La Redazione
07 Agosto 2023

Con tre sentenze depositate il 3 agosto 2023, la Corte di Cassazione fissa alcuni punti fermi in tema di tutela del marchio e, in particolare, di sanzioni amministrative per l'illecito di cui all'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 297/2004, risarcimento dei danni cagionati da contraffazione e preclusione per coesistenza.

La Cassazione interviene, con le sentenze n. 23746, 23739 e 23727, tutte depositate il 3 agosto, su alcuni aspetti in materia di marchi.

Sanzioni amministrative

Nel primo caso una società aveva impugnato l'ordinanza ingiunzione ex art. 22 l. n. 689/1981 ricevuta dal Ministero delle politiche agricole che prevedeva la sanzione amministrativa di 26mila euro per la violazione dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 297/2004 per improprio uso di un marchio di denominazione protetta. La società invoca l'erronea applicazione delle disposizioni comunitarie in tema di denominazione di origine protetta. Accogliendo il ricorso, la S.C. afferma infatti che «in tema di sanzioni amministrative, l'illecito sancito dall'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 297 del 2004, recante disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92 sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari, ha come destinatario soltanto le organizzazioni di imprenditori interessati al medesimo prodotto agricolo o alimentare protetto dalla registrazione, che siano composte e strutturate in forme sovraindividuali (consorzi, associazioni, ecc..) e che conservino o assumano la denominazione protetta nella loro ragione o denominazione sociale 180 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'avvenuto riconoscimento del Consorzio di tutela di quel prodotto agricolo o alimentare (o, se già riconosciuti prima dell'entrata in vigore del d.lgs. cit., 180 giorni dopo l'entrata in vigore del menzionato d.lgs.) il quale, proprio perché riconosciuto, a differenza di tali organizzazioni, gode dei particolari poteri e funzioni di cui all'art. 53, comma 15, l. n. 128 del 1998 » (Cass. civ., sez. I, ord., 3 agosto 2023, n. 23746).

Risarcimento danni da contraffazione

In una vicenda avente ad oggetto delle condotte di contraffazione, per le quali è intervenuta assoluzione in sede penale, è sorta invece la questione relativa al giudizio di rinvio ai soli effetti civili. Il Collegio ha affermato i principi di diritto secondo cui «in tema di annullamento da parte del giudice di legittimità della sentenza penale ai soli effetti civili, il rinvio ex art. 622 c.p.p. determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria, ove la valutazione della colpa dev'essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta, bensì di quello civilistico ‘oggettivato', riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello. In tema di risarcimento dei danni cagionati dalla contraffazione di segni distintivi, l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale di cui all'art. 2598, n. 1), c.c., comporta la presunzione di colpa prevista dall'art. 2600, comma 3, c.c., che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo da valutarsi secondo il canone civilistico ‘oggettivato', riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello» (Cass. civ., sez. I, ord., 3 agosto 2023, n. 23739).

Registrazione e coesistenza

Infine, viene esaminato il ricorso di una società che si era opposta alla registrazione di un marchio, opposizione rigettata perché secondo la Commissione dei ricorsi contri i provvedimenti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) la coesistenza per un ingente lasso di tempo (circa 20 anni) di due segni all'interno del medesimo mercato aveva consentito al pubblico interessato di identificare e distinguerli, con conseguente insussistenza, in concreto, del rischio di confusione e associazione di cui all'art. 12 d.lgs. n. 30/2005. Sul punto la Cassazione chiarisce che «in tema di marchi d'impresa, la ‘preclusione per coesistenza' che rappresenta un'ipotesi del tutto particolare in cui viene meno il requisito essenziale del pericolo di confusione tra i segni distintivi di cui all'art. 20, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 30/2005, richiede l'accertamento della prolungata coesistenza dei marchi ed anche della buona fede del titolare del marchio posteriore, fermo restando che la coesistenza deve essere valutata con riferimento all'intero ambito operativo della privativa di cui il titolare del diritto di esclusiva può godere e che, invece, proprio in ragione della menzionata coesistenza, gli è limitata, con la conseguenza che non può assumere rilievo, ai fini della integrazione di tale ipotesi, il fatto che il titolare del marchio per primo registrato abbia acconsentito all'utilizzo del marchio identico o simile in un ambito strettamente locale» (Cass. civ., sez. I, ord., 3 agosto 2023, n. 23727).

(Fonte: DirittoeGiustizia.it)

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