23 Agosto 2023

Con la c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. n.149/2022 attuativo della delega di cui alla l. n. 206/2021, sezione I del Capo IV, di cui fanno parte gli artt. 7-10) il ruolo attribuito agli strumenti di ADR è stato ulteriormente esaltato.

Inquadramento

La mediazione obbligatoria è stata introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 che costituiva attuazione dell'art. 60 l. n. 69/2009, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione, definizione e prevenzione delle controversie civili e commerciali.

Dopo che la Consulta (con la sent. n. 272/2012) ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, in violazione dell'artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega, il Decreto del "fare" (d.l. n. 69/2013, pubblicato nella G.U del 20 agosto 2013 n° 194) aveva reintrodotto, per determinate controversie, la mediazione quale necessaria condizione di procedibilità. Successivamente, con il d.l. n. 50/2017 convertito con modificazioni, nella l. n. 96/2017 (art. 11-ter) si era completata la stabilizzazione nell'ordinamento italiano della disciplina della mediazione obbligatoria, avente in precedenza natura transitoria e sperimentale.

Con la c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. n.149/2022 attuativo della delega di cui alla l. n.206/2021, sezione I del Capo IV, di cui fanno parte gli artt. 7-10) il ruolo attribuito agli strumenti di ADR è stato ulteriormente esaltato.

Il d.lgs. n.149/2022 ha ribadito l'impostazione di fondo che caratterizzava la c.d. Mediazione obbligatoria (art. 5) quella c.d. preprocessuale con la specificazione di quali procedure di conciliazione siano considerate alternative alla mediazione, ai fini dell'assolvimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Si tratta delle procedure di conciliazione, previste per legge, nelle carte dei servizi elaborate e pubblicizzate dai soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici (art. 5, comma 3, nuovo testo): vedi il TU bancario (art.128-bis del d.lgs. n. 385/1993), il T.U in tema di intermediazione finanziaria (art. 32-ter d.lgs. n. 58/2005), il Codice delle assicurazioni (art. 187.1 d.lgs. n. 209/2005), il Testo sui servizi di pubblica utilità (art. 2, comma 24, l. n. 481/1995).

L'equiparazione non opera, invece, per la negoziazione assistita di cui al d.l. n. 132/2014 che, pertanto, non può ritenersi equivalente e alternativa alla procedura di mediazione (mentre il contrario è espressamente previsto per legge (art. 3 l. n. 162/2014).

Materie soggette alla mediazione obbligatoria

Le controversie soggette alla condizioni di procedibilità della mediazione sono previste dal d.lgs. n. 28/2010 e sono state ampliate dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022).

Già nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 28/2010 si precisava che nella scelta delle materie il legislatore aveva preferito quelle caratterizzate da un rapporto prolungato tra le parti (v. i contratti di locazione e di comodato), dal legame endo-familiare o relativo allo stesso gruppo sociale (diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia), dall'elevata conflittualità (v. le fattispecie risarcitorie da diffamazione a mezzo stampa o da responsabilità medica) e dalla diffusione di massa (i contratti assicurativi, bancari e finanziari).

L'inserimento dei patti di famiglia si giustificava in quanto l'art. 768-octies c.c. già prevedeva la preliminare devoluzione delle relative controversie agli organismi di mediazione previsti dal d.lgs. n. 5/2003 così chiarendo che la devoluzione è obbligatoria limitatamente, comunque, alle controversie su patti di famiglia (o su clausole degli stessi) riguardanti diritti disponibili. Con il d.lgs. n.149/2022 la mediazione quale obbligatoria condizione di procedibilità è stata estesa (art. 5, comma 1) ad altre ipotesi durevoli, ossia in materia di contratti di: associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

I procedimenti esclusi dall'obbligo della mediazione

Secondo quanto espressamente disposto dal vigente art. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010, l'obbligo di presentare la domanda di mediazione non sussiste con riferimento ad una serie di procedimenti. La disposizione traccia una differenza tra quelli per i quali il legislatore ha stabilito la esenzione totale dall'obbligatorietà (art. 5, comma 6, lett. d-h), quali le opposizioni esecutive, i procedimenti in camera di consiglio, l'azione civile esercitata in sede penale e l'azione inibitoria di cui all'art. 37 del Codice del Consumo), e procedimenti con esonero dall'obbligatorietà solo iniziale (lettere a-d), limitato alla fase a cognizione sommaria. La mediazione obbligatoria (con la relativa condizione di procedibilità) e quella disposta ex officio iudicis non si applicano quindi:

