IVA all'importazione: alle Sezioni Unite la legittimità della confisca per il contrabbando semplice “depenalizzato”
01 Agosto 2023
Con il citato decreto legislativo, infatti, in attuazione dell'art. 1, il legislatore ha depenalizzato i reati puniti con la sola pena pecuniaria della multa e dell'ammenda e, tra questi, i reati di contrabbando c.d. “semplice”, da accordare in chiave sistematica con le seguenti norme:
La fattispecie sub iudice
Il Collegio ritiene decisiva la ricostruzione della fattispecie tributaria oggetto del giudizio. Nel corso di un controllo in aeroporto, l'Ufficio Doganale sequestra un'opera d'arte in relazione all'omissione della dovuta dichiarazione e alla sottrazione al pagamento dei diritti di confine e dell'IVA all'importazione. Il contribuente provvede al pagamento dell'IVA all'importazione e delle relative sanzioni amministrative. All'esito del correlato procedimento penale il contribuente viene assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato in seguito alla depenalizzazione intervenuta in forza dell'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 8/2016. Ricevuti gli atti, l'Ufficio delle Dogane prima sequestra in via amministrativa l'opera d'arte in relazione all'illecito di cui agli artt. 282 e 301-bis T.U. Doganale e poi emette un provvedimento di confisca ai sensi degli artt. 301 e 295-bis, comma 3, T.U. Doganale. Il contribuente impugna tale ultimo atto.
La disciplina applicabile
Il Collegio ritiene rilevante la disamina della disciplina applicabile al caso de quo, vale a dire:
I principi europei in materia di dazi doganali sono stati recapiti con la modifica dell'art. 295 T.U. Doganale e con l'introduzione dell'295-bis T.U. Doganale, che ha rimodulato il quadro sanzionatorio doganale depenalizzando i casi di contrabbando per importi inferiori a 4.000,00 euro e prevedendo la pena della reclusione sino a 3 anni, oltre alla multa, per il contrabbando di importi superiori a 50.000,00 euro.
L'art. 301 T.U. Doganale ha disciplinato la confisca penale doganale, che, a differenza della confisca regolata dall'art. 240 c.p., contempla l'obbligatorietà della confisca anche delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto ed il profitto: si tratta di «una misura di sicurezza patrimoniale più ampia della confisca ordinaria regolata dall'art. 240 c.p. e particolarmente afflittiva, poiché, in ragione della necessità di una più rigorosa repressione delle violazioni delle leggi tributarie in ragione dei beni giuridici tutelati di rilevanza anche unionale, estende la presunzione di pericolosità sottostante alla misura di sicurezza reale anche nei confronti delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto ed il profitto».
L'art. 334 T.U. Doganale prevede una causa di estinzione del delitto di contrabbando punito con la sola multa in relazione al pagamento del tributo e di una somma non inferiore al doppio e non superiore al decuplo del tributo stesso, ma non impedisce l'applicazione della confisca con provvedimento dell'amministrazione doganale. Nel caso sub iudice, invece, «non viene in rilievo una causa di estinzione del reato, che incide sulla materialità del fatto, ma una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ovvero il fatto è avvenuto ed è stato commesso dall'imputato, ma è assente uno degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice».
Quanto alla posizione espressa nella relazione dell'Ufficio del Massimario n. III/01/2016, del 2 febbraio 2016 (secondo cui «Nel silenzio della delega, il legislatore delegato ha ritenuto di non comminare sanzioni accessorie per gli illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione c.d. “cieca”, nella dichiarata difficoltà di formulare, sia sul piano redazionale che di compatibilità con i limiti derivanti dalla delega, una disposizione altrettanto generale di conversione delle (eventuali) originarie pene accessorie»), si rileva che le sanzioni accessorie per violazioni a norme tributarie di cui al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 non sono applicabili nel caso dei delitti di contrabbando depenalizzati, poiché possono essere comminate solo nei casi espressamente previsti e che la pena accessoria ex art. 20 c.p. consegue di diritto alla condanna come effetto penale di essa.
