Aggressioni agli operatori sanitari e socio-sanitari (l. n. 113/2020): nuovi obblighi di denuncia e referto

Patrizio Rossi
Federica Egle
Emilia Borromeo
03 Agosto 2023

Nell'ottica di favorire la corretta amministrazione della giustizia, il dovere di redazione di denuncia e referto sono divenuti parte integrante dell'attività clinico-diagnostico-terapeutico-assistenziale svolta dal medico e da altri operatori sanitari.
Premessa

Gli obblighi legati alla redazione di denuncia e referto sono divenuti parte integrante dell'attività clinico-diagnostico-terapeutico-assistenziale svolta dal medico e da altri operatori sanitari, in ragione del ruolo fondamentale rivestito dagli stessi nel favorire la corretta amministrazione della giustizia.

In effetti il sanitario è chiamato a rendere l'adeguata informativa all'autorità competente, in particolare nei reati contro l'incolumità individuale che vedono sempre più frequentemente coinvolti gli stessi colleghi, sul posto di lavoro, nell'esercizio della propria mansione.

Vista la portata di tale tematica, già nel 2007 il Ministero della Salute ha emanato la “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”, includendo gli “Atti di violenza a danno di operatore” tra i cosiddetti “eventi sentinella”.

Trattasi di un fenomeno capillare diffuso non solo nel contesto assistenziale, ma anche in ambito assicurativo previdenziale, come evidenzia il fatto che, sul modello di precedenti esperienze, anche in ambito INAIL queste fattispecie sono state inserite tra gli eventi sentinella. Inoltre, rafforza la ricorrenza del fenomeno la conferma emersa da un'indagine INAIL – condotta in epoca pre-pandemica – mediante un questionario dedicato agli operatori sanitari e socio-sanitari operanti nelle unità territoriali dell'Istituto.

A tutela degli operatori sanitari è stata promulgata la legge 14 agosto 2020, n.113, entrata in vigore il 24 settembre dello stesso anno.

Tra i diversi strumenti atti a contrastare la violenza, il Legislatore ha previsto l'istituzione di un Osservatorio dedicato, oltre ad includere mezzi di natura penale (artt. 4, 5, 6) e operativa, mediante attività di informazione e prevenzione (artt. 3, 7) e sanzionatoria (art. 9).

Appare dunque pacifico che i medici, quelli Inail in ragione della qualifica giuridica ricoperta e degli obblighi di notifica cui sono vincolati, debbano adeguatamente essere informati sulle metodologie operative da attuare in caso di violenza perpetrata nei confronti degli operatori sanitari.

Le principali novità certificative introdotte dalla legge 14 agosto 2020, n. 113

All'articolo 2 è stato istituito l'Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS) che vede l'Istituto tra i componenti, al fine di fornire un fattivo contributo nei compiti di monitoraggio e sorveglianza attribuiti all'Osservatorio stesso.

All'articolo 4 sono state apportate delle modifiche all'articolo 583-quater c.p. in particolare, sono state previste le pene della reclusione da quattro a dieci anni in caso di lesioni personali gravi, da otto a sedici anni per quelle gravissime, qualora questa fattispecie di reato venga commessa non solo verso un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, ma anche nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali.

Tale assunto è stato confermato all'articolo 16 del D.L.30 marzo 2023, n. 34, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2023, n. 56; ad integrazione è stata introdotta la pena della reclusione da due a cinque anni nel caso di lesioni cagionate ai suddetti operatori, a prescindere dalla gravità, tanto che lo stesso titolo dell'articolo del codice è stato modificato, includendo la generica dizione di “lesioni personali” e non più “lesioni personali gravi o gravissime” come in origine.

All'articolo 5 è stata introdotta nel codice penale una nuova aggravante comune [art. 61 numero 11-octies) c.p.], che riconosce un aumento della pena sino ad un terzo qualora il colpevole abbia agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di “esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività”.

All'articolo 6 la legge ha inserito, per giunta, un elemento di novità nella procedibilità del delitto di percosse, disciplinato all'articolo 581 c.p. che diviene reato procedibile d'ufficio nel caso sussista la suddetta circostanza aggravante; il medesimo principio è stato applicato al delitto di lesioni personali dolose ex articolo 582 c.p.

In sostanza, la nuova aggravante comune introdotta dal legislatore, non solo determina un aumento delle pene, ma influisce in maniera significativa sulla procedibilità dei reati di percosse e lesioni personali.

Sebbene la violenza verso gli operatori sanitari e socio-sanitari sia il fulcro centrale entro cui la legge opera ed agisce, da parte del legislatore non è stata fornita una specifica definizione per meglio inquadrare i casi oggetto di tutela.

