Presunzione di conoscenza dell'atto: può operare anche in assenza della produzione dell'avviso di ricevimento

Francesca Siccardi
02 Agosto 2023

A fronte del perfezionamento della notifica per compiuta giacenza, la presunzione di cui all'art. 1335 c.c. può dirsi integrata anche laddove il mittente provi l'espletamento degli incombenti svolti dall'agente postale mediante la produzione non già di copia dell'avviso immesso nella cassetta nel destinatario, bensì di estratti tratti dal sito di P.I. che diano atto della specifica attività svolta dall'agente stesso.
Massima

La presunzione di cui all'art. 1335 c.c. postula la produzione, da parte del mittente, dell'avviso di ricevimento; tuttavia, laddove lo stesso non sia disponibile e il mittente stesso fornisca adeguate giustificazioni, il Giudice può ritenere raggiunta la prova della consegna, motivando in ordine alla sussistenza di elementi di prova univoci, precisi e concordanti in tal senso, quali estratti dal sito informatico delle poste da cui si evinca l'attività svolta dall'agente postale incaricato.

Il caso

Una Banca ha intimato, con missiva del 20 giugno 2017, il licenziamento disciplinare ad una sua dipendente, affidando la missiva al servizio postale e facendo ricorso, in particolare, al servizio di raccomandata con ricevuta di ritorno.

La lavoratrice, con comunicazione del 1° settembre dello stesso anno, ha inoltrato comunicazione al datore di lavoro contestando il mancato pagamento della retribuzione di agosto ed ogni eventuale addebito mosso, riservandosi, genericamente, di adire le vie legali.

Successivamente la stessa ha impugnato il licenziamento dinnanzi al Tribunale di Siena, instando per il suo annullamento, con conseguente reintegra e risarcimento dei danni.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso e la pronuncia, gravata dalla dipendente, è stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze.

Entrambi i Giudici di merito hanno accolto l'eccezione preliminare della Banca, ritenendo maturata la decadenza dal potere di impugnativa del licenziamento, da proporre secondo quanto prescritto dall'art. 6 della l. n. 604/1966, e cioè entro 60 giorni dal recesso; ciò in quanto è stata ritenuta la validità della comunicazione del licenziamento stesso, perfezionatosi per compiuta giacenza della raccomandata al domicilio della lavoratrice e, invece, l'inidoneità della comunicazione della lavoratrice datata 11 settembre 2017 a rendere nota la volontà di impugnare detto recesso.

Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione, cui ha resistito la Banca.

La questione

La ricorrente ha incentrato il ricorso su quattro motivi.

In primo luogo, ha dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo, ovverosia della propria contestazione del processo notificatorio e della sua documentazione in giudizio, avendo i Giudici di merito erroneamente ritenuto sussistente il perfezionamento della notifica nonostante fosse stata dedotta l'assenza della ricezione dell'avviso di giacenza.

Con il secondo motivo di ricorso, poi, la lavoratrice ha lamentato la violazione e la falsa applicazione tanto dell'art. 1335 c.c., quanto degli artt. 8 e 9 della l. n. 890/1982 e dell'art. 2, l. n. 604/1966, oltre che dei principi giurisprudenziali veicolati in recenti pronunce della Corte di Legittimità: ciò in quanto la Banca non avrebbe fornito la prova dell'attività svolta dall'ufficiale postale, stante il proprio asserito mancato rinvenimento dell'avviso di giacenza all'interno della cassetta postale.

Con il terzo motivo è stata censurata la violazione dell'art. 6 della l. n. 604/1966, avendo i Giudici di merito ritenuto non idonea ad impedire la decadenza dal termine per l'impugnazione del licenziamento la missiva dell'11 settembre 2017 con cui sono stati contestati tanto il mancato pagamento della retribuzione del mese di agosto quanto ogni eventuale addebito mosso dalla Banca.

