Inammissibilità della domanda di omologazione forzosa di ADR per eccessiva durata del piano

Daniele Fico
09 Agosto 2023

Il Tribunale di Roma – facendo riferimento alle linee guida rilasciate sul tema dal CNDCEC – respinge un ricorso per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti con proposta di transazione fiscale ex art. 63 CCII in ragione della eccessiva durata del piano, che prospetta per il pagamento all'Erario una durata decennale.
Massima

Non è accoglibile la domanda di omologazione forzosa di un accordo di ristrutturazione in cui siano previsti i pagamenti in dieci anni, per eccessiva durata della rateazione e del piano che impedisce di poter utilmente scrutinare la fattibilità del piano medesimo.



Il caso

La questione trae origine da un ricorso per omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti con proposta di transazione fiscale ex art. 63CCII, con previsione del pagamento del debito verso l'Erario, in misura pari al 22,42% del suo ammontare, in dieci anni in quaranta rate trimestrali; proposta alla quale l'amministrazione finanziaria non ha aderito.

Prima del deposito della suddetta domanda era decorso il termine di novanta giorni previsto dal secondo comma dell'art. 63 CCII, necessario al fine di procedere all'eventuale successiva richiesta di omologazione forzosa dell'accordo, attraverso il cram down,ex art. 63, comma 2-bis, CCII.

In particolare, la società ricorrente ha chiesto l'omologa al tribunale in virtù della maggiore convenienza per l'amministrazione finanziaria di quanto proposto transattivamente rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, nella quale il credito erariale – alla luce di quanto riportato nel piano e nella attestazione del professionista indipendente – non avrebbe avuto soddisfazione alcuna.

I giudici di primo grado capitolini hanno rigettato la domanda, in considerazione della eccessiva durata della rateazione e del piano che non consente di poter utilmente valutare la fattibilità del piano medesimo.



La questione giuridica e la soluzione

La sentenza annotata ha quale oggetto la richiesta di omologazione coattiva di un accordo di ristrutturazione con piano di pagamento del debito fiscale di durata decennale.

I giudici di merito romani, dopo aver preliminarmente ritenuto non necessaria la fissazione di apposita udienza per l'omologazione, obbligatoria ex art. 48 CCII soltanto nel caso di proposizione di opposizioni, si sono soffermati, in primo luogo, sulla durata di un piano di risanamento, richiamando le linee guida rilasciate sul tema dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili.

In particolare, secondo i “Principi per la redazione dei piani di risanamento” del 26 maggio 2022, punto 4.1.4, “dovranno essere indicati i tempi necessari per l'esecuzione del Piano, tenendo presente che durate che eccedono un orizzonte temporale medio-lungo (generalmente da tre a cinque anni) si scontrano con problemi di prevedibilità analitica”. Inoltre, in base ai “Principi di attestazione dei piani di risanamento” del 7 gennaio 2021, “le considerazioni svolte dalla dottrina e dalla prassi dei principi contabili sulla inadeguata attendibilità delle previsioni di lungo periodo trovano eco anche nella prassi dei diversi tribunali, che solo in rari casi considerano ragionevoli piani di durata superiore a 5 anni, anche per l'alea inevitabilmente correlata allo spostare le previsioni nel futuro. In generale anche dal punto di vita dell'attestatore un orizzonte temporale troppo lontano appare problematico, a meno che non vi siano elementi di certezza quali, ad esempio: contratti vincolanti di durata oltre 5 anni con primarie aziende, come avviene nel settore degli idrocarburi, delle utilities o delle gestioni immobiliari o alberghiere. In ogni caso il ricorso a piani aventi durata superiore a 5 anni deve essere puntualmente giustificato dal debitore con motivazione che l'attestatore deve ritenere adeguata, pronunciandosi espressamente sull'attendibilità, nei termini di cui sopra, delle previsioni successive al quinto anno”.

In secondo luogo, il Tribunale di Roma osserva che, nel caso di specie, la società ricorrente opera in un mercato di elevata volatilità e incertezza, a causa di una serie di fattori politici ben conosciuti e dalla evoluzione oggettivamente imprevedibile, come peraltro evidenziato dalla medesima nella parte introduttiva del piano di risanamento.