L'IVA all'importazione condivide i meccanismi applicativi dei diritti di confine
La Sezione Tributaria rileva che l'IVA all'importazione non è un diritto di confine, perché è estranea all'obbligazione doganale, ma, in ragione del richiamo di cui all'art. 70, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ne condivide la disciplina dei meccanismi applicativi, essendo oggetto di un unico prelievo effettuato sulla bolletta doganale quale condizione per il rilascio della merce. Il sistema dell'IVA all'importazione è incardinato in quello generale dell'IVA, ma è caratterizzato da specificità procedimentali e sanzionatorie correlate al meccanismo dell'importazione. Il Collegio ricorda che, «sul piano sanzionatorio, l'applicabilità, in caso di violazioni concernenti l'Iva all'importazione, delle sanzioni contemplate dalle leggi doganali relative ai diritti di confine (art. 70, primo comma, secondo nucleo normativo) è giustificata dalla diversità degli elementi costitutivi dell'infrazione (l'Iva è riscossa all'atto dell'ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà a scoprirla (Corte giust. in causa C-299/86, punto 22)».
La confisca per l'IVA all'importazione
Per il reato di evasione dell'IVA all'importazione, il richiamo dell'art. 70, d.p.r. n. 633/1972 alle sanzioni relative ai diritti di confine comporta, in presenza di reato non depenalizzato, l'applicabilità obbligatoria anche della confisca prevista dall'art. 301 T.U. Doganale: infatti «il rinvio operato dal sistema dell'iva alle sanzioni previste dalle «leggi doganali relative ai diritti di confine» deve intendersi effettuato “quoad poenam”, ovvero al fine di determinare le sanzioni irrogabili in caso di violazioni e ciò sia nel caso in cui siano applicabili le sanzioni amministrative pecuniarie, sia nel caso in cui siano applicabili le sanzioni penali».
La depenalizzazione di cui al d.lgs. 16 gennaio 2016, n. 8
Richiamata la disciplina della depenalizzazione di cui al d.lgs. n. 8/2016, il Collegio osserva che, per quanto riguarda i procedimenti penali pendenti instaurati prima della riforma ed aventi ad oggetto illeciti doganali depenalizzati è previsto che l'autorità giudiziaria comunichi agli organi amministrativi quanto accertato in sede penale circa il mancato pagamento dei diritti di confine.
L'art. 6, d.lgs. n. 8 del 2016 richiama «le disposizioni delle sezioni I (Principi Generali. Artt. 1 – 12 ) e II (Applicazioni. Artt. 13-31) del capo I (Sanzioni amministrative) della legge 24 novembre 1981, n. 689» e, in particolare tra queste, l'articolo 20 sulle sanzioni amministrative accessorie, in forza del quale «Le autorità stesse possono disporre la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e debbono disporre la confisca delle cose che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento». Il Collegio osserva che «la clausola di compatibilità espressamente prevista dall'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 rende necessario verificare se nel nostro ordinamento esiste una disciplina specifica in tema di applicazione delle sanzioni amministrative tributarie e la sua applicabilità alla vicenda oggetto di contenzioso». Se, da un lato, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 detta le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria individuandole nella sanzione pecuniaria e nelle sanzioni accessorie di cui all'art. 21 del medesimo decreto, dall'altro, secondo la giurisprudenza di legittimità, «nel caso in cui la confisca è obbligatoria [...] il provvedimento ablatorio deve sempre aver luogo, anche se non venga emessa l'ordinanza ingiunzione, mentre, nel caso in cui non è obbligatoria [...], si fa luogo alla confisca soltanto se contestualmente si procede alla irrogazione della sanzione pecuniaria».
