Le garanzie nel contratto di apertura di credito

Fabio Fiorucci
09 Agosto 2023

L'apertura di credito è il contratto col quale la banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposi-zione dell'altra parte (accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 c.c.), con facoltà dell'accreditato di utilizzare tale somma secondo le modalità convenute. Quando l'apertura di credito (per cassa) è in conto corrente, come normalmente avviene, il cliente può, nel corso dell'esecuzione del contratto, utilizzare più volte il credito accordatogli e può con successivi versamenti totali o parziali ripristinare la disponibilità (art. 1843 c.c.), attingendo al credito reintegrato: c.d. rotatività del fido. Se, invece, l'apertura di credito è “semplice”, il cliente ha il diritto di utilizzare il credito una sola volta, ancorché per mezzo di prelevamenti parziali. I versamenti valgono a ridurre l'esposizione debitoria e non a ripristinare la disponibilità concessa. L'apertura di credito, infine, può essere “allo scoperto” (ossia non garantita o “in bianco”), fatti-specie in cui la banca mette a disposizione le somme senza prevedere altra garanzia che quella rappresentata dal patrimonio (generico) dell'accreditato, oppure garantita (“al coperto”) da ipoteca, pegno, fideiussione o altre garanzie atipiche per tutta la durata del contratto. All'apertura di credito garantita sono dedicati gli approfondimenti pratico-professionali che seguono.
Nozione e natura giuridica del contratto di apertura di credito

L'apertura di credito - nella pratica bancaria nota anche come fido o affidamento bancario - è il contratto col quale la banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte (accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 c.c.), con facoltà dell'accreditato di utilizzare tale somma secondo le modalità convenute.

L'oggetto dell'apertura di credito – che ha trovato la propria sistemazione dogmatica ad opera del Messineo - non è il godimento di una somma ma il godimento di una disponibilità (Cass. n. 69/1967: la funzione dell'apertura di credito è quella di consentire all'accreditato la possibilità di ottenere la disponibilità del denaro in vista di esigenze originariamente indeterminate, sia rispetto al tempo in cui esse possano assumere consistenza concreta, sia rispetto al modo con cui esse possano trovare soddisfacimento. Tale caratteristica e il richiamo alle forme d'uso contenute nell'art. 1843 c.c. comportano l'elasticità di utilizzo del credito; conf. Cass. 1539/1969).

Tale circostanza - ossia il godimento di una disponibilità - differenzia e caratterizza l'apertura di credito rispetto ad altri contratti di credito, imperniati sulla erogazione delle somme. In particolare, l'apertura di credito si differenzia dal mutuo: con il contratto di apertura di credito bancario, ai sensi degli artt. 1842 e 1852 c.c., la banca si obbliga a tenere una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato a disposizione del cliente, il quale ha diritto di disporre della stessa in più volte, secondo le forme di uso se non è stato convenuto altrimenti (come previsto dall'art. 1843 c.c.) ovvero in qualsiasi momento e quindi anche immediatamente dopo l'apertura del credito; invece il mutuo è un contratto reale con il quale una parte consegna all'altra, che si obbliga a restituirla, una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili (nel termini Cass. n. 1225/2000).

L'apertura di credito configura dunque una operatività riconducibile nell'ambito delle operazioni attive o di impiego della banca: l'apertura di credito è anzi il principale contratto bancario attivo (di regola collegato ad un contratto di conto corrente), cui fa ricorso chiunque abbia l'esigenza di avere costantemente a disposizione una certa somma di denaro per fronteggiare future ed eventuali concrete necessità, al momento non determinabili. Le somme messe a disposizione dell'accreditato, in esito ad una istruttoria di natura economico-patrimoniale riguardo alla sua ‘affidabilità' - ossia meritevolezza del credito e capacità di produrre reddito - qualificano positivamente il soggetto accreditato nei traffici commerciali.

Caratteristiche del contratto

L'apertura di credito è sostanzialmente un contratto di credito autonomo, intuitus personae (la sopravvenuta incapacità dell'accreditato o la sua morte determinano lo scioglimento del rapporto, intrasmissibile mortis causa agli eredi: fa eccezione l'ipotesi in cui l'accreditato sia una persona giuridica), consensuale (Cass. n. 5448/1991) ad effetti obbligatori (non è richiesta la consegna del denaro per il suo perfezionamento), oneroso (è dovuta una provvigione per la messa a disposizione delle somme da parte della banca e il pagamento degli interessi sugli importi utilizzati), a prestazioni corrispettive e di durata. L'importo messo a disposizione dell'accreditato deve essere determinato o determinabile, per quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, il fido può anche essere illimitato, non essendo la determinazione della somma accreditata un elemento essenziale del contratto di apertura di credito ex art. 1842 c.c. (Cass. n. 26133/2006; Cass. n. 26133/2013).