Ad ogni buon conto, si segnala in questa sede la definizione congiunta dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), secondo cui per violenza sul luogo di lavoro si intendono “incidenti [eventi lesivi] in cui i lavoratori sono abusati, minacciati o aggrediti in situazioni correlate al lavoro, incluso il trasferimento, e che comportano un rischio implicito o esplicito per la loro sicurezza, benessere o salute”.

Anche l'ONSEPS ha proposto una sua definizione facendo rientrare tra i cosiddetti “episodi di violenza”, “insulti, minacce e qualsiasi forma di aggressione fisica, verbale (ivi compreso il discredito via web o social network), psicologica o contro la proprietà, sia della struttura sia dell'operatore, praticati da parte di soggetti esterni all'organizzazione, compresi i pazienti, tali da mettere a repentaglio la salute, la sicurezza o il benessere, anche psicologico, di un individuo”.

Referto e denuncia

Sulla scorta delle nuove disposizioni normative appare qui utile sintetizzare le principali criticità legate agli atti informativi in favore dell'Autorità giudiziaria.

In particolare, occorre ricordare che il referto è redatto dall'esercente una professione sanitaria, che ha prestato la propria opera o assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d'ufficio. Appare importante ivi sottolineare sotto il profilo definitorio quelle che sono le attività in occasione delle quali il professionista può trovarsi di fronte a un delitto da rendere noto all'autorità competente.

Specificatamente, dal lato squisitamente cronologico, per opera si intende un intervento singolo, occasionale o transitorio, mentre il termine assistenza coincide con una prestazione professionale con carattere di continuità. Tuttavia, non tutti gli autori concordano con tale interpretazione, preferendo attribuire all'assistenza il significato di attività diagnostico-terapeutica esplicitata su persona vivente, a prescindere dalla sua durata, e all'opera una connotazione accertativa, come la visita fiscale, l'esame del cadavere ed altri accertamenti tecnici qualificati.

Sotto il profilo pratico, quando si presta la propria opera o assistenza in ambito assistenziale, l'esimente (previsto dal referto ex articolo 365 c.p.) prevale su interesse punitivo della giustizia per fatti reato pre-esistenti alla prestazione delle cure.

Da ciò si comprende ulteriormente la finalità del referto come atto informativo di natura tecnica che prevede l'esimente al fine di garantire l'impostazione di un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale anche a chi commette reati.

In effetti, la ratio legis dell'esimente si ritrova nella tutela del diritto alla salute, ex articolo 32 della Costituzione, al fine di rimuovere il possibile ostacolo all'accesso alle cure che potrebbe essere costituito dal pericolo di conseguenze penali per la persona assistita.

Nella particolare fattispecie oggetto della presente valutazione si tratta di precisare che il verificarsi dell'illecito si concretizza nelle more dell'esecuzione di qualsivoglia tipo di intervento assistenziale.

Per tale motivo se il paziente diviene autore di un'aggressione perpetrata verso un operatore sanitario, non sussiste l'eventualità di referto in quanto non viene leso il diritto alla cura. A maggior ragione, se l'operatore aggredito non ha prestato la propria opera o assistenza, lo stesso potrà redigere direttamente una denuncia.

I medici previdenziali e i medici della Pubblica amministrazione e l'obbligo di referto

Per quanto attiene alla condotta del medico Inail e di tutti professionisti operanti nell'ambito previdenziale e nella Pubblica Amministrazione, si conferma che il referto è da qualificarsi come atto informativo di natura tecnica, permeato da una spiccata caratterizzazione sanitaria, diversamente dalla denuncia (o “rapporto”), limitata a riportare gli elementi concernenti il fatto-reato oggetto di interesse da parte dell'Autorità Giudiziaria.

Come peraltro già ampiamente illustrato, attraverso la definizione di contenuti di significato biologico all'interno del referto e la possibilità di esimenti nella sua redazione, lo stesso legislatore ha scelto di anteporre l'interesse per la salute del paziente rispetto a quello pubblico.

Appare chiara l'importanza assunta dal referto come strumento tecnico di diagnosi medico-legale nell'ambito di qualsiasi processo accertativo, rispetto alla denuncia, mero strumento informativo privo di qualsivoglia connotazione tecnica in quanto generico nel contenuto.

L'Inail ha sempre fornito mirate indicazioni operative ai propri sanitari, i quali sono chiamati al dovere di referto ex articolo 365 c.p. attraverso note specifiche e il sistema di procedura informatizzata dedicata all'interno della cartella clinica (CARCLI).

