Lo ius variandi del piano di ristrutturazione

08 Agosto 2023

L'Autore esamina la problematica concernente il diritto del debitore di “aggiustare” il piano di ristrutturazione lungo il corso del concordato in continuità aziendale e gli strumenti che l'ordinamento gli mette a disposizione per evitarne il naufragio in caso di opposizione dei creditori all'omologazione e di ricorso contro la stessa.
Le modifiche prima del voto

Può il debitore modificare il piano (e la proposta) almeno prima del voto dei creditori? La risposta è senz'altro positiva.

Ciò trova un primo riscontro nell'art. 90, comma 8, CCII, relativo alle proposte concorrenti: “Le proposte di concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore, possono essere modificate fino a venti giorni prima della votazione dei creditori”: previsione identica a quella contenuta nell'art. 105, comma 4, CCII che tratta della relazione del commissario.

E ancora, l'art. 91, comma 9, CCII prevede che “il debitore modifica la proposta e il piano in conformità all'esito della gara” costruita sull'offerta vincolante di terzo avente ad oggetto l'azienda.

Ma significativo in tal senso è anche l'art. 107, terzo comma, CCII ove si legge che il commissario giudiziale, almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, rende la sua relazione nella quale illustra “le proposte definitive del debitore”, chiara allusione al fatto che le proposte sono provvisorie fino al momento in cui si cristallizzano per consentire al commissario l'istruzione del caso e la formulazione delle sue considerazioni per consentire ai creditori di esprimere un consenso informato.

Altro indizio della modificabilità della proposta lo si trova nell'art. 87, comma 3, CCII, ove, a proposito dell'attestazione, si legge che “Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta e del piano”.

Direi anche che non vi siano dubbi sul fatto che, almeno nella fase anteriore al voto, le modifiche possano essere sia in melius che in peius. Quando la modifica migliora la proposta, nulla quaestio. Ma se la modifica la peggiora, il commissario deve sorvegliare che, per effetto di tale peggioramento, non si crei una “circostanza … tale da pregiudicare una soluzione efficace della crisi” (art. 44, primo comma, lett. b), CCII). È tale, si deve pensare, una riduzione delle percentuali offerte ai chirografari tale da rendere il piano concordatario “manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori” (art. 47, primo comma, lett. b), CCIII), secondo la teoria della causa concreta.



Le modifiche dopo il voto

Una volta superato il voto, che succede?

Il concordato può essere approvato o meno. Se nel vecchio sistema il concetto di “promosso o bocciato” era più netto – anche se già allora erano state varate misure per consentire il cram down e raggiungere le maggioranze richieste – oggi l'alternativa è assai meno definita.

Sappiamo che il concordato viene promosso a pieni voti se, ai sensi dell'art. 109, comma 5, CCII, lo votano tutte le classi; ma sappiamo anche che il sistema prevede una sorta di girone di recupero, la ristrutturazione trasversale, regolata dall'art. 112, comma 2, CCII che apre all'omologazione su richiesta del debitore se, alternativamente:

  • la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi di cui una privilegiata;
  • la proposta è approvata da almeno una classe di creditori interessati, cioè quei creditori che “sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”

Sul punto mi permetto rinviare al mio contributo: Tentativo di interpretazione dell'art. 112, secondo comma, CCII: un mistero avvolto in un enigma, pubblicato su questo portale, 15 giugno 2023.



… se il concordato non è approvato

Nel caso in cui non si verifichi nessuna delle due condizioni poste dall'art. 112, comma 2, CCII e il concordato sia bocciato, si pone la questione se al debitore sia consentito rivedere in meglio la proposta e riproporla, corredata di un nuovo piano asseverato, nell'ambito della medesima procedura, facendo tornare indietro le lancette dell'orologio a prima della votazione, avendo nel frattempo acquisito informazioni sulle volontà dei creditori.

Onestamente, non vedo obiezioni nella legge. Tutto il sistema, infatti, mi sembra orientato a conseguire il risultato della ristrutturazione e a salvare il rilevante lavoro fatto dai diversi attori, secondo il generale principio di conservazione e di economia processuale.

Un riferimento analogico si trova, a mio avviso, nell'art. 64-ter CCII, ove si prevede che se il piano di ristrutturazione non è approvato da tutte le classi il debitore, nello stretto termine di quindici giorni dalla data del deposito della relazione del commissario, se ritiene di avere ottenuto l'approvazione di tutte le classi, può chiedere che il tribunale accerti l'esito della votazione e omologhi il piano di ristrutturazione.

