Covid 19: nessun obbligo per il datore di individuare mansioni diverse o di collocare in ferie il dipendente ultracinquantenne privo del green pass rafforzato
07 Agosto 2023
Massima
La normativa di riferimento (l'art. 9-quinquies, d.l. n. 52/2021, conv. con modif., in l. n. 87/2021) non fa alcuna eccezione, diversamente da altri settori, né in punto possibilità di ricollocamento del lavoratore né in ordine alla possibilità di un suo collocamento in ferie né, infine, alla possibilità di svolgimento della prestazione con modalità agile, giacché prevede espressamente che il dipendente sia considerato assente ingiustificato e, dunque, impone al datore di lavoro la mera conservazione del posto di lavoro senza onere di modifica dell'organizzazione aziendale per consentire al dipendente di sottrarsi all'obbligo vaccinale imposto dalla legge. Il caso
Il Tribunale di Prato ha rigettato il ricorso proposto ex art. 700 c.p.c. da un lavoratore ultracinquantenne che aveva impugnato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione adottato dalla datrice per non essere il ricorrente in possesso dei requisiti per accedere al luogo di lavoro in forza del combinato disposto di cui agli artt. 4-quater, 4-quinquies e 9-quinquies d.l. n. 44/2021, conv. con modif., in l. n. 76/2021 come interpretati dal D.P.C.M. 12 ottobre 2021. In sostanza, all'epoca dei fatti sussisteva, in forza delle disposizioni richiamate, l'obbligo di vaccinazione per gli over 50 e di esibizione di green pass rafforzato per l'accesso ai luoghi di lavoro in assenza del quale il lavoratore era considerato assente ingiustificato con diritto alla conservazione del posto di lavoro ma non alla retribuzione.
Il ricorrente, in generale, deduceva il carattere discriminatorio del Regolamento (UE) 2021/953, che restringeva la libera circolazione delle persone non vaccinate, e delle disposizioni nazionali, che imponevano il vaccino agli adulti di anni 50 compiuti; censurava l'obbligo di vaccinazione anche in considerazione del preteso carattere sperimentale della campagna vaccinale, assunto fondato sul particolare iter (condizionato) d'immissione in commercio dei vaccini; deduceva, inoltre, l'incompatibilità della normativa posta a fondamento del provvedimento disciplinare impugnato con la tutela costituzionale del lavoro e dubitava della costituzionalità dello stato di emergenza di cui alla l. n. 11/2022; denunciava, infine, come sproporzionata la previsione della vaccinazione quale requisito essenziale per lo svolgimento di attività lavorativa. Con riguardo, invece, alla specifica realtà lavorativa, contestava la condotta datoriale per non aver la società, tenuto conto delle mansioni assegnate al ricorrente, né seguito l'iter per il collocamento di quest'ultimo in mansioni che non comportassero un contatto con l'esterno né considerato la possibilità di far fruire al lavoratore le ferie. La questione
Il Tribunale di Prato è stato chiamato a giudicare la legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione adottato da una società partecipata pubblica nei riguardi di un dipendente ultracinquantenne che, vigente l'obbligo di vaccinazione per gli over 50 e di possesso della certificazione verde per l'accesso ai luoghi di lavoro, è risultato privo dei necessari requisiti per recarsi al lavoro e, quindi, assente ingiustificato con diritto alla conservazione del posto di lavoro ma non alla retribuzione. La soluzione giuridica
Il giudice, previo richiamo alla legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale già dichiarata dalla Corte Costituzionale, 9 febbraio 2023, n. 14, ha dedotto la legittimità di tale obbligo anche per le persone che abbiano superato i 50 anni di età, in ragione dell'applicazione del principio di solidarietà sociale dal quale discende la prevalenza dell'interesse alla salute collettiva rispetto al diritto individuale di autodeterminazione nel medesimo ambito.
Il Tribunale ha, poi, precisato che è impedita all'autorità giurisdizionale ogni valutazione circa il merito delle scelte legislative sulla validità scientifica dei presupposti che hanno determinato l'introduzione della normativa impositiva dell'obbligo vaccinale come pure sulle valutazioni parlamentari in punto di proporzionalità della misura per l'introduzione della vaccinazione come requisito essenziale per lo svolgimento di determinate attività lavorative. Ne viene, quindi, dedotta l'irrilevanza delle argomentazioni del ricorrente sull'idoneità o meno della vaccinazione a prevenire il contagio da Covid-19 e sulla presunta dannosità del farmaco, posto che l'autorità giudiziaria deve fondare il proprio convincimento sulle informazioni ufficiali veicolate dalle competenti autorità pubbliche con riguardo alla miglior scienza ed esperienza del momento storico in cui viene compiuta la scelta legislativa.
