La sola Certificazione Unica non costituisce prova del pagamento
01 Agosto 2023
La pronuncia dei giudici della I sezione civile della Corte di cassazione conclude una diatriba sorta tra la curatela fallimentare di una s.r.l. e un ex dipendente di quest'ultima, il quale, con domanda di ammissione allo stato passivo, insinuava un credito per retribuzioni e TFR in privilegio generale . A sostegno delle proprie ragioni, il creditore istante depositava buste paga e Certificazione Unica (CU) del 2018. Il GD accoglieva solo in parte la domanda, escludendo quanto richiesto a titolo di TFR poiché, dalla CU prodotta dallo stesso creditore, il relativo importo risultava già erogato nel corso del 2017. L'opposizione proposta dal creditore veniva respinta dal Tribunale di Siracusa sulla base delle seguenti considerazioni:
La Corte, non condividendo la soluzione offerta dal tribunale, accoglie il ricorso del creditore motivando come segue.
In primis, vengono richiamate due pronunce (Cass. civ., sez. VI, 31 gennaio 2022, n. 2817 e Cass. civ., sez. VI, 25 novembre 2022, n. 34828) che hanno allo stesso modo cassato altrettanti decreti emessi dallo stesso Tribunale di Siracusa in fattispecie analoghe. In buona sostanza, le pronunce affermano che:
Nel conformarsi a tale indirizzo, il Collegio precisa come sia fuori discussione la validità del seguente principio: “il documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell'onere probatorio in caso di contestazione” (Cass. n. 2817 cit.; Cass. civ., sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 31173; Cass. civ., sez. VI, 27 aprile 2016, n. 8290; Cass. 5573/1997 e Cass. n. 9885/2000).
Tale principio convive, peraltro, con quello secondo cui a rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova “comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha esibito il documento o chiesto l'ammissione del mezzo istruttorio”, non potendo, chi esibisce tale documento, scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lui contrati. Tuttavia, si legge nella pronuncia della Corte, il già indicato principio della “inscindibilità” vale solo se riferito a documenti formati da un soggetto terzo. “Viceversa, quando il documento è formato da una delle parti in causa, rivive e prevale la più volte ricordata regola probatoria secondo cui lo scritto proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa anche se versato in atti dalla controparte per provare i fatti costitutivi del proprio diritto”. E nel caso di specie i detti documenti erano riferibili non ad un terzo, ma alla parte datoriale fallita.
In definitiva, la Corte ribadisce il costante orientamento secondo cui “le buste paga e la CU provenienti dalla parte datoriale, in mancanza di altri elementi probatori (quali ad esempio quietanze, assegni, invii di bonifici) non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo”.
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