La cessazione della materia del contendere ha valore pregiudiziale rispetto alla questione di giurisdizione

08 Agosto 2023

La sentenza di appello viene censurata dal ricorrente per avere il Tribunale omesso di dichiarare cessata la materia del contendere quando, invece, tale statuizione sarebbe stata pregiudiziale rispetto a quella sulla giurisdizione.
Massima

La declaratoria di cessazione della materia del contendere, integrando una causa di estinzione preclusiva di ogni possibilità di ulteriore corso del processo, riveste carattere pregiudiziale rispetto alla questione di giurisdizione, la quale è invece necessariamente strumentale alla statuizione di merito sulla domanda, in quanto volta all'individuazione del giudice munito del potere-dovere di decidere il merito della controversia.

Il caso

In primo grado, nell'ambito di un giudizio risarcitorio, la richiesta del danneggiato di chiamare in causa un'altra assicurazione (diversa da quella originariamente citata che aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva) veniva respinta e il processo proseguiva tra le parti originarie. Ricevuta l'intimazione di pagamento del contributo unificato relativo alla chiamata in causa di terzo unitamente alla sanzione irrogatagli per l'inadempimento e ritenendo non dovuto il pagamento, stante la mancata autorizzazione alla chiamata medesima, l'attore proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l'intimazione di pagamento e il provvedimento sanzionatorio e , tuttavia, l'ufficio di Equitalia, incaricato della riscossione dal titolare del credito, notificava la cartella di pagamento contro al quale l'attore proponeva ricorso sempre dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, per l'annullamento. Malgrado ciò, l'agente riscossore notificava il preavviso di fermo amministrativo del veicolo dell'attore che opponeva quest'ultimo provvedimento davanti al Giudice di pace che lo annullava, evidenziando appunto come, non essendo stata autorizzata la chiamata di terzo, non sussisteva l'obbligo di pagare il contributo unificato, condannando Equitalia – che, costituitasi, aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario – alle spese del giudizio.

Agenzia delle Entrate, in qualità di successore di Equitalia S.p.A., proponeva appello deducendo, tra l'altro, l'omessa pronuncia del primo giudice sull'eccezione di giurisdizione.

Instaurato il contraddittorio, all'udienza di precisazione delle conclusioni il resistente rilevava che era sopravvenuta una causa di cessazione della materia del contendere per essere passata in giudicato la sentenza della Commissione Tributaria con cui era stata dichiarata la nullità dell'intimazione di pagamento e della successiva cartella ed era stata accertata la non debenza del contributo unificato nonché, quindi, l'inesistenza dell'obbligazione tributaria su cui era fondato il preavviso di fermo. Chiedeva, dunque, provvedersi in conformità, con condanna dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione alle spese del grado.

Il Tribunale ritenendo “preliminare” il vaglio del motivo di appello relativo all'omessa pronuncia del giudice di primo grado sull'eccezione di difetto di giurisdizione, lo riteneva fondato e dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario.

L'appellato proponeva ricorso in Cassazione.

Le questioni

La sentenza di appello viene censurata dal ricorrente, con il richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 18956/2003, per avere il Tribunale omesso di dichiarare cessata la materia del contendere quando, invece, tale statuizione sarebbe stata pregiudiziale rispetto a quella sulla giurisdizione.

La questione presuppone la disamina di due temi: a) l'inquadramento della pronuncia di cessazione della materia del contendere, nell'alternativa tra portata sostanziale o meramente processuale della statuizione predetta; b) nella delibazione di più questioni di rito quale debba essere previamente vagliata.

Il primo tema di indagine, cui è connesso quello della possibilità della formazione di un giudicato avente portata sostanziale continua ad essere vivo nella giurisprudenza perché la cessazione della materia del contendere è un istituto di “origine pretoria” – come si legge in Cass. civ. n. 1048/2000 - in quanto, ignorato dal codice di rito, è stato introdotto nel nostro ordinamento solo dalla giurisprudenza, a partire da Cass. civ. n. 92/1954 e, poi, nel prosieguo, adoperata come formula terminativa di una serie di giudizi, ai quali non si attagliavano le figure della rinuncia agli atti o all'azione.