Infine, la dipendente ha sostenuto la contraddittorietà ed illogicità della motivazione della pronuncia di appello, giacché, dopo aver affermato l'operatività della presunzione di conoscenza del licenziamento alla data del 27 giugno 2017, si è negato che la missiva inoltrata il successivo 11 settembre in ordine alla mancata retribuzione valesse anche quale contestazione del licenziamento stesso.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando la correttezza delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di Appello e, in definitiva, del Tribunale, posto che le due pronunce si sono fondate sulle medesime argomentazioni logico giuridiche.

Ed infatti il primo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile, proprio in considerazione del fatto che la Corte di Appello non ha omesso di esaminare la contestazione della lavoratrice circa la suscettibilità della notifica del licenziamento e l'integrazione della presunzione legale di conoscenza, avendo, anzi, nello specifico, ritenuto che il perfezionamento per compiuta giacenza fosse idoneo ai sensi dell'art. 1335 c.c.: essendo tale asserzione sovrapponibile a quella contenuta nella sentenza di primo grado, risulta integrata la fattispecie della cd. doppia conforme, che, giusta il disposto dell'art. 348-ter c.p.c., in combinato con l'art. 360, comma 1, n. 5 stesso codice, preclude l'esame della doglianza.

I residui motivi, poi, sono stati ritenuti tutti infondati.

In particolare, seguendo l'ordine logico delle questioni sottese alla controversia, è stata ribadita l'operatività, in concreto, della presunzione legale di cui all'art. 1355 c.c., pur nell'assenza mancata produzione in giudizio, ad opera della Banca mittente, di copia dell'avviso immesso nella cassetta della destinataria.

Tale conclusione è stata raggiunta non basandosi sulla mera produzione della ricevuta di invio della raccomandata contenente il recesso datoriale, bensì valorizzando il deposito in atti delle schede informative provenienti da P.I., da cui si evince la mancata consegna al destinatario della raccomandata stessa, il suo deposito presso l'ufficio postale e la successiva restituzione al mittente, decorso il termine di giacenza.

Tale documentazione, infatti, ad avviso della Corte di Legittimità, ha valore concludente ai fini di fondare la presunzione, giacché estratta dai siti informatici di P. I., vale a dire di soggetto cui è affidato il servizio pubblico essenziale del servizio postale universale, con attribuzione di funzioni di certificazione.

In definitiva, quindi, la presunzione legale risulterebbe integrata dalla presenza di dati univoci, precisi e concordanti, consistenti nella prova della spedizione e nella documentazione che attesta – in via sintetica – gli adempimenti svolti dall'agente postale.

Di conseguenza, non avendo la dipendente fornito la prova dell'impossibilità di avere notizia della comunicazione senza sua colpa, peraltro nella sussistenza di uno specifico obbligo contrattuale di comunicare con sollecitudine ogni mutamento di residenza o domicilio (art. 38 comma 6 del CCNL Credito), ma avendo solo allegato di non avere mai rinvenuto – all'interno della propria cassetta postale – l'avviso di giacenza, senz'altro deve dirsi operante la presunzione di cui all'art. 1335 c.c.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha ben illuminato la differenza tra il caso concreto e quelli sottesi alle diverse pronunce richiamate dalla lavoratrice: in una delle sentenze invocate, infatti, si disquisiva di un atto che, seppur recettizio, richiedeva ex lege l'inoltro a mezzo raccomandata con avviso di ricezione, mentre in un'altra la presunzione è stata esclusa in quanto il mittente non aveva prodotto null'altro che la prova dell'invio della raccomandata stessa.

Da ultimo, con un'analisi congiunta, è stata esplicitata l'infondatezza del terzo e quarto motivo di ricorso.

Infatti, gli Ermellini hanno ritenuto immune da censure l'interpretazione della Corte di Appello circa il contenuto della comunicazione inoltrata dalla lavoratrice l'11 settembre 2017, essendo autorizzati a svolgere una tale attività ermeneutica giusta il combinato disposto di cui agli artt. 1324 e 1362 ss. c.c. Benché l'impugnativa di licenziamento non richieda formule particolari, la stessa deve, comunque, inequivocabilmente esprimere la volontà del lavoratore di contestare il recesso datoriale: nel caso di specie, la missiva inoltrata dalla ricorrente ha lamentato questioni retributive e non ha in alcun modo fatto riferimento al licenziamento.

