Oltre a: a) la tredicesima mensilità; b) la quattordicesima mensilità; c) l'indennità di funzione Quadri; d) il salario professionale; e) il premio di risultato; f) il compenso per lavoro straordinario; g) l'indennità per lavoro notturno; h) l'indennità per lavoro domenicale; i) l'indennità per lavoro festivo; j) la trasferta e gli altri trattamenti per attività fuori sede; k) l'indennità di trasferimento; l) i compensi per reperibilità e disponibilità; m) l'indennità di maneggio denaro; n) l'indennità di turno; o) l'indennità per lavorazioni in condizioni disagiate; p) le indennità diverse.

I ricorrenti, tutti macchinisti, hanno quindi correttamente percepito nel periodo feriale, oltre agli elementi sopra riportati, anche il salario professionale (“Ai lavoratori compete il salario professionale in ragione della funzionalità produttiva propria delle differenti figure professionali e, ove previsto, in relazione alle caratteristiche ed al grado di complessità del processo lavorativo” art. 72, CCNL Mobilità – Area contrattuale attività ferroviarie del 16.12.2016), l'indennità di turno, a compensazione dell'attività svolte in via ordinaria e non occasionale in relazione alle modalità specifiche dell'incomodo rappresentate per il lavoratore dal concreto avvicendamento dei turni (art. 81, comma 2, CCNL Mobilità – Area contrattuale attività ferroviarie del 16.12.2016) e l'indennità di utilizzazione professionale giornaliera nella misura fissa. Per quanto riguarda quest'ultima voce, ricorda il Giudice, la stessa venne introdotta con il CCNL 1990 – 1991 ed era originariamente composta da una parte fissa, una parte variabile e da una IUP “media di impianto” e che poi venne nuovamente disciplinata dalla contrattazione collettiva successiva (accordo di confluenza 2003 e CCNL 2012), che determinò (i) la soppressione della IUP fissa con il suo assorbimento nel salario di produttività (corrisposto anche nelle giornate di ferie; art. 30 CCNL 2012) e (ii) il superamento della IUP “media di impianto” con la sua sostituzione con la IUP giornaliera (art. 34 accordo di confluenza del 2003) che viene corrisposta “nelle giornate di presenza in servizio in riserva, in disponibilità non attiva, in attività di traghettamento (ivi compreso il servizio di tradotta e manovra), per la partecipazione a corsi disposti dall'azienda per la formazione/aggiornamento professionale e per il conseguimento delle abilitazioni”, nonché quale compenso per la fruizione delle ferie (vd. art. 31.5 contratti aziendali 2012 e 2016).

Invece, quanto al compenso per assenza dalla residenza, esso ha natura indennitaria e non retributiva essendo finalizzato a tenere il lavoratore esente dalle spese che potrebbe sopportare in virtù della prestazione lavorativa in luogo distante dalla sede di assegnazione ed è, peraltro, subordinato alla durata dell'assenza (si veda l' art. 77, punti 2.3 e 2.4, CCNL 2012 e 2016). Legittimamente tale indennità rimane esclusa dal calcolo della retribuzione feriale proprio in ragione della sua peculiare natura e in forza dei medesimi principi enunciati dalla CGUE.

Infine, sul piano della valutazione concreta della potenziale dissuasività, gli elementi “variabili” della retribuzione richiesti dai ricorrenti presentano un'incidenza che non determina una retribuzione “di molto inferiore”, rispetto a quella percepita durante i giorni di servizio, al punto tale da avere un effetto dissuasivo sulla fruizione delle ferie.

Osservazioni

Nelle norme di diritto europeo non si rinviene una nozione onnicomprensiva di retribuzione ai fini delle ferie. Semmai, la Corte di Giustizia ritiene che il lavoratore in ferie debba percepire una retribuzione paragonabile a quella del periodo ordinario di lavoro, pur non dovendo essere necessariamente identica.

Il nostro ordinamento interno, sulla scorta di tale impostazione, non contempla anch'esso un principio generale di onnicomprensività della retribuzione e di necessaria coincidenza tra retribuzione delle ferie e retribuzione in servizio, prediligendo, invece, un ben più concreto criterio di paragonabilità e non dissuasività delle ferie.

Sul punto, utilizzando le parole della Suprema Corte di Cassazione: “(…) deve sottolinearsi che l'art. 7, Direttiva 2003/88/CE, secondo l'interpretazione adottata dalla Corte di Giustizia, non individua un concetto di retribuzione per ferie europea di tipo "quantitativo", ma delinea un concetto di retribuzione per ferie europea sotto un profilo "teleologico", nel senso che essa deve essere tale da non indurre il lavoratore ad optare per una rinuncia alle ferie al fine di non essere pregiudicato nei suoi diritti.” (Cass., 23 giugno 2022, n. 20216).

E così che l'indagine e la valutazione sulle singole voci viene lasciata al Giudice del singolo Stato membro, considerando che: “la normativa dell'Unione Europea non si è spinta a definire una nozione armonizzata di retribuzione imponendo l'integrale corresponsione di essa nel periodo feriale, così violando la competenza in ambiti riservati alla potestà normativa degli Stati membri, ma si è limitata ad indicare l'osservanza di un risultato il cui esito deve essere valutato in concreto, avendo riguardo alla specificità̀ dei singoli ordinamenti nazionali, con gli strumenti legislativi che ogni Stato abbia adottato e con riferimento alla particolarità̀ della componente retributiva di cui si chiede l'inclusione, dal giudice nazionale” (Cass., 23 giugno 2022, n. 20216).

Di conseguenza, il lavoratore, per vedersi riconosciute in giudizio le proprie pretese, dovrebbe dimostrare non solo che le voci variabili richieste costituiscano elementi retributivi intrinsecamente connessi alla natura delle mansioni svolte o correlati allo status personale o professionale assunto, ma, anche, che:

(i) tali voci non siano già state considerate dalle parti sociali nel calcolo della retribuzione feriale;

(ii) il trattamento complessivo reso durante le ferie non sia paragonabile a quello per la giornata ordinaria dando luogo in concreto ad un effetto dissuasivo della fruizione delle ferie.

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