Occorre tuttavia precisare che proprio in ragione della qualifica giuridica rivestita non solo dai medici Inail, ma anche da tutti gli altri colleghi che partecipano alla formazione e alla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione, gli stessi non sono sollevati dall'obbligo di denuncia.

D'altronde, la questione legata alla qualifica giuridica ricoperta dai sanitari nell'esercizio delle proprie funzioni assume maggior carattere di complessità quando esacerbata dal dovere di informativa da rendere all'Autorità giudiziaria.

Fermo restando l'assunto ormai consolidato dalla giurisprudenza di merito secondo cui l'attribuzione di una determinata qualifica giuridica piuttosto che un'altra scaturisce dai caratteri propri dell'attività svolta e dai momenti in cui la stessa viene esercitata, è risaputo che, a seconda del ruolo giuridico ricoperto, diverse saranno le ripercussioni penali.

Ad ogni buon conto, una maggiore chiarezza legata all'inquadramento giuridico dei professionisti della salute sarebbe auspicabile anche per l'evidente disparità di trattamento tra categorie di sanitari.

L'Inail ha indicato a più riprese che i medici sono chiamati all'obbligo di referto, in ragione della necessità di trasmettere all'autorità competente un documento con qualificante contenuto biologico al suo interno, proprio per perseguire al meglio l'obiettivo comune della maggiore efficienza dell'amministrazione della giustizia. In ogni caso, poi, gli esercenti le professioni sanitarie Inail sono chiamati ad esprimersi dopo aver prestato assistenza o opera nel corso delle attività anche propedeutiche alla formulazione dei giudizi medico-legali, sia su atti che su visita.

Le medesime osservazioni si applicano agli altri medici previdenziali e della pubblica amministrazione svolgenti un servizio pubblico.

Conclusioni

Con la legge n. 113/2020 si amplia il ventaglio di condizioni che rendono necessaria la stesura del referto: il delitto di percosse, disciplinato all'articolo 581 c.p., diviene reato procedibile d'ufficio nel caso sussista la suddetta circostanza aggravante.

Quindi, occorre che l'operatore sia adeguatamente formato e informato sulle procedure da attuarsi qualora debba fronteggiare le novità introdotte dal Legislatore.

In prima istanza, bisogna identificare quali sono i casi da attenzionare, sulla base degli elementi documentali e/o anamnestico-circostanziali, utili ad inquadrare l'evento come atto di violenza ai sensi della normativa.

Gli episodi di violenza possono essere considerati tutte le forme di aggressione così come sopra richiamate, considerato che questi casi assumono rilevanza penale quando interessano gli operatori sanitari e socio-sanitari tutelati dalla normativa; in particolare l'ambito di applicazione della legge include le professioni disciplinate dalla legge n. 3/2018, vale a dire: medici chirurghi, odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, fisici, chimici, infermieri, ostetriche, tecnici di radiologia, tecnici sanitari, professionisti della riabilitazione, professionisti della prevenzione, osteopati, chiropratici, psicologi, operatori socio-sanitari, assistenti sociali, sociologi, educatori professionali.

Occorre altresì focalizzarsi sull'autore della violenza, in quanto sono da inglobare nei casi tutelati dalla normativa tutti i fatti commessi da soggetti esterni all'organizzazione (comprendendo quindi non solo i pazienti ma altri, come famigliari od operatori esterni) e non quelli avvenuti tra colleghi.

La finalità della norma appare quella di punire l'autore già per il sol fatto di aver compiuto l'atto, al di là delle possibili conseguenze sull'integrità psico-fisica della vittima, atteso che la procedibilità d'ufficio e, quindi l'obbligo di referto, viene introdotta anche solo per il delitto di percosse di cui all'art. 581 c.p.

Il medico Inail per i casi che vengono denunciati all'Istituto, deve sincerarsi, sulla scorta dei documenti disponibili, che il referto sia già stato fatto da operatori sanitari intervenuti precedentemente.

Nel caso manchi questa evidenza, sul piano medico-legale, in via cautelativa, è preferibile redigere il referto per tutti gli infortuni causati da atti di violenza nei confronti di operatori sanitari, al di là delle conseguenze che, al momento del primo esame, possono non essere valutabili, oppure di scarso rilievo (durata dell'inabilità temporanea assoluta inferiore ai 40 giorni). Restano valide le ipotesi di obbligo di refertazione già previste per le lesioni personali gravi e gravissime riportate con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale oppure ancora più significativi pregiudizi (inabilità temporanea assoluta o postumi permanenti che configurano lesioni personali gravi o gravissime).

Resta fermo il principio per cui i suddetti obblighi si applicano a tutti i medici previdenziali e della Pubblica Amministrazione, in ragione della qualifica giuridica rivestita.

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