Conseguentemente, dovendosi il licenziamento ritenere conosciuto il 20 giugno 2017 e non essendo la comunicazione dell'11 settembre dello stesso anno idonea ad esprimere una volontà impugnatoria, deve senz'altro ritenersi decorso il termine decadenziale di cui all'art. 6 della l. n. 604/1966.

Osservazioni

La pronuncia in esame effettua diverse ed importanti affermazioni, occupandosi sia della presunzione di cui all'art. 1355 c.c., perimetrandone l'ambito operativo in caso di apparenti disfunzioni applicative, sia delle caratteristiche minime che deve possedere l'atto di impugnativa stragiudiziale del licenziamento.

Quanto al primo aspetto, occorre rammentare come l'art. 1335 c.c., rubricato “presunzione di conoscenza”, stabilisca “La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia”.

Analizzando proprio la portata della prova liberatoria (che consiste nella dimostrazione, sostanzialmente, di non avere potuto avere notizia della comunicazione e non, semplicemente, di non averne avuto notizia), la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato come, più che di presunzione di conoscenza, si tratti di presunzione di conoscibilità.

Tale norma, chiaramente, si applica anche alla comunicazione di licenziamento, trattandosi di atto unilaterale recettizio diretto a un destinatario determinato. La giurisprudenza, oramai in maniera costante, ha affermato come la presunzione di cui all'art. 1335 c.c. possa dirsi integrata a fronte della produzione, da parte del mittente, dell'avviso di ricevimento della comunicazione, nonché, in caso di mancato ritiro, della cartolina attestante l'avviso di immissione nella cassetta postale del destinatario ai fini della compiuta giacenza, non essendo, invece, sufficiente, la mera dimostrazione della spedizione

Nella sentenza in commento la Corte di Legittimità ha fatto un passo oltre, stabilendo l'operatività della presunzione nell'ipotesi in cui il mittente abbia prodotto la ricevuta di invio e, non essendo in possesso dell'avviso di immissione nella cassetta, abbia versato in atti una scheda informativa estrapolata dal sito delle P.I., da cui si evincano le attività svolte dall'agente postale incaricato e cioè la mancata consegna della raccomandata, il deposito presso l'Ufficio Postale e la successiva restituzione al mittente all'esito della compiuta giacenza.

L'affermazione si giustifica tenendo conto natura della presunzione, che opera abduttivamente ed ha carattere relativo, esprimendo un coefficiente di implicazione tra premessa e conclusione di rango probabilistico.

Sostanzialmente la norma di cui trattasi può essere così riformulata “se la comunicazione diretta ad una persona determinata giunge al suo indirizzo allora egli l'ha conosciuta” e, quindi, momento centrale della verifica della sua operatività è l'accertamento circa il fatto che la comunicazione sia giunta all'indirizzo del destinatario.

Ben si comprende, quindi, la valorizzazione da parte della Corte di Cassazione (e, in precedenza, da parte dei Giudici di merito) delle circostanze che vadano ad arricchire, dal punto di vista fattuale, la premessa, ovverosia gli elementi che consentano di affermare che la comunicazione sia giunta all'indirizzo del destinatario, onde trarne la conclusione della conoscenza legale.

Ed infatti, sebbene in assenza della produzione dell'immissione dell'avviso in cassetta, la presenza dell'attestazione rilasciata da P. I. (avente valore certificativo, in ragione dell'espletamento di pubblico servizio) circa le specifiche attività svolte dall'agente postale fa ritenere provato il recapito della missiva all'indirizzo della lavoratrice e, di conseguenza, fa innescare il meccanismo di presunzione legale.

Tale presunzione bene avrebbe potuto essere vinta dalla destinataria della comunicazione mediante la prova – in verità assai ardua – dell'impossibilità di averne notizia senza sua colpa, consistente nella ricorrenza di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà ed alla sua sfera di organizzazione.