La Suprema Corte ritiene che, «in virtù del rinvio operato dal sistema dell'Iva alle sanzioni previste dalle “leggi doganali relative ai diritti di confine”, la depenalizzazione sia applicabile anche alle violazioni concernenti l'evasione dell'Iva all'importazione»: ne deriva che «il rinvio quoad poenam può determinare la rilevanza penale dell'evasione dell'IVA all'importazione solo quando ha natura penale la violazione della legge doganale e, precisamente, in presenza di un ammontare d'imposta superiore alla “soglia di depenalizzazione” oppure, per importi inferiori, quando sono integrate specifiche circostanze come violazioni riguardanti tabacchi lavorati esteri o al ricorrere di circostanze aggravanti speciali del contrabbando, mentre il contrabbando semplice e l'evasione dell'Iva all'importazione sanzionata quoad poenam con la sola multa secondo le norme relative ai diritti di confine non hanno più rilevanza penale e vengono sanzionate con l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria».
A ciò si aggiunga che la depenalizzazione attuata con il d.lgs. n. 8 del 2016 «opera anche con riferimento ai reati che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria e, tuttavia, le ipotesi aggravate devono ritenersi fattispecie autonome di reato (art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 8 del 2016)”: ciò vuole dire che «le circostanze aggravanti speciali del contrabbando previste dall'art. 295, comma 2, lettere a), b), c) e d) del T.U.L.D. e le fattispecie in cui l'ammontare dei diritti di confine è superiore a euro 49.993,03 devono ritenersi trasformate in fattispecie autonome di reato». In particolare, l'ipotesi aggravata prevista dall'art. 295 T.U. Doganale viene qualificata fattispecie autonoma di reato e la multa. la cui misura era proporzionata ad un importo compreso tra due e dieci volte l'imposta di confine evasa, è stata ora sostituita con una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000,00 euro a 50.000,00 euro: risulta quindi introdotto un trattamento più favorevole soprattutto con riferimento alla fascia più alta delle violazioni amministrative.
Dalla confisca penale doganale alla confisca amministrativa
Il Collegio osserva inoltre che «la confisca penale doganale è stata sostituita con la confisca amministrativa di cui all'art. 20, comma 3, l. n. 689 del 1981, che ha carattere facoltativo ed è applicabile solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 euro ed i 49.999,99 euro, mentre il legislatore che ha depenalizzato il contrabbando di lieve entità al di sotto dei 4.000,00 euro ha espressamente mantenuto la confisca obbligatoria delle cose indicate nell'art. 301 T.U.L.D., il cui provvedimento è adottato non dall'autorità giudiziaria, ma dal capo della dogana nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata, con il conseguente «corollario» che mentre per le ipotesi già depenalizzate di reato di contrabbando al di sotto dei 4.000,00 rimane applicabile la confisca di cui all'art. 301 T.U.L.D., per le ipotesi di contrabbando, pure depenalizzate, comprese tra i 4.000,00 euro e i 49.999,99 euro, si applica (per l'espresso richiamo previsto nell'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016) la confisca amministrativa di cui all'art. 20, terzo comma, della legge n. 689 del 1981».
Osservazioni sulla confisca penale doganale
Il Collegio conclude la propria ordinanza interlocutoria evidenziando che la confisca penale doganale regolata dall'art. 301 T.U. Doganale è una misura di sicurezza assai afflittiva e ancora più ampia di quella ordinaria regolata dall'art. 240 c.p., perché per il reato di contrabbando «è obbligatoria anche per le cose oggetto del reato o che comunque servirono o furono destinate a commetterlo, estendendo, dunque, la presunzione di pericolosità sottostante alla misura di sicurezza reale anche nei confronti delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto ed il profitto». Secondo la giurisprudenza di legittimità, detta confisca «non ha natura sanzionatoria, ma costituisce, piuttosto, misura di sicurezza tendente ad evitare l'ulteriore impiego o circolazione di beni segnati da illiceità, e, quindi, trova la propria ragion d'essere in una valutazione del legislatore non incentrata sulla necessità di sanzionare l'autore del reato». A sua volta la confisca amministrativa regolata dall'art. 20, comma 3, l. n. 689 del 1981, è, invece, facoltativa ed è applicabile solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 ed i 49.999,99 euro, «ciò che sembrerebbe contrastare con i principi cardine del sistema sanzionatorio amministrativo e penale».
Fonte: Diritto e Giustizia |