Il contratto di apertura di credito, vale ribadire, conferisce all'interessato non già una somma di denaro, ma una mera disponibilità finanziaria (cui non corrisponde un obbligo del cliente di sua utilizzazione): la somma in affidamento (c.d. provvista) rimane in proprietà della banca accreditante fino al momento della sua effettiva utilizzazione da parte dell'accreditato; è soltanto con il prelevamento che l'accreditante diventa creditore e l'accreditato debitore, essendo tenuto da tale momento alla restituzione dell'importo utilizzato, con i relativi interessi. In definitiva, l'accreditato ha la disponibilità economica delle somme messe a disposizione dalla banca; con l'effettuazione di uno o più prelevamenti l'accreditato ne acquisisce anche la disponibilità giuridica (Cass. n. 10117/2021; Cass. n. 3956/1969: nel contratto di apertura di credito bancario, la proprietà della somma messa a disposizione resta all'istituto bancario fino a quando l'accreditato non faccia uso del concessogli diritto di disporre del credito; Cass. n. 1688/1973; Cass. n. 18182/2004).

Da quanto precede discendono importanti conseguenze: a) poiché il credito del correntista non è né liquido né esigibile prima della manifestata volontà di concreta utilizzazione della somma, deve escludersi che fino a quel momento detta somma sia produttiva di interessi; b) la predetta condizione di illiquidità ed inesigibilità del credito impedisce che, a fronte della semplice conclusione del contratto, possa attuarsi alcuna compensazione tra detto credito e altro ipotetico credito vantato dalla banca nei confronti del proprio cliente (Cass. n. 10117/2021; Cass. n. 2742/1994).

Se e quando il cliente utilizza la provvista messagli a disposizione dalla banca, sorge a suo carico l'obbligo di restituire le somme prelevate, maggiorate del pagamento degli interessi stabiliti per contratto, che decorrono dal momento della utilizzazione del fido. La determinazione del tasso d'interesse dipende dal grado di rischiosità dell'affidato, dalla presenza di garanzie e dalla forza contrattuale del cliente. L'accreditato è altresì tenuto al pagamento di una provvigione per la messa a disposizione delle somme da parte della banca (art. 117 bis TUB).

L'obbligo di restituzione del capitale (c.d. rientro dal fido) deve essere adempiuto alla scadenza prestabilita se l'apertura di credito è a tempo determinato oppure quando una delle due parti dichiari, previo preavviso, di recedere dal contratto nell'apertura di credito a tempo indeterminato (art. 1845 c.c.). La scadenza del termine contrattualmente pattuito nell'apertura di credito a tempo determinato comporta lo scioglimento del rapporto, l'interruzione dell'utilizzo del denaro messo a disposizione e l'obbligo di restituzione delle somme utilizzate.

Apertura di credito in conto corrente e semplice

Quando l'apertura di credito (per cassa) è in conto corrente, come normalmente avviene, il cliente può, nel corso dell'esecuzione del contratto, utilizzare più volte il credito accordatogli e può con successivi versamenti totali o parziali ripristinare la disponibilità (art. 1843 c.c.), attingendo al credito reintegrato: c.d. rotatività del fido. Nella fattispecie, la banca accreditante è tenuta a mantenere integro il fido.

Resta inteso che, nell'ambito dell'apertura di credito in c/c, i versamenti effettuati dall'accreditato valgono «a ripristinare la sua disponibilità», pertanto a) non configurano delle restituzioni della somma assegnata e b) non incidono sul tetto dell'affidamento convenuto.

L'integrale restituzione delle somme prelevate da parte dell'accreditato non estingue l'apertura di credito in conto corrente, potendo il cliente effettuare nuovi prelievi. Nell'apertura di credito in conto corrente, il debito dell'accreditato nasce solo dalla chiusura del rapporto, poiché la rotatività del fido (prelevamenti e successivi versamenti) modifica costantemente il saldo.

Se non diversamente pattuito («salvo patto contrario»), l'apertura di credito si considera in conto corrente ex art. 1843 c.c.: questo, dunque, è lo schema contrattuale tipico (come attestato dalle Norme Bancarie Uniformi e successivamente dal Protocollo d'intesa ABI-Associazioni dei consumatori).

All'apertura di credito in conto corrente trovano applicazione le disposizioni che regolano le operazioni bancarie in conto corrente (artt. 1852 ss. c.c.), ferma restando la sua diversità rispetto al contratto di conto corrente regolato dagli artt. 1823-1833 c.c.