Questa possibilità, che l'ordinamento non nega, e quindi permette, deve essere inquadrata nella disciplina della fase successiva alla votazione negativa. Qui domina l'art. 49, commi 1 e 2, CCII che regola il comportamento del Tribunale quando, tra gli altri casi, vi è “mancata approvazione del concordato” (art. 49, secondo comma, CCII). Il Tribunale, su ricorso di uno dei soggetti legittimati (tra cui anche il pubblico ministero) e accertati i presupposti dell'art. 121 CCII, deve dichiarare con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale. Ma non può non osservarsi come anche in questa fase operi la regola di preferenza, dettata dall'art. 7, comma 2, CCII, per le domande dirette a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale.

Ne segue che anche in questo frangente il Tribunale dovrà esaminare la proposta del debitore volta a instaurare un nuovo concordato, naturalmente incorporando nel giudizio di ammissibilità le informazioni ottenute nella precedente vicenda concorsuale e valutando le possibilità di conseguimento degli obiettivi prefissati considerando il possibile degrado della struttura aziendale nel frattempo intervenuto. Qualora la nuova proposta non contenga elementi di novità e di miglioramento sostanziale rispetto alla precedente, bocciata dai creditori, il Tribunale potrà non ammetterla ritenendola “manifestamente inidonea alla soddisfazione dei creditori”, secondo la già citata formula dell'art. 47, comma 1, lett. b), CCII.



… e se il concordato è approvato o ammesso alla ristrutturazione trasversale

Nello scenario in cui, invece, il concordato passi a pieni voti o si creino le condizioni per la ristrutturazione trasversale del debito si pone il problema della modifica del piano in presenza di opposizioni all'omologazione.

Qui i principi che devono ispirare sono quello, già ricordato, della conservazione degli atti e di economia processuale e il rispetto del consensualismo che fa da sfondo all'intera procedura. Il consensualismo dovrebbe implicare che ogni soluzione che soddisfa l'opponente (e per conseguenza la classe cui in taluni casi deve venire parificato) e non pregiudica le altre classi di creditori deve essere ammissibile. Il tutto ovviamente nel rispetto della regola di priorità relativa posta dall'art. 112 CCII, nel senso che l'eventuale miglioramento del trattamento della classe del creditore dissenziente non deve alterare l'ordine delle prelazioni relative.

Le soluzioni al problema della modificabilità della proposta vanno modulate in funzione del contenuto dell'opposizione, che può essere il più vario, spaziando da ragioni di mera legittimità, a ragioni di legittimità-merito, per finire in mere ragioni di merito.

Mi pare che il problema dello ius variandi si ponga, in specie, davanti a opposizioni che investano il merito o che siano di legittimità-merito (la distinzione può non essere facile). Qui colgo almeno cinque possibili rilievi critici, quelli relativi a (i) la formazione delle classi, (ii) l'esistenza dei presupposti per l'accesso alla ristrutturazione trasversale del debito (iii) la fattibilità del piano, (iv) la causa concreta e (v) la convenienza della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria.

Ogni soluzione va ovviamente vagliata alla luce dello specifico caso. Proviamo però a immaginare degli esempi.

Circa la formazione delle classi, sappiamo che le classi devono essere composte da creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei. Possiamo ipotizzare così che un fornitore, messo in una classe di generici, affermi di essere strategico, e rivendichi per sé il medesimo trattamento (evidentemente migliore) offerto a questi ultimi. Ebbene, niente impedirà di spostare questo creditore dalla classe dei generici a quella degli strategici, offrendogli il medesimo trattamento di questi ultimi.

Circa la sussistenza dei presupposti per l'accesso alla ristrutturazione trasversale, potrebbe essere messo in discussione che la classe a favore del piano sia fatta di creditori interessati (cioè che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione). La contestazione verrà condotta affermando e dimostrando che il patrimonio a disposizione dei creditori è minore di quello dichiarato, o che la classe di creditori interessati ha un rango inferiore a quello dichiarato. Non mi pare che in questo caso vi sia rimedio modificando la proposta, perché se un creditore non è interessato (nel senso del secondo comma dell'art. 112 CCII) non può svolgere la funzione di apri-pista per la ristrutturazione trasversale che il Codice gli assegna.

