Anche il “nuovo” decreto di giudizio immediato deve essere emesso dal giudice per le indagini preliminari

Michele Toriello
04 Agosto 2023

Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte ha individuato plurimi argomenti di ordine letterale e di ordine sistematico che impongono di ritenere che, anche quando siano in contestazione unicamente reati a citazione diretta, la competenza ad emettere il decreto di giudizio immediato spetti al giudice per le indagini preliminari.
Massima

La competenza a provvedere in ordine alla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto di giudizio immediato, per un reato per il quale la legge prevede la citazione diretta a giudizio, spetta al giudice per le indagini preliminari.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, richiesto dal pubblico ministero dell'emissione del decreto di giudizio immediato, ai sensi dell'art. 558-bis c.p.p., in un procedimento instaurato per il delitto di cui all'art. 385 c.p., trasmetteva gli atti per competenza alla sezione dibattimentale di quel Tribunale.

Il giudice del dibattimento sollevava, ai sensi dell'art. 28 c.p.p., conflitto negativo di competenza, ritenendo che, così come per i reati in relazione ai quali è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare, anche per i reati a citazione diretta dovesse essere il giudice per le indagini preliminari ad emettere il decreto di giudizio immediato.

La questione

Il giudizio immediato è un procedimento speciale funzionale a logiche di velocizzazione, derogandosi all'ordinario iter del giudizio per via della mancata notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (ed invero, a differenza di quanto prevede l'art. 416 c.p.p. per la richiesta di rinvio a giudizio, le norme che stiamo per analizzare non prevedono la nullità della richiesta di giudizio immediato che non sia stata preceduta dalla notifica dell'avviso; l'assetto ha, peraltro, resistito anche alle questioni di legittimità costituzionale: cfr. C. cost. n. 203 del 2002) e della mancata celebrazione dell'udienza preliminare ovvero, nei reati a citazione diretta, dell'udienza predibattimentale: per questo si usa dire che non si tratta di uno strumento di deflazione, ma solo di anticipazione del dibattimento.

Esso è giustificato dall'evidenza della prova, che, rendendo improbabile che l'udienza prodromica a quella dibattimentale possa concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, rende superfluo quel filtro, destinato a verificare, nel contraddittorio tra le parti, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria: se concreti elementi consentono di ritenere che l'imputato non potrà essere prosciolto, tanto vale andare - per l'appunto “immediatamente” - davanti al giudice del dibattimento, salva la possibilità per l'imputato di accedere ad un rito alternativo, e fermo restando che la decisione non è appannaggio del solo pubblico ministero (come, invece, accade nel caso del giudizio direttissimo), poiché è comunque rimessa al vaglio del giudice per le indagini preliminari.

Il giudizio immediato è, dunque, un procedimento speciale che consente all'imputato di guadagnare non uno sconto della pena, ma termini più celeri per la definizione della sua vicenda processuale.

L'art. 453 c.p.p. delinea il profilo di un giudizio immediato “ordinario” o tipico, di un giudizio immediato “custodiale”, e di un giudizio immediato su richiesta dall'imputato.

Mentre quest'ultima ipotesi prevede maglie molto ampie, essendo subordinato alla sola scelta discrezionale dell'imputato, le altre due presuppongono la sussistenza di ben precisi requisiti.

Il giudizio immediato ordinario (art. 453, comma 1, c.p.p.) si caratterizza per lo stretto collegamento tra notizia di reato, indagini e giudizio: i suoi presupposti sono l'evidenza della prova, l'interrogatorio dell'imputato (ovvero l'omessa presentazione dell'imputato a seguito di un rituale invito a presentarsi) e il rispetto del termine di 90 giorni tra iscrizione della notizia di reato ed esercizio dell'azione penale.

L'evidenza della prova - a differenza di quella alla quale pure fanno riferimento altre norme del codice di rito (cfr., ad esempio, gli artt. 129 cpv., 389 e 422 c.p.p.) - implica una prognosi positiva sulla sostenibilità dell'accusa in giudizio: non occorre, dunque, che sia evidente la prova della responsabilità dell'imputato, essendo sufficiente che sia evidente la fondatezza dell'accusa.

L'interrogatorio dell'imputato può essere indifferentemente stato reso innanzi al pubblico ministero ovvero innanzi al giudice per le indagini preliminari, ad esempio nell'udienza di convalida (cfr. Cass. pen., sez.V, 10 dicembre 2019, dep. 2020, n. 4729): ciò che conta è che esso abbia avuto ad oggetto i medesimi fatti per i quali viene esercitata l'azione penale (cfr. Cass. pen., sez.II, 27 ottobre 2021, dep. 2022, n. 2858), indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica (cfr. Cass. pen., sez.II, 26 febbraio 2020, n. 18197).