- nei procedimenti per ingiunzione, inclusa la fase dell'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (artt. 648 e 649 c.p.c.);

- nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento di rito di cui all'art. 667 c.p.c.;

- nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'art. 696-bis c.p.c.;

- nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'art. 703, comma 3, c.p.c.;

- nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione, relativi all'esecuzione forzata;

- nei procedimenti in camera di consiglio;

- nell'azione civile esercitata nel processo penale;

- nell'azione inibitoria di cui all'art. 37 del Codice del Consumo, di cui al d.lgs. n. 206/2005.

Si deve ritenere che non sia escluso dalla mediazione obbligatoria il processo sommario di cognizione il “procedimento semplificato di cognizione” introdotto e disciplinato dal d.lgs. n. 149/2022 agli artt. 281-decies e ss. c.p.c. trattandosi di un processo a cognizione piena (analoghe considerazioni valevano per il previgente rito sommario di cognizione di cui all'art. 702-bis c.p.c.).

L'esclusione dei procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto (lett. a e b) si giustifica per il fatto che, in questi casi, ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva. Il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Appare, pertanto, illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo (sulla non applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione al procedimento ingiuntivo v. del resto Corte cost. 6 febbraio 2001, n. 29; Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276). È stato peraltro previsto che la mediazione possa trovare nuovamente spazio all'esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi è stata già presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie.

L'esclusione dei procedimenti possessori fino all'adozione dei provvedimenti interdittali (lettera d) si giustifica per motivi analoghi a quelli che riguardano i provvedimenti cautelari (somma urgenza nel provvedere). La collocazione nel comma 6 è dovuta al fatto che il procedimento possessorio può conoscere una fase di merito (art. 703, quarto comma, c.p.c.), nella quale è incongruo non consentire la mediazione. I procedimenti di cognizione che si inseriscono incidentalmente nell'esecuzione forzata (opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, controversie in sede di distribuzione, accertamento dell'obbligo del terzo) sono stati esclusi (lett. d) per la loro stretta interferenza con l'esecuzione forzata. Rispetto ai procedimenti in camera di consiglio (lettera e), l'esclusione trova ragione nella flessibilità e rapidità con cui il giudice può provvedere sul bene della vita richiesto. Infine, la lett. f) esclude l'azione civile esercitata nel processo penale, sul presupposto che tale azione è subordinata ai tempi e alle condizioni dello stesso.

Per i procedimenti cosiddetti a struttura bifasica, per i quali l'obbligo di esperire il tentativo di mediazione sorge in un secondo momento, in caso di prosecuzione o conversione del giudizio nella fase a cognizione piena (come nel procedimento per decreto ingiuntivo, per convalida di sfratto, nonché nelle azioni possessorie) il d.lgs. n. 27/2010 non chiariva, nella originaria formulazione, quale parte fosse onerata della presentazione dell'istanza di mediazione, con la conseguenza che gli interpreti e i giudici di merito son stati spesso costretti ad una delicata opera di ricostruzione ermeneutica soprattutto in quelle procedure (in primis il procedimento d'ingiunzione, ma anche i procedimenti possessori e di sfratto) nelle quali l'iniziativa per l'apertura della fase di merito è (nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo) o può essere (nel caso delle azioni possessorie) assunta dalla parte contro cui è fatta valere la pretesa sostanziale.

Sul tema il legislatore della Riforma (d.lgs. n. 149/2022) è timidamente intervenuto e, recependo le indicazioni della giurisprudenza (Cass. civ. sez. un., n. 19596/2020 e già tra le molte Trib. Termini Imerese 15 novembre 2017, in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it); Trib. Verona, 28 settembre 2017; Trib. Ferrara, 7 gennaio 2015, in Foro it., 2015, I, 3732) ha precisato che ove la domanda sia stata introdotta in via monitoria l'onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha presentato ricorso per decreto ingiuntivo (art. 5-bis d.lgs. n. 28/2010).

