Divieto di concorrenza e responsabilità dell'amministratore ex art 2390 c.c.

Matteo Lorenzo Manfredi
22 Agosto 2023

La Cassazione esamina gli elementi costitutivi della disciplina relativa al divieto di concorrenza dell'amministratore disposta dall'art. 2390 c.c. e le peculiarità che contraddistinguono tale fattispecie rispetto al conflitto di interessi, normato dal successivo art. 2391 c.c., prendendo le mosse da un'azione di responsabilità instaurata ai sensi dell'art. 2476 c.c. da una società nei confronti della sua ex amministratrice, alla quale vengono contestate – tra le altre – la sottrazione della banca dati societaria e lo sviamento ed accaparramento della clientela, che avrebbero causato lo scioglimento anticipato dell'impresa e la sua messa in liquidazione.
Massima

Può configurarsi una violazione del divieto di concorrenza, rilevante ai sensi dell'art. 2390 c.c., ove l'amministratore di una società abbia esercitato un'attività concorrenziale consistente in un complesso di atti coordinati e unificati sul piano funzionale.

Il caso

La società Alfa ha agito nei confronti della sua ex amministratrice, Tizia, ai sensi dell'art. 2476 c.c., invocandone la responsabilità di natura contrattuale per inosservanza dei doveri inerenti l'esercizio del potere di gestione e di rappresentanza, derivanti principalmente dal compimento di attività concorrenziale in danno della società amministrata in violazione degli artt. 2390, 2391, 2392, 2621 e 2622 c.c. e ottenendone la condanna in via equitativa a fronte degli unici illeciti accertati.

In particolare secondo la ricostruzione dell'attrice, confermata dal giudice di merito, tra il mese di luglio 1997 e ottobre 1997, durante la vigenza del rapporto di amministrazione, Tizia avrebbe sottratto la banca dati dei clienti della società e avrebbe compiuto attività di “sviamento ed accaparramento della clientela” (è stato accertato il recesso dal rapporto di consulenza almeno 76 clienti) a vantaggio di uno studio commerciale concorrente, che sarebbe stato costituito dalla stessa Tizia e da un altro ex socio della società nell'ottobre 1997 e presso cui, tra l'altro, avrebbero iniziato a lavorare tre suoi ex dipendenti.

Tizia ricorreva in Cassazione lamentando, tra le altre contestazioni, la mancata dimostrazione dei fatti contestati, nonché in ogni caso, l'inapplicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 2390 c.c., sostenendo che l'avvio dello studio commerciale sarebbe avvenuto solo a seguito della sua cessazione dalla carica di amministratrice della società, ragione per cui non sussisterebbero i presupposti di applicabilità della normativa anti-concorrenziale.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La società attrice ha agito per ottenere la condanna dell'ex amministratrice convenuta ai sensi dell'art. 2476 c.c., per violazione – tra gli altri – degli artt. 2390 e 2391 c.c. È stata, pertanto, invocata una responsabilità di natura contrattuale, avendo scelto la società di non contestare nei confronti della medesima anche la commissione di un illecito extracontrattuale ai sensi dell'art. 2598 c.c.

In seguito ad una breve precisazione relativa all'inammissibilità del richiesto sindacato da parte del giudice di legittimità in merito alle conclusioni raggiunte sulle risultanze istruttorie dal giudice di merito sulla scorta del suo esclusivo apprezzamento, la Cassazione si concentra sull'esame della normativa posta a fondamento della responsabilità contrattuale dell'amministratore per violazione del divieto di concorrenza, mettendo in luce sin da subito che tale addebito implicherebbe necessariamente la realizzazione delle condotte censurate nel periodo in cui Tizia ha rivestito la carica di amministratrice della società attrice.

La Corte di Cassazione ricorda il detto normativo contenuto all'art. 2390 c.c., secondo cui è espressamente vietato all'amministratore di una società per azioni di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti, ovvero esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, ovvero essere amministratore o direttore generale in società concorrenti, salvo autorizzazione dell'assemblea, a pena di revoca per giusta causa e risarcimento del danno.

Si rileva che la sentenza in commento ha mancato l'occasione per prendere una posizione in merito all'attualmente controversa applicabilità dell'art. 2390 c.c., ormai previsto espressamente solo con riferimento agli amministratori di società per azioni, alla società a responsabilità limitata, presumibilmente in quanto il giudizio in esame verte su una fattispecie realizzata precedentemente alla riforma del diritto societario del 2003.

In primo luogo, la Suprema Corte ribadisce la ratio della disciplina del divieto di concorrenza sleale, mettendo in luce il fondamentale carattere fiduciario della carica di amministratore e rilevando che la valutazione relativa alla concorrenzialità di atti posti in essere dall'amministratore infedele deve essere effettuata avendo riferimento all'attività effettiva e concretamente svolta dalla società rispetto alla presunta concorrente, in quanto il rapporto concorrenziale deve essere concreto, includendo tutti gli aspetti qualificanti delle attività delle imprese prese in considerazione, ed attuale. E ciò in quanto per qualificarsi tipici della concorrenza sleale, gli atti posti in essere devono essere un complesso attuato in modo continuativo e sistematico, nonché finalizzato ad un vero e proprio scopo concorrenziale.

Per quanto di specifico interesse nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha evidenziato, inoltre, che proprio la sistematicità e l'attuazione di un piano funzionale coordinato e unificato è la caratteristica che differenzia la concorrenza sleale con le diverse ipotesi di conflitto di interessi o del più generale dovere di fedeltà.

La Suprema Corte, confermando il proprio risalente principio di diritto già affermato nella sentenza n. 3091/1975 ha evidenziato che la disposizione in esame è infatti volta ad evitare che l'amministratore, nel corso del proprio mandato, si ritrovi a svolgere un'attività o a rivestire una qualifica che lo pongano in contrasto con gli interessi della società amministrata, tale da poter causare con le proprie azioni od omissioni un danno alla stessa.

Osservazioni

Si ritiene integralmente condivisibile la soluzione fornita dalla Corte di Cassazione basata sull'esegesi dell'art 2390 c.c., richiamando il costante orientamento della Corte (il riferimento è addirittura a Cass. n. 3091/1975) secondo cui detta disposizione mira ad evitare che l'Amministrazione in carica rivesta una carica o svolga attività che in contrasto con gli interessi della società di cui è amministratore in danno della società medesima.

Conclusioni

Sulla scorta delle argomentazioni analizzate, la Corte di Cassazione conferma le pronunce dei giudici dei primi due gradi di merito, che hanno riconosciuto un'attività di concorrenza sleale in capo a Tizia, consistente nella realizzazione di almeno due condotte illecite (la sottrazione della banca dati e lo sviamento della clientela), seppure lo studio associato in vantaggio del quale erano state compiute le sottrazioni sarebbe stato fondato solo successivamente, riconoscendo nelle condotte perpetrate una “dolosa preordinazione” e il fatto che al momento delle violazioni Tizia era ancora amministratrice della società.

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