In tale contesto, proseguono i giudici capitolini, avanzare previsioni di durata decennale circa costi, consumi, marginalità, evoluzione del mercato interno e dinamiche competitive con altri operatori è esercizio che contraddice le linee guida di settore di cui sopra che, in sintesi, relativamente ai principi per la redazione dei piani di risanamento, escludono la ragionevolezza di piani di durata superiore a cinque anni; con riferimento ai principi di attestazione, lasciano un margine per attestare piani più lunghi in presenza di elementi di certezza ai quali ancorarsi, che nella fattispecie esaminata non ricorrono affatto.

Anche ipotizzando, in termini generali, l'ammissibilità di piani di durata eccedente i cinque anni, conclude il Tribunale di Roma, occorre rilevare che il piano e l'attestazione non contengono specifiche analisi, previsioni e stime tali da giustificare in modo analitico e attendibile i motivi per i quali, al contrario, “potrebbe avanzarsi una previsione di così ampio respiro con un sufficiente grado di verosimiglianza”.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, trattandosi peraltro di richiesta di cram down fiscale e non di omologa “semplice” di un accordo di ristrutturazione già condiviso dal creditore erariale, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di omologazione.



Osservazioni

L'articolo 40, comma 4, CCII, prevede che gli accordi di ristrutturazione, contestualmente alla presentazione della domanda con la quale ne viene chiesta l'omologazione, siano pubblicati nel registro delle imprese. Da ciò consegue che, nel momento di tale richiesta, questi ultimi, tra cui rientra la transazione fiscale, devono essere stati già sottoscritti dai rispettivi creditori, dal momento che in caso contrario non esisterebbero e non potrebbero quindi essere pubblicati. Una eccezione è rappresentata dal disposto di cui all'art. 63, comma 2-bis, CCII, che consente al tribunale di omologare forzosamente la transazione fiscale anche in mancanza di un accordo con l'amministrazione finanziaria (e/o enti gestori di forme di previdenza ed assistenza), a condizione che il soddisfacimento offerto sia conveniente e l'adesione di quest'ultima sia determinante ai fini del raggiungimento delle soglie di efficacia della procedura, pari al 60% dell'importo di tutti i debiti, o, in presenza di accordo agevolato, del 30% di tale importo.

L'assolvimento di tale funzione sostitutiva da parte del tribunale presuppone, tuttavia, che il debitore abbia precedentemente e tempestivamente dato all'amministrazione finanziaria la possibilità di manifestare la propria volontà sulla proposta di transazione nel termine di novanta giorni, decorrenti dal deposito della proposta di transazione, di cui al secondo comma del citato art. 63. Da ciò discende:

  • che l'adesione può considerarsi mancante soltanto
    dopo che siano decorsi inutilmente novanta giorni da tale deposito;
  • considerando che la domanda di omologazione forzosa può essere presentata esclusivamente in mancanza dell'adesione dell'Agenzia delle Entrate e/o agente della riscossione e/o enti previdenziali ed assistenziali, che la stessa non può essere depositata ove l'anzidetto termine di novanta giorni non è ancora spirato, non potendo l'accordo di ristrutturazione essere ancora considerato mancante (secondo Trib. Tivoli 4 aprile 2023, nel procedimento di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, la comunicazione di dissenso dell'Agenzie delle Entrate che sia pervenuta oltre il termine di novanta giorni dal deposito della proposta di transazione non impedisce l'applicazione del cram down, soprattutto qualora la comunicazione abbia luogo a seguito di chiarimenti e integrazioni richiesti nella relazione del professionista).

Ai sensi dell'art. 48, comma 4, CCII, inoltre, i creditori possono presentare opposizione entro trenta giorni dall'iscrizione della domanda di omologazione nel registro delle imprese, che è
eseguita contestualmente al deposito di tale domanda.

In considerazione di quanto sopra, pertanto, in presenza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria (o degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza) il debitore può richiedere l'omologazione ordinaria dell'accordo di ristrutturazione con transazione fiscale, depositando l'accordo di ristrutturazione sottoscritto dal creditore pubblico qualificato aderente senza attendere alcun termine.