La mediazione quale obbligatoria condizione di procedibilità

La normativa sulla mediazione ha, quindi, introdotto nel nostro ordinamento un caso di giurisdizione c.d. condizionata, poiché chi vuole fare ricorso al giudice deve prima sperimentare il ricorso ad un meccanismo alternativo di risoluzione delle controversie, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.

La Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale hanno enunciato le condizioni alle quali può dirsi legittima una normativa nazionale che imponga l'esperimento di una procedura di conciliazione stragiudiziale prima di ricorrere al giudice, affermando che la legge interna:

- deve in ogni caso fissare un termine massimo di durata della procedura conciliativa onde evitare che essa comporti un ritardo sostanziale per la proposizione dell'azione giudiziaria;

- deve ricollegare all'istanza di conciliazione effetti analoghi a quelli della domanda giudiziale sotto il profilo dell'idoneità a sospendere termini di prescrizione o a impedire decadenze;

- deve assicurare la possibilità di proseguire il processo qualora il tentativo di conciliazione non vada a buon fine;

- deve far salva la possibilità di richiedere all'autorità giudiziaria misure provvisorie e cautelari qualora sussista un periculum in mora per il diritto vantato.

Nel rispetto di dette condizioni l'art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, prevede che il procedimento di mediazione non possa avere durata superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti. Tale periodo non è computabile ai fini dell'art. 2 l. n. 89/2001, cd. legge Pinto (art. 7 d.lgs. n. 28/2010) e non è soggetto a sospensione feriale. Sono stati fissati termini stringenti anche per il procedimento di mediazione. Il primo incontro deve tenersi non prima di 20 e non oltre 40 giorni dal deposito della domanda, salva diversa concorde indicazione delle parti. Ne consegue che qualora il procedimento di mediazione non abbia prodotto alcun accordo entro il menzionato termine, e sempreché le parti non intendano concordemente proseguire il negoziato, l'obbligo di tentare la mediazione deve intendersi adempiuto e la parte interessata può, a seconda dei casi, instaurare il processo contenzioso o proseguirlo. La seconda condizione è soddisfatta invece dall'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, nella parte in cui dispone che dal momento in cui la comunicazione contenente “la domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile” “perviene a conoscenza delle parti” produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale (ciò significa non solo che la comunicazione della domanda di mediazione interrompe la prescrizione, ma anche che la prescrizione resta sospesa per tutta la durata del procedimento), ed impedisce altresì la decadenza, sia pure per una sola volta, con la conseguenza che se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di fallita conciliazione presso la segreteria dell'organismo.

E' stato altresì esplicitamente previsto che lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale (art. 5, comma 5).

La mediazione delegata

La l. n. 98/2013 (di conversione del d.l. n. 69/2013), riscrivendo parzialmente il tessuto normativo del d.lgs. n. 28/2010, aveva già previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l'esperimento del procedimento di mediazione (cd. mediazione ex officio).

L'istituto della mediazione “delegata” era rimasto indenne alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 272/2012 che, come noto, aveva espunto dall'Ordinamento la mediazione cd. obbligatoria per eccesso di delega legislativa. Tuttavia, nella formulazione originaria del d.lgs. n. 28/2010 il potere del giudice si limitava ad un “invito” alle parti di rivolgersi ad un organismo di mediazione, lasciandole libere di scegliere se aderire o meno al sollecito giudiziale. La l. n. 98/2013 (di conversione del d.l. n. 69/2013), riscrivendo parzialmente il tessuto normativo del d.lgs. n. 28/2010, ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre (non più invitare a) l'esperimento del procedimento di mediazione e l'istituto è stato ulteriormente attenzionato anche dalla c.d. Riforma Cartabia che ha disciplinato l'istituto nel nuovo art. 5-quater del d.lgs n. 28/2010.

L'applicabilità della previsione in esame prescinde dalla natura della controversia.

La «mediazione mediata dal giudice» costituisce una forma di mediazione obbligatoria in cui la fonte del procedimento mediativo non è la Legge ma il provvedimento del giudice.

Il Giudice disporrà la mediazione «valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti e ogni altra circostanza» in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento è adottato «anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni”. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 (tre mesi).

Anche nella mediazione delegata – trattandosi di una ipotesi di mediazione obbligatoria – si applicano le esclusioni (per fase o per materia) previste dall'art. 5, commi 5 e 6 nonché la possibilità di esperire, in alternativa, le procedure di mediazione previste dalle leggi speciali (art. 5, comma 3). Sarà altresì obbligatoria l'assistenza legale (art. 8, comma 5).