Se, invece, l'apertura di credito è “semplice”, il cliente ha il diritto di utilizzare il credito una sola volta, ancorché per mezzo di prelevamenti parziali. I versamenti valgono a ridurre l'esposizione debitoria e non a ripristinare la disponibilità concessa. Tale tipologia di apertura di credito, in cui il sovvenuto può utilizzare le somme una tantum e in cui il versamento alla banca assume una funzione immediatamente solutoria del credito, è desueta nella prassi bancaria.

Apertura di credito ‘allo scoperto' e garantita

L'apertura di credito può essere “allo scoperto” (ossia non garantita o “in bianco”), fattispecie in cui la banca mette a disposizione le somme senza prevedere altra garanzia che quella rappresentata dal patrimonio (generico) dell'accreditato, oppure garantita (“al coperto”) da ipoteca, pegno, fideiussione o altre garanzie atipiche (ad es. cessione pro solvendo del credito, le lettere di patronage, mandato in rem propriam) per tutta la durata del contratto.

Riguardo, in particolare, al pegno, devono ritenersi ormai superate le risalenti discussioni in merito alla concreta utilizzazione del pegno anche a garanzia di debiti futuri. In arg., già Cass. n. 1655/1956 ha stabilito che è possibile la costituzione di un pegno a garanzia di un credito eventuale in dipendenza di un rapporto giuridico già esistente, in particolare nel campo delle operazioni bancarie e, specificatamente, delle operazioni di apertura di credito in conto corrente. Permangono, invece, diversità di vedute riguardo alle modalità di utilizzo, nella prassi bancaria, del pegno omnibus e del pegno rotativo in funzione di garanzia dell'affidamento.

Non è una apertura di credito garantita quella nella quale sono rilasciate cambiali (perlopiù in bianco) da utilizzarsi all'atto della cessazione del rapporto per il recupero delle somme utilizzate.

La ragione della richiesta delle predette garanzie reali o personali - disciplinate dalle corrispondenti previsioni civilistiche - risiede nel maggior grado di rischio associato all'apertura di credito, attese le peculiarità di questa forma tecnica di finanziamento.

La garanzia copre tutti i debiti (restituzione delle somme utilizzate, provvigioni, interessi e spese) che sorgono in esecuzione del contratto e in essere alla data di chiusura del rapporto: garanzia per debito futuro.

Le garanzie nel contratto di apertura di credito

A norma dell'art. 1844, comma 1, c.c., se per l'apertura di credito è data una garanzia reale o personale, questa non si estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l'accreditato cessa di essere debitore della banca: come detto, l'apertura di credito in c/c, a differenza di quella ‘semplice', prevede la rotatività del fido, ossia il ripristino con successivi versamenti del credito accordato e quindi il suo riutilizzo per il periodo di vigenza dell'apertura di credito (per quanto rivolta all'apertura di credito in conto corrente, la regola - la garanzia si estingue nel momento in cui l'accreditato cessa di essere debitore della banca – è ritenuto valga anche per la desueta apertura di credito semplice).

A mente del secondo comma dell'art. 1844 c.c., se la garanzia diviene insufficiente (ad es. diminuzione del valore delle merci o dei titoli dati in pegno, o deterioramento delle condizioni economiche del fideiussore), la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. Se l'accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto (Trib. Verona 24.12.2012: la diminuzione della garanzia personale non può giustificare il recesso immediato dal rapporto, senza aver dato prima al cliente la possibilità di costituire una garanzia alternativa, come previsto dall'art. 1844 c.c.). La disposizione ampia la tutela della banca per il caso di diminuzione della garanzia rispetto a quanto previsto dall'art. 2743 c.c. in tema di pegno e ipoteca e dall'art. 1943 c.c. in tema di fideiussione.

Nelle aperture di credito garantite la concessione della garanzia configura un obbligoin capo all'accreditato (e non un suo mero onere, come argomentato da parte della dottrina: Fiorentino), cui consegue che l'utilizzo dell'apertura di credito garantita è consentito, di regola, solo dopo la prestazione della garanzia (personale o reale), in ossequio al brocardo inadimplenti non est adimplendum (Ferri; Molle).

Qualora la garanzia non venga prestata secondo le modalità pattuite, la banca può recedere dal contratto per giusta causa. A supporto del convincimento che nelle aperture di credito garantite la concessione della garanzia si configuri come un obbligoin capo all'accreditato è abitualmente richiamato il secondo comma dell'art. 1844 c.c., laddove espressamente dispone che se nel corso del rapporto la garanzia prestata diviene insufficiente, la banca potrà recedere dal contratto per giusta causa qualora l'accreditato non provveda a reintegrarla.