La stessa è divenuta diritto vivente, sebbene vi sia anche stato un tentativo, rimasto senza successo, di espungerla dal sistema perché, appunto, non prevista ne' esplicitamente ne' implicitamente da alcuna disposizione codicistica o da una qualche legge speciale, sulla base anche del rilievo che il codice di rito prevede altre formule terminative del processo che nel loro complesso assolvono a funzioni tra le quali può ben ricomprendersi il soddisfacimento degli interessi che la prassi giudiziaria sottende alla richiesta ed all'adozione di un provvedimento dichiarativo della cessazione della materia del contendere (Cass. civ. n. 5516/1996).

Permangono delle incertezze sulla natura dell'istituto e neanche la disciplina della cessazione della materia del contendere nell'ambito della giurisdizione amministrativa e tributaria ha consentito di risolvere i contrasti giurisprudenziali sorti nell'ambito del processo civile con riferimento all'inquadramento dell'istituto, sia per l'autonomia del procedimento amministrativo rispetto a quello ordinario disciplinato dal codice di rito, sia perché, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 546/1992, sono le disposizioni del codice di procedura civile a dovere integrare le previsioni della legge speciale e non viceversa.

Vale la pena rammentare che l'istituto in esame è entrato, per la prima volta, nella legislazione, proprio con la l. n. 1034/1971, che l'ha previsto nel processo amministrativo quando "entro il termine per la fissazione dell'udienza, l'amministrazione annulla o riforma l'atto impugnato in modo conforme alla istanza del ricorrente" (art. 23, comma 7) e che comunque, non è esaustiva di tutte le ipotesi di cessazione della materia del contendere.

Nella pronuncia del Cons. St., sez. IV, n. 3493/2023, in applicazione di consolidati principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1383/2022; sez. V, n. 7944/2021; sez. IV, n. 2027/2021, n. 8147/2020, n. 7326/2020, n. 3001/2018; n. 4659/2017), si precisa che il riconoscimento del bene della vita sopraggiunto in grado di appello in favore della parte ricorrente vittoriosa in primo grado (anche se conseguito per il tramite di un giudicato, ovvero di una sopravvenienza normativa), comporta la declaratoria di cessata materia del contendere ex art. 34, comma 5, c.p.a., ovvero di improcedibilità del ricorso di primo grado, a seconda che l'amministrazione resistente abbia operato il ritiro del provvedimento impugnato in prime cure con effetti ex tunc ovvero ex nunc.

Anche il d.lgs. n. 546/1992, in tema di contenzioso tributario ha espressamente previsto la cessazione della materia del contendere quale causa di estinzione del processo, affiancandola ai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge (art. 46, comma 1) e contrapponendola alle ipotesi di estinzione per rinuncia al ricorso (art. 44) e a quella per inattività delle parti (art. 45).

Quanto al rito civile, nel dibattito giurisprudenziale sviluppatori in ordine alla portata sostanziale o meramente processuale della pronuncia di cessazione della materia del contendere e alla conseguente possibilità della formazione di un giudicato avente portata sostanziale sono intervenute le sezioni unite con la sentenza n. 1048/2000 per dirimere il contrasto tra chi - Cass. civ. n. 2161/1997 (richiamante Cass. civ., sez. un., n. 6938/1994) - qualificava la pronuncia come dichiarativa, da assumere nella forma della sentenza, e incidente sul merito della controversia, ritenuta equivalente ad una decisione di rigetto della domanda dedotta in giudizio, e perciò idonea a generare, nel caso di riproposizione della domanda rinunciata, un'exceptio rei iudicatae e chi - Cass. civ. n. 4583/1999 - sosteneva la natura meramente processuale della pronuncia, attenendo alle vicende dell'interesse ad agire e, quindi, ai presupposti processuali che condizionano la possibilità, o meno, della delibazione di merito della fondatezza dell'azione.