Se la mediazione non risulta esperita entro la data dell'udienza fissata dal giudice nell'ordinanza, il giudice dichiara l'improcedibilità della domanda.

Effetti della domanda di mediazione: decadenza e prescrizione

L'art. 8 direttiva europea 2008/52/Ce prevedeva che «gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza».

Pertanto il legislatore nazionale, al fine di evitare che il tempo occorrente per l'espletamento del procedimento di mediazione potesse risultare pregiudizievole per la parte istante, ha sancito che la comunicazione della domanda di mediazione interrompe i termini di prescrizione e decadenza del diritto oggetto della medesima domanda, precisando che il termine di decadenza può essere impedito in tal modo una volta sola e che inizia a decorrere ex novo- e per l'intero - solo laddove il tentativo fallisca e dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell'organismo di conciliazione.

In particolare, la disciplina degli effetti del procedimento di mediazione sulla prescrizione e decadenza, risulta oggi spostata nel nuovo art. 8 del d.lgs n. 28/2010.

La norma, nella formulazione introdotta dal d.lgs. n.149/2022, ha previsto in modo più completo che l'effetto interruttivo non sia prodotto dalla comunicazione alla controparte della sola domanda (di mediazione) ma di questa (ovvero l'istanza di mediazione) unitamente alla “designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura e la data del primo incontro e ogni altra informazione utile”. Tali dati sono comunicati “a cura dell'organismo alle parti con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione…”. E' rimasta invariata la previsione secondo cui “dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può a tale fine comunicare all'altra parte la domanda di mediazione già presentata all'organismo di mediazione, fermo l'obbligo dell'organismo di procedere ai sensi del comma 1…”.

In sostanza, come si legge nella Relazione illustrativa del citato d.lgs. n. 149/2022, al fine di evitare che eventuali lentezze procedurali dell'organismo di mediazione possano danneggiare gli interessi delle parti che ricorrono alla mediazione che quindi, già solo per questo, possano essere indotte a non avvalersi di tale procedura, si prevede che la parte che presenta la domanda possa provvedere autonomamente alla comunicazione alla controparte al fine di avvalersi dell'effetto interruttivo della prescrizione o dell'impedimento della decadenza, senza esonero degli obblighi di comunicazione che continuano a gravare sull'organismo di mediazione.

Il testo, novellato dal d.lgs. n. 149/2022 continua ad utilizzare il termine atecnico di “comunicazione” reiterando, quindi, il principio della non necessità di un atto formale (notifica o pec) ma del solo utilizzo di un “mezzo idoneo” ad assicurare la ricezione.

Quanto al termine decadenziale che, impedito dalla predetta comunicazione una volta sola e che inizia a decorrere ex novo - e per l'intero - solo laddove il tentativo fallisca e dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell'organismo di conciliazione soffre, di fatto, un periodo di stasi che non può giuridicamente qualificarsi come «sospensione», bensì come «interruzione' (ex art. 2945 c.c.), poiché una volta venuta meno la situazione tipicamente idonea a evitarne la maturazione, esso decorre ex novo, senza tenere conto alcuno dell'eventuale periodo già maturato prima dell'intervento del fatto impeditivo.

Così inquadrata, la fattispecie costituisce, pertanto, deroga al principio sancito dall'art. 2964 c.c., che esclude che la decadenza possa essere soggetta alla disciplina interruttiva, invece valevole per la prescrizione e dettata dai precedenti artt. 2934 e ss. c.c.

Il rilievo giudiziale del mancato avvio della mediazione

Il comma 2 dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010 prevede che l''improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza.

Ove il rilievo – sia d'ufficio che di parte – non avvenga entro detto termine, la questione non può comunque essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (cfr. Cass. civ., sez. III, ord., n. 25155/2020).

Quando il giudice verifica che non è stato esperito il tentativo di conciliazione o che la mediazione è già iniziata ma non si è conclusa “fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6” ovvero quello massimo di tre mesi entro il quale il procedimento dovrebbe concludersi.

Il d.lgs n. 149/2022 ha eliminato, quindi, la previsione secondo cui il giudice, con l'ordinanza con cui inviava le parti in mediazione, assegnava un termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Alla successiva udienza il giudice accerta se la condizione di procedibilità è stata soddisfatta e, in mancanza, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale.