L'omologazione forzosa dell'accordo di ristrutturazione, a sua volta, può essere richiesta nell'ipotesi di rigetto della proposta senza dover attendere alcun termine ovvero, in mancanza di un provvedimento dell'amministrazione finanziaria (o degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza), decorsi inutilmente novanta giorni dalla data di deposito della proposta, dovendo in entrambe le circostanze depositare il debitore, non un accordo sottoscritto, ma il testo dell'accordo proposto all'Erario oggetto di mancata adesione (per Trib. Catania, sez. IV, 19 gennaio 2023, in DeJure,nel momento in cui l'imprenditore chiede l'omologa, tutti i soggetti potenzialmente interessati a proporre opposizione devono essere messi in condizione di valutare la ricorrenza di profili per formulare appunto l'eventuale opposizione e soltanto una volta decorso invano il termine di novanta giorni previsto dall'art. 63, comma 2, ultimo periodo, CCII, l'accordo completo di tutti i suoi elementi può essere depositato presso il tribunale e pubblicato ai sensi dell'art. 57 CCII con la richiesta, se del caso, di esercizio del menzionato potere sostitutivo da parte del tribunale. A questo punto, gli enti di cui all'art. 88 CCII dispongono del termine di trenta giorni per proporre le eventuali opposizioni, anche in relazione alle valutazioni che il tribunale è chiamato a compiere).

Il Tribunale, ai sensi dell'art. 63, comma 2-bis, CCII, omologa forzosamente gli accordi di ristrutturazione con transazione fiscale anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria (o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie) quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali previste dagli artt. 57, comma 1 (sessanta per cento dell'importo di tutti i debiti) e 60, comma 1, CCII (trenta per cento in presenza di accordo agevolato) e, anche in base alle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione finanziaria (o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie) è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria (cd. cram down fiscale).

La ratio dell'art. 63, comma 2-bis, CCII, come specificato nella Relazione di accompagnamento al codice della crisi, è quella di evitare “ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” da parte dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti previdenziali ed assistenziali, pregiudizialmente contrari a ogni soluzione che dia luogo a previsione d'incassi minori rispetto al valore nominale del credito, per il timore di eventuali contestazioni di responsabilità contabili, pur determinando, tali resistenze, possibili violazioni del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione (C. Trentini, Accordi di ristrutturazione dei debiti e 182-ter l. fall.: cram down e par condicio creditorum, in Fall., 531 e s.).

Si discute, ai fini dell'applicabilità del cram-down fiscale, se per superare il dissenso dell'ente impositore le due suddette condizioni per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione previste dal comma 2-bis dell'art. 63 (carattere determinante della adesione da parte dell'amministrazione finanziaria, rectius creditore pubblico, ai fini del raggiungimento delle soglie del sessanta e trenta per cento dell'intera esposizione debitoria, e convenienza per tale creditore del trattamento proposto rispetto all'alternativa liquidatoria), devono ritenersi alternative o cumulative.

Per l'alternatività dei suddetti requisiti si è espresso Trib. Brindisi 10 gennaio 2023, che ha ritenuto il dato testuale della norma, in considerazione della imperfezione della tecnica di formulazione utilizzata dal legislatore, essere suscettibile di una lettura alternativa alla mera interpretazione letterale. Nel peculiare contesto espressivo di tale disposizione, il ricorso alla congiunzione “e” non è sufficiente, di per sé, per radicare l'obbligo di un accertamento sotto entrambi gli anzidetti profili, difettando una qualunque locuzione che renda ineludibile la necessità di tale operazione esegetica del tipo: "al contempo"; "contestualmente". In assenza di tale presupposto, deve ritenersi che quelle enucleate dal legislatore siano, invece, due ipotesi distinte appartenenti ad uno schema normativo c.d. per elencazione, laddove le fattispecie menzionate hanno carattere tassativo e non esemplificativo, con conseguente impossibilità di un suo ampliamento in sede interpretativa (in senso analogo, in dottrina, A. Zorzi, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel codice della crisi, in Fall., 2019, 1003 e s.; G. D'Attorre, La ristrutturazione ‘coattiva' dei debiti fiscali e contributivi negli adr e nel concordato preventivo, in Fall., 2021, 155).