Circa la fattibilità del piano, potrebbe essere contestato, in un concordato in continuità indiretta con pagamento differito, che il compratore sia sufficientemente solido e solvibile. In tal caso una garanzia bancaria offerta in limine potrebbe salvare la procedura, senza impattare sulle percentuali offerte, ma semplicemente rendendo più credibile la promessa del debitore.

Se l'opposizione ha ad oggetto la causa concreta del concordato, perché ad esempio la percentuale offerta ai chirografi è talmente bassa da rendere il concordato incapace di garantire a tali creditori una reale soddisfazione, sarà possibile per il debitore incrementare la percentuale di soddisfo e portarla sopra il livello di sufficienza.

Se l'opposizione ha invece ad oggetto la convenienza, il debitore potrebbe offrire al creditore opponente (rectius alla sua classe) un quid pluris con risorse tali da rendere la proposta migliore rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. L'azione di opposizione dovrebbe procedere con l'indicazione da parte del creditore-attore della somma che egli potrebbe ricevere dalla liquidazione. Infatti, non possono essere ammesse azioni fondate su contestazioni generiche, perché sarebbero puramente esplorative. D'altra parte, il creditore ha a disposizione una messe di informazioni (il piano, la relazione del commissario, l'attestazione) che lo mettono in condizione di formulare una indicazione concreta e specifica del valore di liquidazione. Dinnanzi alla richiesta del creditore, il debitore può pareggiare e fare venire meno l'interesse all'azione. Naturalmente queste modifiche devono avvenire senza alterare l'ordine delle prelazioni relative tra classi, il che potrebbe comportare una serie di mutamenti a salire delle percentuali di soddisfazione.



Le fonti finanziarie del miglioramento del piano

Una questione che si pone è relativa alla fonte delle risorse che il debitore mette in campo per il miglioramento della proposta. Mi pare che possa essere di tre tipi (anche combinati):

  • dall'esterno;
  • dall'interno, erodendo l'equity;
  • dall'interno, migliorando il piano in alcuni suoi elementi chiave.

La soluzione esterna non crea alcuna questione. Il piano non viene intaccato e non vi è bisogno di alcuna sua revisione.

La soluzione interna, attingendo all'equity, andrà ben spiegata, poiché l'equity ha una funzione di garanzia per i creditori e ridurlo potrebbe infragilire il piano.

La soluzione che comporta infine la revisione delle ipotesi di piano (ad esempio prevedendo una crescita dei ricavi o una riduzione dei costi) richiederà una nuova attestazione, a meno che si tratti di modifiche non sostanziali, che stavano già nello spazio di flessibilità del piano, ed erano state già vagliate e validate dall'attestatore.



L'interesse all'azione di opposizione all'omologazione

La legge parla di creditore dissenziente, lasciando intendere che basti il voto contrario, anche di un creditore appartenente ad una classe che ha votato maggioritariamente a favore, per legittimare l'opposizione.

Io ritengo che il giudizio di opposizione non possa che conformarsi al generale modello del giudizio civile che considera l'illecitocome presupposto necessario ma non sufficiente per l'azione. Oltre alla legittimazione attiva, data dal dissenso, occorre che si realizzi un altro presupposto per l'azione: cioè l'interesse della parte lesa, la violazione di una sua situazione sostanziale protetta. Così, in limine ad ogni giudizio, vi sarà la verifica della posizione dell'opponente rispetto all'illecito contestato. Se tale posizione è neutra, nel senso che anche correggendo il vizio la situazione dell'opponente non muterebbe, allora – a mio modesto avviso – l'opposizione non dovrebbe essere considerata ammissibile.

Così, ad esempio, una opposizione che contesti la convenienza della proposta rispetto alla alternativa liquidatoria dovrà essere dichiarata inammissibile qualora il creditore opponente non dimostri che lo scenario liquidatorio gli garantirebbe una soddisfazione maggiore di quella che gli offre la proposta contestata. Il che esclude tutti quei creditori che sono beneficati dalla proposta nonostante, per il loro grado, nulla riceverebbero da una liquidazione giudiziale.

Ma anche l'opposizione che contesti la fattibilità del piano dovrebbe essere giudicata alla luce dell'interesse. Solo quei creditori che potrebbero guadagnare qualcosa dall'alternativa liquidatoria, in cui fatalmente si cadrebbe negando la fattibilità, dovrebbero avere titolo per opporsi.

