Minimale contributivo e riduzione della retribuzione per sospensione della prestazione di lavoro

La concordata sospensione della prestazione lavorativa, con la connessa riduzione della retribuzione, può incidere sul minimale contributivo?

L'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all'importo del c.d. "minimale contributivo", ossia all'importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

Dall'autonomia del rapporto contributivo discende che l'obbligo correlato può essere parametrato a un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore, non rilevando nemmeno l'orario di lavoro effettivamente svolto, dovendosi prendere come parametro di riferimento quello normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore).

Si è osservato, infatti, che se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere rispetto del minimale contributivo.

Ciò comporta l'impossibilità per i datori di modulare l'obbligazione contributiva in funzione dell'orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro dipendenti, non potendo ritenersi rilevanti le assenze del lavoratore o la sospensione della prestazione lavorativa che costituisca il risultato di una libera scelta datoriale non riconducibili alle ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione. In sintesi, non ogni alterazione del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro, per quanto possa incidere sull'an e sul quantum dell'obbligazione retributiva, è rilevante ai fini della commisurazione dell'obbligazione contributiva.