In senso opposto si è ritenuto (G. Andreani, A. Tubelli, La transazione fiscale dopo il Codice della Crisi e la Direttiva Insolvency negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in questo Portale, 14 luglio 2022) che la tesi dell'alternatività non sia condivisibile, alla luce sia della lettera della norma (in considerazione dell'utilizzo della congiunzione “e”, sia delle precisazioni presenti nella relazione illustrativa, ove si evidenzia che la possibilità di omologare gli accordi di ristrutturazione presuppone che “l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge. Occorre altresì considerare, osservano tali autori, che, se all'accordo di ristrutturazione dei debiti hanno aderito creditori (diversi dall'amministrazione finanziaria), che rappresentano almeno il sessanta per cento dei creditori e l'attuabilità del relativo piano di risanamento è attestata da un professionista indipendente, la falcidia dei crediti erariali non risulterebbe strettamente necessaria per consentire al debitore di uscire dallo stato di crisi. Dal momento che la “sostituzione d'ufficio” della mancata adesione dell'amministrazione finanziaria con l'assenso stabilito (in sua vece) da parte del Tribunale competente costituisce una deroga rispetto ai principi generali sulla conclusione di un negozio bilaterale, non sembra legittimo estendere tale “sostituzione” a situazioni non espressamente previste dal legislatore, in considerazione della sua natura eccezionale.

Per l'omologazione forzosa di un accordo di ristrutturazione non è quindi necessario distinguere l'ipotesi in cui l'amministrazione finanziaria (e/o gli enti previdenziali ed assistenziali) resti inerte, da quella nella quale non presti adesione e da quella, infine, in cui abbia espresso volontà contraria; trattandosi comunque di tre fattispecie che danno luogo all'assenza di adesione da parte del creditore pubblico (così Trib. Palermo, sez. fall., 16 settembre 2021, in DeJure, e, con specifico riferimento alla procedura di concordato preventivo, Trib. Santa Maria Capua Vetere 11 gennaio 2022, in DC).

L'ulteriore condizione richiesta, affinché l'accordo di ristrutturazione possa essere omologato anche in assenza di un espresso consenso, è che il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dal debitore si riveli, anche sulla base delle risultanze dell'attestazione resa da un professionista indipendente, più conveniente rispetto a quello derivante dall'alternativa liquidazione giudiziale. Sul punto, la giurisprudenza di merito (Trib. Lecce, sez. III, 17 ottobre 2022, in DeJure, 2023, 527) ha ritenuto che, per superare la mancata adesione dell'amministrazione finanziaria e degli altri soggetti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria, il tribunale, nel compiere la valutazione di convenienza ai fini dell'eventuale cram down, deve tenere conto della possibile soddisfazione attraverso procedura liquidatoria alternativa e comunque verificare la legalità della procedura anche al fine di preservare, nella successiva, eventuale procedura di liquidazione giudiziale, il rispetto del principio della parità di trattamento e la regola della soddisfazione del creditore erariale e contributivo in misura non inferiore a quella degli altri creditori di pari rango (nel caso di specie, i giudici di merito salentini hanno ritenuto non omologabile mediante il cram-down fiscale l'accordo di ristrutturazione dei debiti, raggiunto con un solo creditore per un credito irrilevante rispetto alla massa passiva, se prevede una soddisfazione irrisoria e non apprezzabile dell'amministrazione finanziaria. Conforme, Trib. Salerno 23 gennaio 2023, in DeJure).



Conclusioni

Nella sentenza oggetto di commento, condivisibile a parere di chi scrive, il Tribunale di Roma, constatata la mancata adesione da parte dell'amministrazione finanziaria e, di conseguenza, la necessità di decidere ai sensi dell'art. 63, comma 2-bis, CCII, ha ritenuto il piano di risanamento proposto - pagamento del debito erariale in dieci anni - da un alto, in contrasto con le linee guida formalizzate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili sopra richiamate, che reputano ammissibile un piano il cui orizzonte temporale non ecceda i tre/cinque anni; dall'altro, non compatibile con l'attività esercitata dalla società debitrice, operante in un mercato ad alta volatilità ed incertezza, che rende di fatto difficili previsioni a lungo termine in merito ai costi, consumi, marginalità, evoluzione del mercato e dinamiche competitive con altri operatori. In un contesto del genere, quindi, tenendo in considerazione anche la mancata condivisione del suddetto piano da parte dell'amministrazione finanziaria, i giudici di prime cure laziali hanno rigettato la domanda (conforme Trib. Roma 22 novembre 2022, secondo cui il giudizio di convenienza che il tribunale è chiamato a compiere nell'applicazione del cram down ha riguardo non soltanto ai dati quantitativi e alle percentuali di soddisfacimento del credito, ma deve necessariamente tener conto di ulteriori elementi, quali la tempistica di pagamento del creditore, la scansione temporale e la sicurezza degli adempimenti assicurati).



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