La sola Certificazione Unica non costituisce prova del pagamento

La Redazione
01 Agosto 2023

I giudici di legittimità accolgono il ricorso di un creditore il quale, insinuatosi per ottenere retribuzione e TFR, si vedeva negata parte del proprio credito sulla base della ritenuta idoneità della CU da costui allegata ad attestare, contro di lui, l'intervenuta corresponsione delle somme richieste.

La pronuncia dei giudici della I sezione civile della Corte di cassazione conclude una diatriba sorta tra la curatela fallimentare di una s.r.l. e un ex dipendente di quest'ultima, il quale, con domanda di ammissione allo stato passivo, insinuava un credito per retribuzioni e TFR in privilegio generale . A sostegno delle proprie ragioni, il creditore istante depositava buste paga e Certificazione Unica (CU) del 2018.

Il GD accoglieva solo in parte la domanda, escludendo quanto richiesto a titolo di TFR poiché, dalla CU prodotta dallo stesso creditore, il relativo importo risultava già erogato nel corso del 2017. L'opposizione proposta dal creditore veniva respinta dal Tribunale di Siracusa sulla base delle seguenti considerazioni:

  • il lavoratore, nell'azionare in sede fallimentare il proprio credito maturato a titolo di trattamento di fine rapporto, ha allegato la CU 2018 «quale atto di riconoscimento di debito idoneo a fondare l'ammissione al passivo del credito per TFR »;
  • lo stesso documento, che il dipendente pone a fondamento del fatto costitutivo della propria pretesa creditoria, attesta anchel'intervenuta corresponsione al dipendente degli importi e, quindi, il fatto estintivo del diritto di credito al TFR;
  • non vi sono motivi per dubitare della veridicità di quanto certificato dal documento, anche perché la falsità dei fatti dichiarati è punita con sanzioni penali;
  • colui che produce un documento in giudizio non può scinderne il contenuto chiedendo che ne siano utilizzati per la decisione solo le parti a lui favorevoli.

La Corte, non condividendo la soluzione offerta dal tribunale, accoglie il ricorso del creditore motivando come segue.

In primis, vengono richiamate due pronunce (Cass. civ., sez. VI, 31 gennaio 2022, n. 2817 e Cass. civ., sez. VI, 25 novembre 2022, n. 34828) che hanno allo stesso modo cassato altrettanti decreti emessi dallo stesso Tribunale di Siracusa in fattispecie analoghe. In buona sostanza, le pronunce affermano che:

  1. le buste paga ed il CU, in mancanza di un atto di quietanza del lavoratore-creditore, non costituiscono prova del pagamento del credito in esso documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo;
  2. ne consegue che, una volta allegata in giudizio la CU, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale è possibileisolarne gli effetti favorevoli per il soggetto che ha prodotto il documento (prova del diritto al TFR) da quelli per lo stesso sfavorevoli (attestazione di avvenuto pagamento del TFR).

Nel conformarsi a tale indirizzo, il Collegio precisa come sia fuori discussione la validità del seguente principio: “il documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell'onere probatorio in caso di contestazione” (Cass. n. 2817 cit.; Cass. civ., sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 31173; Cass. civ., sez. VI, 27 aprile 2016, n. 8290; Cass. 5573/1997 e Cass. n. 9885/2000).

Tale principio convive, peraltro, con quello secondo cui a rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova “comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha esibito il documento o chiesto l'ammissione del mezzo istruttorio”, non potendo, chi esibisce tale documento, scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lui contrati.

Tuttavia, si legge nella pronuncia della Corte, il già indicato principio della “inscindibilità” vale solo se riferito a documenti formati da un soggetto terzo. “Viceversa, quando il documento è formato da una delle parti in causa, rivive e prevale la più volte ricordata regola probatoria secondo cui lo scritto proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa anche se versato in atti dalla controparte per provare i fatti costitutivi del proprio diritto”. E nel caso di specie i detti documenti erano riferibili non ad un terzo, ma alla parte datoriale fallita.

In definitiva, la Corte ribadisce il costante orientamento secondo cui “le buste paga e la CU provenienti dalla parte datoriale, in mancanza di altri elementi probatori (quali ad esempio quietanze, assegni, invii di bonifici) non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo”.



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