Come sappiamo nell'ottica di evitare il fenomeno noto come forum shopping e con esso, la preservazione di condotte opportunistiche, già con la modifica introdotta dall'art. 84 del d.l. n. 69/2013, conv. con modificaz. in l. n. 98/2013, il legislatore, che nella iniziale formulazione aveva scelto di non fissare un criterio di competenza territoriale utile ad individuare l'organismo di mediazione competente, al fine precipuo di evitare una impropria giurisdizionalizzazione della sequenza procedimentale, aveva fissato la competenza dell'organismo di mediazione del luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

Tale scelta è stata ribadita dal d.lgs. n. 149/2022, precisata con la previsione che in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda, a tale fine assumendo carattere dirimente la data del deposito, implementata con la previsione della derogabilità su accordo delle parti della competenza territoriale dell'organismo di mediazione.

Infatti se le norme del codice di procedura civile possono essere oggetto di una diversa regolamentazione convenzionale, con riferimento alla competenza territoriale del giudice, tanto più lo può essere una norma – l'art. 4, comma 1 del d.lgs. n 28/2010 – che non ha carattere endoprocessuale, ma che, nello scopo, ricalca proprio tali regole derogabili del codice di rito.

Tuttavia, alcune perplessità potrebbero sorgere con riguardo alle ipotesi in cui è condizionata o talvolta assolutamente esclusa la possibilità di deroga al foro competente.

In genere, infatti, la previsione di una serie di condizioni alla possibilità di derogare convenzionalmente alla competenza territoriale del giudice trova la sua ratio nel fatto che le parti contrattuali non si trovano in posizione di parità e il legislatore, in tali casi, ha riconosciuto la necessità di tutelare la parte più debole, dettando una serie di regole a salvaguardia della volontà contrattuale. Tali sono le norme di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., in forza delle quali una deroga ai criteri di legge della competenza territoriale del giudice che sarà investito della causa è possibile solo a condizione che il contraente in adesione (nel caso di contratti conclusi con moduli e formulari o condizioni generali predisposte da uno dei contraenti) abbia sottoscritto specificamente e separatamente anche detta clausola (c.d. doppia firma).

Alcuni, quindi, reputano che le medesime ragioni di garanzia debbano indurre a ritenere estendibile anche alla mediazione quanto già previsto con riguardo alla deroga del foro competente in caso di giudizio, che in quanto clausola vessatoria, impone una specifica e separata approvazione per iscritto.

Altre perplessità sono state sollevate nei casi in cui il legislatore e la giurisprudenza hanno previsto anche la nullità assoluta ed insanabile di clausole derogatorie della competenza, anche ove accettate per iscritto e addirittura con doppia firma (vedi per il foro del consumatore o nelle controversie locatizie ex art. 447-bis c.p.c.).

In tali casi potrebbe nascere qualche perplessità superabile, crediamo, facendo ricorso al principio della specialità della norma: reputando cioè norma speciale quella in tema di mediazione rispetto a quella dettata dal codice del consumo o dal codice di rito (art. 447-bis c.p.c.), con riguardo al processo (Cass. civ., sez. VI-3, ord., n. 12981/2020; Cass. civ., sez. VI -3, ord., n. 12404/2020).

La verifica giudiziale della procedibilità della domanda (art. 5, comma 1-bis)

Con il d.l. n. 69/2013 il legislatore ha introdotto alcune significative modifiche al procedimento di mediazione intervenendo ancora più incisivamente rispetto alla scelta originaria compiuta con il d.lgs. n. 28/2010, sul rapporto tra procedimento di mediazione e processo civile, attraverso previsioni quali quella dell'obbligo di assistenza tecnica per la parte che partecipa alla mediazione (attuale art. 8 comma 5) e la fissazione di un criterio di competenza per territorio dell'organismo di mediazione (attuale articolo 4): aspetti che il giudice deve valutare in sede di verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità.

Con riferimento alla difesa tecnica obbligatoria, il nuovo comma 5 dell'art. 8 del d.lgs n. 28/2010 prevede l'assistenza difensiva obbligatoria, fin dal primo incontro davanti al mediatore, e anche nella mediazione demandata dal giudice (art. 5-quater).