La ricorrente non ha fornito tale prova e, a ben vedere, neppure la ha dedotta, essendosi limitata a contestare di aver rinvenuto nella cassetta postale l'avviso di giacenza, vale a dire contestando la premessa fattuale del sillogismo normativo, che, però, è stato smentito documentalmente dall'attestazione ricavata dall'esercente il servizio postale.

Il ragionamento della Corte di Legittimità è condivisibile, ma impone di prestare molta attenzione alla scelta del vettore: infatti gli Ermellini paiono ricondurre valore certificativo agli estratti rilasciati da P. I. in considerazione del fatto che la società risulti affidataria del servizio postale universale e non già del servizio postale tout court (come altri innumerevoli vettori operanti nel settore).

Ritenendo, quindi, il licenziamento conosciuto dalla lavoratrice alla data del 20 giugno 2017 si è reso necessario valutare il rispetto del termine di 60 giorni per la sua impugnazione, anche stragiudiziale, di cui all'art. 6 della l. n. 604/1966.

In proposito si condivide l'affermato potere – dovere del Giudice di indagare il portato della comunicazione inoltrata dalla dipendente alla Banca l'11 settembre 2017, facendo governo delle regole, compatibili, di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., operanti anche per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, giusta il disposto dell'art. 1324 c.c.

La missiva suddetta correttamente non è stata ritenuta qualificabile come impugnativa del licenziamento, dal momento che nella stessa vengono effettuate esclusivamente recriminazioni di ordine economico e, in generale, si contestano eventuali addebiti mossi, ma non vi è menzione alcuna del recesso datoriale.

Non coglie nel segno, in proposito, l'argomento – pur persuasivo - della dipendente, che trae dal mancato accenno al licenziamento la sua non effettiva conoscenza, giacché, come si ripete, nel caso di specie ha trovato applicazione l'art. 1335 c.c., che, con una funzione razionalizzatrice, per così dire, si accontenta di una conoscenza legale, che può o meno coincidere con quella reale.

Tale atto, pertanto, non integra il requisito richiesto dal già richiamato articolo 6, l. n. 604/1966, cioè l'idoneità “a rendere nota la volontà” impugnatoria della lavoratrice: infatti, tale manifestazione di volontà non richiede formule particolari, ma deve possedere il carattere della inequivocità. Il tutto per ragioni di certezza dei rapporti giuridici, come dimostra, peraltro, anche l'introduzione, ad opera del legislatore (art. 32, comma 1, l. n. 183/2010 - cd. Collegato Lavoro), di un successivo termine – questa volta di 180 giorni ed a pena di inefficacia della precedente impugnativa – per depositare il ricorso dinnanzi all'autorità giudiziaria.

In ragione delle affermazioni di diritto, quindi, al licenziamento conosciuto il 20 giugno 2017 non ha fatto seguito alcuna impugnativa stragiudiziale, ma soltanto quella giudiziale, proposta ben oltre il termine decadenziale.

Riferimenti giurisprudenziali

Conformi

In ordine alla possibilità di provare la consegna di lettera raccomandata o telegramma con ogni mezzo, anche fornendo elementi indiziari, precisi e concordanti, intesi a delineare presunzioni: Cass., sez. lav., 15 giugno 2018, n. 15891; Cass., sez. lav., 9 novembre 2006, n. 23883; Cass., sez. lav., 15 maggio 2005, n. 10291.

In ordine all'operatività della presunzione di cui all'art. 1335 c.c.: Cass., sez. III, 27 ottobre 2022, n. 31845; Cass., sez. VI, 11 gennaio 2019, n. 511.

In ordine alla possibilità di vincere la presunzione di cui all'art. 1335 c.c.: Cass., sez. lav., 28 settembre 2018, n. 23589; Cass., sez. lav., 21 agosto 2018, n. 20864; Cass., sez. lav., 31 marzo 2016, n. 6256.

Difformi

In ordine alla non sufficienza, ai fini dell'operatività della presunzione di cui all'art. 1355 c.c., in caso di contestato circa la ricezione, della sola prova della spedizione della raccomandata, essendo necessaria, attraverso l'avviso di ricevimento o l'attestazione di compiuta giacenza, la dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio: Cass., sez. VI, 19 luglio 2018, n. 19232.

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