Con la pronuncia del 2000 le Sezioni Unite, partendo proprio dalla non assimilabilità della cessazione della materia del contendere sia alla rinuncia agli atti del giudizio sia alla rinuncia all'azione, sono giunte ad affermare che nel rito contenzioso ordinario, la detta costituisce una ipotesi di estinzione del processo da pronunciare con sentenza, d'ufficio o su istanza di parte, ogniqualvolta non si può fare luogo alla definizione del giudizio per rinuncia agli atti o per rinuncia alla pretesa sostanziale, per il venire meno dell'interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio, che determina il venire meno delle pronunce emesse nei precedenti gradi e non passate in giudicato e che proprio perché accerta solo il venire meno dell'interesse e non attribuisce il bene della vita posto a fondamento della pretesa, ha natura processuale e non ha alcuna idoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, ma solo sul venire meno dell'interesse e con l'ulteriore conseguenza che il giudicato si forma solo su quest'ultima circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui è emessa.

La inidoneità della pronuncia di cessazione della materia del contendere a formare una giudicato di merito è stato così argomentato: a) dall'incidenza di tale sentenza, ove emessa in sede di impugnazione, sulla decisione impugnata, che viene ad essere posta nel nulla azzerando il processo, il quale si esaurisce con un esito che (in quanto neutro rispetto a quello di merito) ha un contenuto meramente processuale; b) dall'impossibilità di esperire l'actio iudicati sulla base della pronuncia di cessazione della materia del contendere, dal momento che la stessa non contiene ne' l'attribuzione, ne' la negazione del bene della vita oggetto della pretesa azionata,; c) dal fatto che la preclusione di merito conseguente alla sentenza di cessazione della materia del contendere, in ipotesi di transazione stragiudiziale della controversia, trova il suo fondamento non in questa sentenza, ma nell'atto giuridico il quale, nel porre una nuova sistemazione degli interessi, impedisce la pura e semplice riproposizione della originaria domanda con lo stesso petitum.

La sentenza di cessazione della materia del contendere passa in giudicato, invece, in ordine alla sopravvenuta mancanza dell'interesse ad agire - con la conseguenza che la parte attrice non può adire il giudice allegando viceversa la sussistenza di tale interesse e con l'ulteriore conseguenza che l'originario attore può dedurre un fatto nuovo, modificativo della situazione giuridica dedotta, che abbia fatto insorgere (o risorgere) l'interesse ad agire - nonché sulla competenza e sulla giurisdizione del giudice adito, senza estendersi al merito della pretesa azionata (I principi sopra espressi sono stati successivamente ribaditi in Cass. civ. nn. 4167/2020, 4714/2006, 3122/2003, 12090/2002, 11429/2002, 10977/2002, 9332/2001).

In ordine al secondo aspetto, quello dei rapporti tra dichiarazione di cessazione della materia del contendere e accertamento dei presupposti preprocessuali si riscontra, invece, un solo precedente specifico in tema di giurisdizione - Cass. civ., sez. un., n. 18956/2003 – cui la Corte aderisce.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza costituisce una coerente applicazione dell'orientamento giurisprudenziale, ormai pressoché uniforme , in forza del quale la pronuncia di cessata materia del contendere è pronuncia in rito, integrando una particolare forma di estinzione del processo di cognizione, giustificata e dichiarativa dell'impossibilità di procedere alla definizione del giudizio nel merito per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione dello stesso (tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale). Sul punto si potrebbe obiettare, come qualcuno ha fatto, che quantomeno nel caso in cui l'evento da cui derivi sia di carattere sostanziale, la pronuncia in oggetto sarebbe di merito contenendo l'accertamento della sopravvenuta realizzazione/trasformazione del diritto controverso.