Il terzo ed ultimo presupposto del giudizio immediato ordinario è il mancato spirare del termine di 90 giorni dall'iscrizione della notizia di reato, la cui inosservanza “è rilevabile da parte del giudice per le indagini preliminari, attenendo ai presupposti del rito” (cfr. Cass. pen., sez. Un., 26 giugno 2014, n. 42979): esso si fonda sulla deduzione che un'indagine che si sia protratta per più di tre mesi non ha ad oggetto fatti in merito ai quali può esprimersi un giudizio di evidenza probatoria; il termine va computato non dalla data di iscrizione del fascicolo, ma dalla data nella quale il nome del soggetto nei cui confronti viene esercitata l'azione penale sia stato iscritto nel registro degli indagati (cfr. Cass. pen., sez.III, 1 marzo 2018, n. 19665).

Il giudizio immediato custodiale (art. 453, comma 1-bis, c.p.p.) si fonda, invece, su due presupposti.

Occorre innanzitutto che l'imputato si trovi in custodia cautelare per il medesimo fatto in relazione al quale è stata esercitata l'azione penale (cfr. Cass. pen., sez. V, 22 settembre 2021, n. 37463), e che si sia definito il procedimento innanzi al tribunale del riesame, o che siano già decorsi i termini per presentare richiesta di riesame, senza che l'imputato l'abbia fatto (art. 453, comma 1-ter, c.p.p.); non è, invece, richiesto che la decisione dei giudici della libertà sia divenuta definitiva (cfr. Cass. pen., sez. I, 23 ottobre 2020, dep. 2021, n. 10332)

Occorre, altresì, che non sia decorso il termine di 180 giorni dall'esecuzione della misura cautelare: valgono gli stessi principi - cui si è fatto innanzi cenno - statuiti nel 2014 dalle Sezioni unite Squicciarino.

Il giudice, a mente dell'art. 455 c.p.p., provvede entro cinque giorni dalla richiesta del pubblico ministero (si tratta di un termine ordinatorio, non essendo ricollegata alcuna sanzione al suo mancato rispetto), rigettando la richiesta (ad esempio perché ritiene insussistente l'evidenza della prova, o, in caso di immediato custodiale, perché l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza) ovvero emettendo il decreto che dispone il giudizio immediato, che, a norma dell'art. 456 c.p.p., ha il medesimo contenuto del decreto che dispone il giudizio (generalità dell'imputato e delle parti private; enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze contestate; indicazione sommaria delle fonti di prova; indicazione del giudice competente e del giorno, della data e dell'ora fissati per il giudizio; data e sottoscrizione del giudice), con in più gli avvisi circa la possibilità di accedere ai riti alternativi: rito abbreviato, patteggiamento, e, dopo la riscrittura dell'art. 456 cpv. c.p.p. operata dalla cd. riforma Cartabia (o meglio, dopo la sentenza n. 19 del 2020 della Corte costituzionale, il cui deliberato è stato poi trasfuso nella norma dal d.lgs. n. 150/2022), sospensione del procedimento con messa alla prova.

La novità più interessante introdotta in argomento dalla cd. riforma Cartabia risiede nella possibilità, alla quale si è inizialmente fatto cenno, di esercitare l'azione penale con decreto di giudizio immediato anche per i reati a citazione diretta: lo prevede il nuovo art. 558-bisc.p.p., che, per le modalità operative, rimanda alle disposizioni fin qui analizzate, applicabili “in quanto compatibili”; la novella consegue alla nuova articolazione del giudizio a citazione diretta, che oggi prevede una fase predibattimentale, propedeutica al dibattimento vero e proprio: dunque, mentre nel precedente assetto il giudizio immediato per questa categoria di reati non aveva senso, poiché non c'era uno step da bypassare (all'esercizio dell'azione penale conseguiva, invero, la fissazione della prima udienza dibattimentale; la giurisprudenza di legittimità era ferma nello statuire che «L'instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l'esercizio dell'azione penale deve avvenire con citazione diretta, precludendo all'imputato il diritto di ricevere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., determina una nullità di ordine generale a regime intermedio»: cfr. Cass. pen., sez. V, 24 aprile 2019, n. 40002), oggi il giudizio immediato consente, nei reati a citazione diretta, di saltare il filtro dell'udienza predibattimentale, istituita al precipuo scopo di vagliare la sostenibilità dell'accusa e di consentire all'imputato di accedere ai riti alternativi.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 558-bis c.p.p. non reca l'espressa indicazione di quale sia il giudice competente ad emettere il decreto di giudizio immediato in relazione ai reati a citazione diretta.