E, ancora, l'opposizione alla ristrutturazione trasversale del debito non può che basarsi sulla affermazione, suffragata da robusti elementi di fatto, che, per il creditore procedente, sia preferibile la liquidazione giudiziale rispetto a quanto gli verrebbe dalla proposta sottoposta al vaglio del Tribunale ai sensi dell'art. 112, comma 2, CCII.



Il reclamo contro la sentenza di omologazione

Una volta che il piano e la proposta siano stati omologati residua, per il creditore opponente soccombente, lo strumento del reclamo di cui all'art. 51 CCII.

A questo riguardo il Legislatore, con il d.lgs. n. 83/2022, ha inserito nell'art. 53 CCII il comma 5-bis che recita: “In caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d'appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l'interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest'ultimo il risarcimento del danno”.

Si tratta di norma costruita sul calco del considerando 65 della Direttiva Insolvency, che così recita: “In caso di accoglimento dell'impugnazione, l'autorità giudiziaria o amministrativa dovrebbe poter prendere in considerazione, in alternativa all'annullamento del piano, una modifica del medesimo, qualora gli Stati membri prevedano tale possibilità. Dovrebbe essere possibile proporre o votare modifiche al piano da parte delle parti, di loro iniziativa o su richiesta dell'autorità giudiziaria. Gli Stati membri potrebbero anche disporre che sia concesso un risarcimento per le perdite monetarie subite dalla parte la cui impugnazione sia stata accolta”.

La norma nazionale costituisce un estremo strumento di salvezza della ristrutturazione, se essa va nell'interesse generale dei creditori e dei lavoratori, accordando, su richiesta delle parti, un risarcimento del danno al creditore reclamante.

Ci si deve semmai interrogare sulla condizione cui il Legislatore ha subordinato il rimedio risarcitorio: la richiesta delle parti. Si tratta di tutte le parti o anche di una sola di esse?

Io ritengo che sia sufficiente una parte. Infatti, è usato il termine richiesta, e non accordo, come invece nell'art. 257-bis del c.p.c. in punto di testimonianza scritta. D'altra parte, non si vede perché sia necessaria la richiesta di tutte le parti. Che interesse avrebbe il reclamante a preferire la soluzione dell'invalidazione dell'intera procedura in luogo del risarcimento? Nessuno. Quindi si deve intendere che basti la richiesta anche di una sola parte, sia essa il debitore o il reclamante, a dar luogo al risarcimento del danno, come formula satisfattiva dell'interesse in gioco.

Essendo ormai oltre l'omologazione, il risarcimento riguarderà il solo reclamante e non tutta la sua classe. D'altra parte, il rimedio offerto dal Legislatore è per equivalente e non in forma specifica. Ne segue che non sarà necessario riequilibrare tutta la struttura della proposta per rispondere alla domanda del reclamante, coinvolgendo anche gli altri creditori della sua classe, ma sarà sufficiente ristorare egli solo della perdita sofferta.



Conclusioni

Si è cercato di dimostrare, con riferimenti normativi e avendo presente lo spirito generale della disciplina per come emerge dalla disciplina europea, tutta intesa alla salvezza dei valori aziendali, come sia possibile per il debitore modificare la proposta e il piano di concordato in continuità aziendale durante tutta la procedura.

Tali modifiche potranno essere sia migliorative che peggiorative se intervengono prima del voto (e nel caso siano peggiorative con l'unico limite del rispetto della causa concreta, cioè, per usare la formula dell'art. 47 CCII, della non manifesta inidoneità a soddisfare i creditori).

Potranno invece essere solo in meljus se intervengono dopo il voto e prima dell'omologazione (ivi compresa la fase del giudizio di omologazione).

Naturalmente le modifiche dovranno (i) implicare una nuova attestazione se sostanziali; (ii) riguardare tutti i creditori di una classe; e (iii) rispettare le cause legittime di prelazione (relativa) tra le classi, comportando se del caso dei miglioramenti anche per classi poste in grado superiore.

Infine, abbiamo commentato l'art. 53, comma 5-bis, CCII cogliendone la funzione conservativa del procedimento , sostenendo che il risarcimento per equivalente al solo creditore reclamante presuppone la richiesta anche di una sola parte e non di entrambe.



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