Sul secondo aspetto la Corte di legittimità precisa che l'accertamento della intervenuta cessazione della materia del contendere precede l'esame di ogni altra questione preliminare, anche se attinente all'esistenza di requisiti extraformali relativi al giudice, quali la giurisdizione e la competenza.

Nei pochi precedenti che si rinvengono è stato ritenuto che l'eventuale esistenza di un vizio di carattere processuale impedisca l'esame della intervenuta cessazione della materia del contendere, come nell'ipotesi di domanda improponibile, incompetenza del giudice (Cass. civ. n. 5174/1997), nullità dell'atto introduttivo (Cass. civ. n. 4357/1985; Cass. civ. n. 6446/1987), inammissibilità del ricorso in cassazione (Cass. civ. n. 5137/1983): si tratta di sentenze che fanno leva sul carattere logicamente pregiudiziale dell'accertamento dei presupposti per la decisione nel merito rispetto a quello relativo all'eventuale cessazione della materia del contendere e sulla necessità che la pronuncia in ordine alle spese (che in caso di dichiarazione di cessazione della materia del contendere presuppone l'esame della fondatezza originaria della domanda, la c.d. soccombenza virtuale), provenga da chi ha il potere di decidere la controversia.

Con riferimento alla giurisdizione, tuttavia, la S. C. nella sentenza in commento, richiamando la statuizione di Cass. civ. n. 7104/2007 precisa che la risoluzione di questioni di giurisdizione, mirando alla individuazione del giudice munito del potere-dovere del decidere sulla domanda non può avere valenza astratta ma è necessariamente prodromica e strumentale rispetto al merito, sicchè resta inconferente a fronte dell'esaurimento del dibattito, determinato dal venir meno della pretesa, in ordine alla quale soltanto era necessario verificare la giurisdizione del giudice adìto.

Ciò spiega, aggiunge la Corte, la circostanza per cui, intervenuta la declaratoria giudiziale di cessazione della materia del contendere, è inammissibile l'impugnazione di tale pronuncia per difetto di giurisdizione, ove la parte non contesti l'esistenza dell'intervenuta soddisfazione della pretesa (Cass. civ., sez. un., n. 12365/2004; Cass. civ., n. 7104/2007).

Osservazioni

Nella pratica giudiziaria si percepisce pienamente la inopportunità, di fronte alla incompetenza e al difetto di giurisdizione del giudice adìto, di costringere le parti a riassumere il processo (solo) per far dichiarare da un altro giudice l'avvenuta cessazione della materia del contendere.

Inoltre, non esistendo un ordine logico di trattazione tra le varie condizioni di trattabilità della causa nel merito, va, certo, preferito l'esame della questione di rito più facilmente solubile.

Permane, tuttavia, la sola perplessità in ordine alla pronuncia sulle spese, effettuata sulla base della c.d. soccombenza virtuale, da parte di un organo non fornito del potere di decidere sul rapporto controverso.

La S.C. non sembra preoccuparsene probabilmente “sollevata” dal fatto che la pronuncia di cessata materia del contendere è inidonea, anche nella parte relativa alla pronuncia sulle spese, a fare stato sulla esistenza del diritto controverso.

Riferimenti
  • Sassani, voce Cessazione della materia del contendere, I, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988;
  • Scala A., La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001;
  • Auletta F., Quando si dice che un accordo è meglio di una causa vinta: la moltiplicazione dei diritti dell'attore per effetto della dichiarazione di adesione del convenuto all'originaria pretesa contro di lui, in Giustizia civile, anno 2000, Fasc. 11, Parte 01, sez. 00, pag. 2817;
  • Scala A., Sulla dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel processo civile in Il foro italiano, anno 2001, Fasc. 03, Parte 01, pag. 0954;
  • Scala A., Sui rapporti tra dichiarazione di cessazione della materia del contendere e accertamento dei presupposti processuali, in Il foro italiano, anno 2004, Fasc. 06, Parte 01, sez. 00, pag. 1813;
  • De Stefano, La cessazione della materia del contendere, Milano 1972,68.

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