Si tratta di una questione di nevralgica rilevanza, soprattutto ai fini della corretta e funzionale ripartizione delle risorse all'interno di ogni tribunale, poiché è facile prevedere che i pubblici ministeri faranno massiccio ricorso a questo istituto, che, come si è detto, abbrevia i tempi di trattazione consentendo di omettere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari: adempimento dalle conseguenze spesso complesse, onerando gli inquirenti di assecondare o quanto meno di valutare le richieste istruttorie delle difese.

La nuova disciplina, nell'operare il rinvio alle norme sul giudizio immediato ordinario («Per il giudizio immediato si osservano le disposizioni del titolo IV del libro sesto, in quanto compatibili»), non contiene ulteriori specifiche disposizioni, sicché tale silenzio ha di fatto determinato la prospettazione di soluzioni diverse in ordine alla individuazione del giudice competente a provvedere.

Si è sostenuto che, poiché l'art. 558-bis c.p.p. è inserito nel Titolo III del libro settimo del codice di rito, dedicato ai “Procedimenti speciali” nel “Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica”, la competenza dovrebbe spettare al giudice del dibattimento, ovvero a quello dell'udienza predibattimentale; si è altresì osservato che è quest'ultimo il giudice naturale del procedimento, non residuando in capo al giudice per le indagini preliminari alcuna competenza dopo l'esercizio dell'azione penale, e che, dunque, dell'incombente dovrebbe occuparsi lo stesso giudice la cui udienza viene omessa a seguito della richiesta di giudizio immediato.

Da parte di altri si è, invece, argomentata la competenza del giudice per le indagini preliminari, non solo perché l'art. 558-bis c.p.p. richiama esplicitamente gli artt. 453 e seguenti c.p.p., ma anche perché è quello il giudice istituzionalmente deputato al controllo delle iniziative assunte dal pubblico ministero fino al momento in cui si chiude la fase delle indagini preliminari.

La Corte, nella sentenza in commento, ha individuato plurimi argomenti di ordine letterale e di ordine sistematico che impongono di ritenere che, anche quando siano in contestazione unicamente reati a citazione diretta, la competenza ad emettere il decreto di giudizio immediato spetti al giudice per le indagini preliminari.

Innanzitutto, il tenore letterale dell'art. 558-bis c.p.p., laddove, prescrivendo che vengano osservate «le disposizioni del titolo IV del libro sesto, in quanto compatibili”, richiama espressamente le norme sul giudizio immediato ordinario: tanto “consente di affermare che il legislatore non ha inteso creare per i reati a citazione diretta un rito nuovo e diverso rispetto a quello ordinario, ma ha esteso il rito già esistente ad ipotesi ulteriori, fino a quel momento escluse».

Inoltre né l'art. 558-bis c.p.p., né alcuna altra disposizione introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022 attribuiscono la competenza a decidere in ordine all'ammissione del rito «ad un giudice diverso da quello che vi è ordinariamente preposto, e cioè il giudice per le indagini preliminari»: manca, dunque, «una previsione che attribuisca la competenza al giudice dell'udienza predibattimentale, di cui pure gli artt. 554-bis e 554-ter c.p.p. disciplinano ampiamente le attribuzioni»; del resto l'art. 554-bisc.p.p., nel disciplinare l'udienza predibattimentale, «presuppone che un decreto di citazione a giudizio sia già stato emesso, costituendo esso il presupposto per il progredire del procedimento alla fase dibattimentale e per l'attivazione della competenza del giudice di quella fase».