Sul punto, la giurisprudenza di merito ha confermato che non può considerarsi validamente esperito il procedimento di mediazione obbligatoria svoltosi senza l'assistenza di un avvocato (Trib. Torino, 30.3.2016).

Quanto alla competenza territoriale degli organismi di mediazione, nell'ottica di evitare il fenomeno noto come forum shopping e con esso, la preservazione di condotte opportunistiche, già con la modifica introdotta dall'art. 84 del d.l. n.69/2013, conv. con modificaz. in l. n. 98/2013, il legislatore, che nella iniziale formulazione aveva scelto di non fissare un criterio di competenza territoriale utile ad individuare l'organismo di mediazione competente, al fine precipuo di evitare una impropria giurisdizionalizzazione della sequenza procedimentale, aveva fissato la competenza dell'organismo di mediazione del luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

Tale scelta è stata ribadita dal d.lgs. n. 149/2022 (art. 4, comma 1), precisata con la previsione che in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda, a tale fine assumendo carattere dirimente la data del deposito, implementata con la previsione della derogabilità su accordo delle parti della competenza territoriale dell'organismo di mediazione. Attesa la specialità delle norme in tema di mediazione rispetto a quelle dettata dal codice del consumo o dal codice di rito (art. 447-bis c.p.c.), con riguardo al processo (Cass. civ., sez. VI-3, ord., n. 12981/2020; Cass. civ., sez. VI -3, ord., n. 12404/2020) tale derogabilità sarà possibile anche alle ipotesi nei casi in cui nel processo la deroga al foro competente sarebbe sottoposta a determinate condiziona (vedi Codice del Consumo) o assolutamente esclusa (art. 447-bis c.p.c per le controversie locatizie).

In caso di controversia rientrante tra le ipotesi di mediazione obbligatoria il giudice deve accertare che le domande formulate dalla parte attrice o ricorrente siano le stesse intorno alle quali il tentativo di conciliazione si è svolto (o si sarebbe dovuto, comunque, svolgere ove avesse avuto luogo): se dalla domanda di mediazione emerge che questa ha riguardato solo alcuni dei diversi titoli azionati in causa, va dichiarata l'improcedibilità delle altre domande (Trib. Verona, 7 luglio 2016).

Un problema può porsi quando nella domanda di mediazione manchino o siano indicati in modo molto generico «l'oggetto e le ragioni della pretesa» (requisiti richiesti dal comma 2 dell'art. 4, d.lgs. n. 28/2010). In questi casi sembra preferibile ritenere che solo laddove la domanda di mediazione non contenga alcuna specificazione dell'oggetto e delle ragioni della pretesa (o laddove tali elementi siano assolutamente incomprensibili) si potrà considerare il tentativo di conciliazione come non regolarmente instaurato. Pertanto il giudice dovrà assegnare un termine per il rinnovo dello stesso (così è stato affermato in giurisprudenza per la materia lavoristica).

Tuttavia, è stato ritenuto, che non sussiste contraddizione tra la domanda anticipata nella richiesta di mediazione e la domanda come formulata in sede giudiziaria in caso di diversa quantificazione delle somme pretese. Non si dubita, infatti, che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova causa petendi ma integra una mera emendatio che è ammissibile nel corso del giudizio di primo grado o di appello così, a maggior ragione, deve ritenersi consentita nei rapporti tra la richiesta come formulata nel procedimento di conciliazione e la successiva articolazione in sede giudiziaria (cfr. Cass. n. 9266/2010).

Il giudice, al fine di valutare la coincidenza tra l'oggetto del procedimento di mediazione e la domanda giudiziale, esaminerà sia la domanda di mediazione che il verbale di mancata conciliazione, posto che anche nel corso del procedimento si possono modificare le domande.

Risulta dibattuta in dottrina e giurisprudenza la assoggettabilità a mediazione delle domande riconvenzionali che non si limitino ad ampliare solo il petitum ma anche l'oggetto della controversia.

Alcuni studiosi escludono la necessità che anche la domanda riconvenzionale sia preceduta dalla mediazione valorizzando la ratio legis sottesa all'art.5 d.lgs. n. 28/2010 la quale deve intendersi ragionevolmente limitata all'iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non si estende ai fenomeni di ampliamento dell'ambito oggettivo del giudizio già avviato.