In caso di proroga della durata dell'apertura di credito, la garanzia, se prestata dall'accreditato, include la copertura dei crediti sorti dopo la proroga; diversa è, invece, la situazione rispetto ai terzi garanti, i quali, salva una diversa esplicita manifestazione di volontà, restano estranei alla proroga concordata tra la banca e l'accreditato (principio ricavabile dall'art. 1598 c.c. in tema di garanzie della locazione).

Per quanto, in particolare, concerne la garanzia fideiussoria, la stessa opera dal momento della esigibilità del debito garantito e, in caso di sua revoca, nel limite massimo di quanto dovuto al momento del recesso del fideiussore (cristallizzazione dell'importo dovuto).

Ancora in tema di fideiussione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che se, nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell'apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, alla stregua del principio cui si ispira l'art. 1956 c.c. la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l'esposizione debitoria, di quegli strumenti deve avvalersi anche a tutela dell'interesse del fideiussore inconsapevole, se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell'altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia (Cass. n. 21730/2010).

La facoltà della banca di estendere il debito originariamente garantito, con conseguente responsabilità del fideiussore, non ha carattere meramente potestativo: la discrezionalità della banca trova, infatti, un limite nella necessità della osservanza del principio della buona fede e della correttezza nello svolgimento del rapporto di garanzia, che impone di operare secondo criteri legali e regole obiettive di corretta gestione del credito; correlativamente, quando i predetti limiti sono violati, la fideiussione diventa inefficace (Cass. n. 6414/1998; v. anche Cass. n. 32774/2019 e Cass. n. 5017/2023).

La costituzione delle garanzie è naturalmente assoggettata alla disciplina della revocatoria fallimentare ex art. 67 l. fall. e 166 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza; a tale riguardo, relativamente alla individuazione del momento del rilascio della garanzia, rileva un criterio sostanziale e causale di contestualità, non cronologico-formale: in altri termini, se la garanzia è prestata anche mesi dopo l'apertura di credito ma prima del suo concreto utilizzo, si considera contestuale; se la garanzia è prestata dopo l'utilizzo, è reputata per debito preesistente (Cass. n. 10629/2007: agli effetti della revocatoria di cui all'art. 67 l. fall., non può ritenersi contestuale al debito la garanzia pignoratizia concessa alla banca in occasione dell'aumento del fido, quando esista già una situazione debitoria della banca corrispondente al fido poi aumentato, giacché il concetto di contestualità deve essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso preminentemente sostanziale e causale, onde il creditore, per evitare la revocatoria non può limitarsi a rilevare la coincidenza temporale della concessione della garanzia con l'aumento del fido, ma deve fornire la prova rigorosa che il pegno ricevuto riguardava soltanto l'ulteriore somma accreditata col nuovo affidamento, al momento della sua costituzione; conf. Cass. n. 16216/2007).

Se la garanzia è prestata contestualmente alla concessione di credito, deve qualificarsi come garanzia per debiti futuri, ossia quelli che sorgeranno dall'utilizzazione della provvista. Qualora, invece, la garanzia acceda ad un rapporto di conto corrente già allo scoperto, essa si estende tanto alla preesistente esposizione debitoria, tanto a quella che verrà a crearsi per effetto delle future utilizzazioni (Cass. n. 5592/1996: la garanzia reale o personale, prestata con riferimento ad un'apertura di credito, assiste naturalmente la posizione debitoria del sovvenuto fino alla cessazione del rapporto e, quindi, ove intervenga in pendenza di esso, pure se in occasione di un incremento della somma accreditata, ma senza specifiche pattuizioni che la colleghino soltanto a tale incremento, copre globalmente gli atti di utilizzazione della provvista, e di conseguenza configura garanzia per debito preesistente, quando detta utilizzazione sia già intervenuta ancorché in parte; conf. Cass. n. 16216/2007).

Considerazioni conclusive

L'apertura di credito è definita “al coperto”, quando è garantita da ipoteca, pegno, fideiussione o altre garanzie atipiche per tutta la durata del contratto. La ragione della richiesta delle predette garanzie reali o personali - disciplinate dalle corrispondenti previsioni civilistiche - risiede nel maggior grado di rischio associato all'apertura di credito, attese le peculiarità di questa forma tecnica di finanziamento. La garanzia copre tutti i debiti (restituzione delle somme utilizzate, provvigioni, interessi e spese) che sorgono in esecuzione del contratto e in essere alla data di chiusura del rapporto: garanzia per debito futuro.

A mente del secondo comma dell'art. 1844 c.c., se la garanzia diviene insufficiente (ad es. diminuzione del valore delle merci o dei titoli dati in pegno, o deterioramento delle condizioni economiche del fideiussore), la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. Se l'accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto

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