«Occorre ancora considerare - argomenta la Corte - la collocazione nel sistema del giudizio immediato e delle conseguenze che la sua richiesta prima, e la sua ammissione poi comportano nella sequenza processuale. Nel giudizio immediato ordinario, la richiesta formulata dall'organo dell'accusa costituisce una modalità di esercizio dell'azione penale e un atto d'impulso processuale, teso all'instaurazione del rito, soggetto al controllo del giudice per le indagini preliminari, il quale, senza il contradditorio delle parti, è chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per il passaggio alla fase dibattimentale senza la previa celebrazione dell'udienza preliminare. Proprio per le sue caratteristiche, il decreto di giudizio immediato riveste natura endoprocessuale e meramente strumentale all'interno della procedura di approdo alla fase del dibattimento (Cass. pen., sez.un., n. 42979/2014, Squicciarino, Rv. 260018). Ciò evidenzia come la decisione sulla richiesta di giudizio immediato attenga necessariamente ancora alla fase delle indagini preliminari e sia proprio il suo accoglimento a segnare il passaggio a quella dibattimentale, la quale presuppone, appunto, l'avvenuta emissione del decreto che dispone il giudizio. Sarebbe eccentrico a tale sistema e alla funzione che l'ordinamento attribuisce alla decisione sulla richiesta del pubblico ministero, affidare la valutazione sull'ammissibilità del rito per i reati a citazione diretta, la quale si colloca nella fase delle indagini preliminari, al giudice che interviene nella fase successiva, la cui competenza è attivata, appunto, proprio a seguito del passaggio alla fase dibattimentale».

Infine, la Corte sottolinea che «non sussiste alcuna incompatibilità del GIP ad intervenire in relazione ai reati a citazione diretta, ed anzi risulta del tutto coerente con il sistema esistente, nel quale egli è giudice di tutte le indagini preliminari, a prescindere dal se si tratti o meno di reati per i quali è prevista l'udienza preliminare. Ed invero, il vaglio in ordine agli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari e la loro valutazione è una funzione cui è ordinariamente preposto il GIP, quale giudice di quella fase. Egli è inoltre competente ad emettere le misure cautelari reali e personali anche in relazione ai reati per cui si procede a citazione diretta, e tale rimane fino alla trasmissione del fascicolo del dibattimento e del decreto di citazione per l'udienza predibattimentale, provvedendo altresì, fino a tale momento, al compimento degli atti urgenti (art. 554 c.p.p.). Spetta ancora al GIP, ai sensi dell'art. 459 c.p.p., decidere sull'istanza di emissione di decreto penale di condanna avanzata dal pubblico ministero, anche nel caso in cui si tratti di reati per i quali non è prevista l'udienza preliminare, e il medesimo giudice è altresì competente, ai sensi degli artt. 464 e 557 c.p.p., per i riti alternativi richiesti con l'opposizione al decreto penale emesso. Inoltre, a prescindere dalla tipologia di reato, decide sulla richiesta di applicazione della pena avanzata nel corso delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 447 c.p.p.».

Osservazioni

La soluzione giuridica individuata con la sentenza in commento dalla Suprema Corte appare ineccepibile, innanzitutto da un punto di vista sistematico.

Ed invero, se - come nessuno nega, e come le già citate Sezioni unite Squicciarino ebbero a sottolineare nel 2014 - il decreto di giudizio immediato è “atto propulsivo della progressione del procedimento da una fase all'altra”, ed è, dunque, atto tipico e conclusivo della fase delle indagini preliminari, sarebbe del tutto improprio attribuire la competenza ad emetterlo al giudice della fase successiva, giudice che, peraltro, secondo il chiarissimo assetto delineato dal codice di rito, giammai cita a giudizio l'imputato, ma interviene dopo che altro giudice della fase precedente (il giudice per le indagini preliminari ovvero il giudice dell'udienza preliminare) ne ha disposto la vocatio in iudicium.

Inoltre, le norme codicistiche già prevedono plurime ipotesi nelle quali è proprio il giudice per le indagini preliminari ad occuparsi delle richieste del pubblico ministero conseguenti all'esercizio dell'azione penale: basti pensare alla disciplina del decreto penale di condanna (nessuno pone in dubbio che il giudice per le indagini preliminari debba non solo emettere il decreto, ma anche occuparsi dei riti alternativi chiesti dall'imputato dopo la sua notifica), ovvero all'art. 447 c.p.p. in tema di applicazione della pena concordata tra le parti prima che sia emesso il decreto di citazione a giudizio.

Ed ancora, in forza del richiamo operato dall'art. 558-bis c.p.p. deve certamente trovare applicazione nel caso di specie l'art, 454, comma 1, c.p.p., a mente del quale il pubblico ministero presenta la richiesta di giudizio immediato depositandola nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari: tanto impone di escludere che la decisione sulla richiesta possa essere affidata ad un giudice diverso da quello nel cui ufficio è previsto che essa sia presentata.

Da un punto di vista meramente testuale occorre rilevare che, mentre non esiste una norma che attribuisca al giudice del dibattimento il compito di provvedere sulla richiesta di giudizio immediato del pubblico ministero, l'art. 454 c.p.p. attribuisce espressamente quel compito al giudice per le indagini preliminari: il richiamo operato dall'art. 558-bis c.p.p. impone di applicare quella norma anche ai giudizi immediati richiesti per reati a citazione diretta.