Anche le perplessità del ricorrente in merito all'introduzione dell'obbligo vaccinale a fronte di un'autorizzazione condizionata all'immissione in commercio del farmaco sono state ritenute superate. Già il Consiglio di Stato si era pronunciato sul punto, escludendo che detta procedura costituisse una “scorciatoia incerta e pericolosa” per far fronte “irrazionalmente” all'emergenza sanitaria ed evidenziando il carattere generale e consueto di detta procedura a fronte di necessità contingenti, peraltro già affrontate anche in campo medico diverso (oncologico).
Il Tribunale ha ritenuto infondate anche le perplessità relative al preteso contrasto con la normativa europea dell'obbligo nazionale di imporre la vaccinazione ad alcune categorie di persone o di lavoratori, da un lato, essendo quest'ultima una legittima scelta di politica di salute pubblica, materia esclusa dalle competenze esclusive e concorrenti dell'Unione e, dall'altro, non rinvenendo comunque ragioni per non ritenere rispettati i requisiti di proporzionalità e, in generale, tutte le condizioni poste dalla norma per giustificare le limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà assicurate dalla normativa europea.
Con particolare riguardo, infine, al contesto lavorativo del ricorrente, il Tribunale ha escluso l'obbligo del datore di lavoro di verificare la possibilità di ricollocamento o di collocamento in ferie del lavoratore non vaccinato, atteso che la normativa di riferimento non prevedeva eccezioni al mero diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Per tutte le considerazioni esposte, il Tribunale di Prato ha dichiarato legittimo il provvedimento di sospensione. Osservazioni
La sentenza in argomento giunge ormai in un momento in cui, fortunatamente, l'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 sembra ormai attenuata.
La pronuncia, in ogni caso, non fa che dare conforto alla giurisprudenza che, a proposito dell'obbligo vaccinale e della necessità di green pass per l'accesso ai luoghi di lavoro, ha nel tempo fissato importanti principi che di seguito si riassumono.
Prima tra tutti la legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale, tenuto conto, da un lato, del privilegio assegnato, nel bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, alla salute pubblica rispetto al diritto individuale all'autodeterminazione con riguardo alle scelte mediche e, dall'altro, della proporzionalità della scelta politica del legislatore rispetto alle condizioni della situazione contingente.
Il Tribunale ha, poi, confermato l'esclusione di ogni sindacato da parte dell'autorità giudiziaria tanto sulle valutazioni di carattere scientifico poste a fondamento delle scelte di politica sanitaria tanto, quindi, su queste ultime, di competenza esclusiva del legislatore. Infine, è stato escluso qualsivoglia obbligo per il datore di lavoro di attivarsi nella ricerca di soluzioni diverse da quella alla mera conservazione del posto di lavoro al dipendente considerato assente ingiustificato ex art. 9-quinquies, d.l. n. 52/2021 cit.
La pronuncia in esame, peraltro, si pone in linea con il più recente orientamento giurisprudenziale che, seppur nel diverso contesto del più generale obbligo di green pass base per l'accesso ai luoghi di lavoro senza obbligo selettivo di vaccinazione, si è espressa in modo analogo a fronte del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione e della conseguente sospensione del lavoratore dalla retribuzione.
Si evidenzia, infine, che sentenze di analogo tenore sono state pronunciate anche da diversi Tribunali di merito che hanno dichiarato la legittimità dei provvedimenti datoriali assunti a seguito dell'inottemperanza dei dipendenti a disposizioni aziendali che imponevano, in epoca emergenziale, l'adozione di particolari cautele, quali, ad esempio, attività di screening e l'esibizione dell'esito del tampone attestante l'avvenuta guarigione dall'infezione da Covid-19 (cfr. Tribunale di Milano, sez. lav., 12 maggio 2022, n. 11928, confermata in sede di reclamo dall'ordinanza n. 16151 del 23 giugno 2022; Tribunale di Bergamo, 8 febbraio 2022 sez. lav., n. 549 ).
Si tratta, in definitiva, di una rigorosa e corretta applicazione del richiamato principio di solidarietà sociale che impone, nella valutazione di interessi contrapposti, la tutela della salute collettiva. |