Infine, come evidenziato dalla Corte con la sentenza in commento, «non vanno trascurati i risvolti organizzativi che conseguirebbero alla diversa soluzione di riconoscere la competenza del giudice dell'udienza predibattimentale, determinandosi un'ulteriore ipotesi di incompatibilità nel caso in cui egli rigetti la richiesta di immediato, non potendo più celebrare quell'udienza e neppure il dibattimento, nonché una inedita regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, a differenza di quanto accade nel caso di giudizio immediato ordinario. In definitiva, si verificherebbe una alterazione della sequenza processuale in cui viene a collocarsi il giudizio immediato, la quale non solo non è prevista dal legislatore, ma neppure risulta giustificata da esigenze sistematiche e da ragioni di incompatibilità e che finirebbe per vanificare le esigenze di celerità che hanno ispirato la previsione del giudizio immediato anche per i reati a citazione diretta».

Rimane da comprendere, nel caso in cui l'imputato, dopo la notifica del decreto, formuli richiesta di accesso ad un rito alternativo, se possa esservi spazio per delineare la competenza di un giudice diverso da quello per le indagini preliminari.

Argomenti di ordine letterale e sistematico, sostanzialmente sovrapponibili a quelli utilizzati per motivare la competenza del giudice per le indagini preliminari all'emissione del decreto di giudizio immediato, inducono a ritenere che appartenga a quello stesso giudice anche la competenza funzionale a decidere sui riti alternativi chiesti dall'imputato.

Innanzitutto anche questa richiesta deve essere depositata «nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero» (così l'art. 458, comma 1, c.p.p., in tema di giudizio abbreviato, che rientra tra le norme richiamate dall'art. 558-bis c.p.p., ed è dunque sicuramente applicabile all'istituto in esame; questa disposizione è espressamente richiamata dall'art. 446, comma 1, c.p.p. per la richiesta di applicazione della pena, e dall'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. per la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova): è, dunque, difficile argomentare della competenza a decidere sulla richiesta da parte di un ufficio diverso rispetto a quello innanzi al quale la richiesta va presentata.

Inoltre, in relazione al procedimento per decreto, che presenta una struttura non dissimile a quella in esame (esercizio dell'azione penale per reato a citazione diretta mediante richiesta presentata al giudice per le indagini preliminari), nessuno dubita del fatto che, quand'anche siano in contestazione unicamente reati a citazione diretta, «La competenza a celebrare il giudizio abbreviato chiesto in sede di opposizione a decreto penale di condanna appartiene al giudice per le indagini preliminari ed ha natura funzionale» (cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 febbraio 2013, n. 25987): non si ravvisano spunti normativi o ragioni sistematiche che impongano di privilegiare una soluzione diversa per il caso di rito alternativo richiesto al giudice che ha emesso il decreto di giudizio immediato.

Né pare sostenibile che il rito alternativo possa essere trattato dal giudice dell'udienza predibattimentale, che, secondo quanto si evince dall'art. 554-ter, comma 2,c.p.p., è competente soltanto per le richieste formulate all'interno di quella udienza.

L'assetto fin qui delineato, qualora i flussi statistici dei prossimi mesi dovessero mettere in luce il massiccio ricorso da parte dei pubblici ministeri al “nuovo” giudizio immediato, e, contestualmente, la consistente tendenza degli imputati ad accedere a riti alternativi, dovrebbe imporre in ogni Tribunale una diversa distribuzione delle risorse: diverrebbe, invero, necessario ed indifferibile il potenziamento delle Sezioni Gip/Gup, chiamate ad occuparsi stabilmente della definizione di una notevole mole di procedimenti già di competenza dei giudici del dibattimento.

Riferimenti

Bricchetti R., Prime riflessioni sulla riforma Cartabia: i procedimenti speciali. Il giudizio immediato, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 27 dicembre 2022.

Cabiale A., Quattrocolo S., Un filtro più potente precede un bivio più netto: nuove possibili prospettive di equilibrio tra udienza preliminare, riti speciali e giudizio nel quadro della riforma Cartabia, in Giustizia insieme, 9 gennaio 2023.

Marandola A., Riforma Cartabia: a chi spetta decidere la ricorrenza delle condizioni del giudizio immediato ex art. 558-bis c.p.p., in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 10 marzo 2023.

Trinci A., Osservazioni sparse sui riti speciali “cartabiani”, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 8 maggio 2023.

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