A conforto di tale orientamento la lettura testuale dell'art. 5, il quale: a) si riferisce solo a colui che intende «esercitare in giudizio un'azione» da intendersi come «chi intende instaurare un giudizio» con la conseguenza che l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione graverebbe solo sull'attore; b) nel menzionare la facoltà per il convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione considera «chi viene citato in giudizio» e non già «chi, avendo promosso un'azione risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria».

Tale tesi sembrerebbe più rispettosa del principio della ragionevole durata del processo (optando per la tesi opposta, infatti, si avrebbe un allungamento dei tempi del giudizio, in contrasto con l'art. 111 Cost.), della equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione.

Secondo altri interpreti, invece, la perimetrazione applicativa della mediazione obbligatoria riguarderebbe ogni domanda proposta in giudizio (di recente Trib. Verona, 12 maggio 2016) essendo l'onere del preventivo tentativo di mediazione previsto con riguardo ad ogni singola domanda da far valere in giudizio e quindi indipendentemente dalla posizione processuale .

Oltre a verificare la corrispondenza oggettiva, il giudice deve anche accertare che esista coincidenza soggettiva fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte.

Nessun problema si porrà laddove non ricorra un caso di litisconsorzio necessario: diversamente, se la mediazione è stata svolta senza la comunicazione della domanda di mediazione o della fissazione del primo incontro ad uno dei litisconsorti necessari il giudice dovrà ritenere assente la condizione di procedibilità.

Conseguentemente, dovrà disporre il rinvio dell'udienza per consentire alle parti di assolvere alla detta condizione introducendo il procedimento di mediazione nei confronti di tutti (comprese le parti che già vi hanno partecipato).

L'effettività della mediazione

Il comma 4 del novellato art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 attua un principio cardine in materia di mediazione e ribadito nella legge di delega al governo per la riforma del processo civile (l. n. 206/2021) - quello della effettività della mediazione - secondo cui le parti, in linea di principio, sono tenute a partecipare personalmente alla procedura di mediazione , secondo le indicazioni contenute anche nella relazione della Commissione Alpa (art.84), ma, in presenza di giustificati motivi, possono delegare un proprio rappresentante, a condizione che sia informato sui fatti e che sia munito dei poteri per conciliare la lite.

L'intervento normativo è stato finalizzato sancire a chiare lettere, ciò che in dottrina e in giurisprudenza aveva rappresentato una questione assai discussa ovvero la delegabilità a terzi della partecipazione alla mediazione (per esempio ancora in Trib. Salerno, sez. II, 16 dicembre 2019, n. 3993 si leggeva di “attività personalissima non delegabile”).

Con la pronuncia della S.C. n. 8473/2019 è stato chiarito per la prima volta che sancire la necessità della comparizione personale della parte in mediazione non comporta che si tratti di attività non delegabile, non avendo la mediazione natura di atto strettamente personale.

Il difensore dovrà, all'occorrenza, essere munito di una procura avente ad oggetto specifico la partecipazione alla mediazione non essendo sufficiente il possesso del solo, generico, mandato alle liti (Trib. Velletri , sez. II, 19 ottobre 2021, n. 1892; Trib. Milano, sez. I, ord., 17 maggio 2021, giudice dott.ssa Boroni).

Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto, ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia a mezzo di procura speciale sostanziale.

L'espressa previsione della possibilità di partecipare mediante un delegato ha reso necessario stabilire in modo chiaro che il mediatore deve verificare la sussistenza dei poteri rappresentativi delle persone comparse davanti a lui e darne atto a verbale (art. 7, comma 6).

La procura, ai sensi dell'art. 1392 c.c., dovrà avere la forma richiesta dalla natura e dall'oggetto dell'accordo che si andrebbe a concludere e, quindi, ove sia prescritta la forma pubblica o autenticata non potrà essere validata dal difensore ma unicamente dal notaio non trattandosi di materie ove il difensore abbia tale potere, riconosciuto in via generale solo al notaio.

Il comma 6 dell'art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 ha, quindi, ripreso la previsione (di cui al previgente comma 3) secondo cui il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia, ma è stato integrato al fine di precisare le attività e gli oneri che gravano sulle parti della procedura di mediazione e sullo stesso mediatore il quale, in linea generale, è tenuto preliminarmente a informare le parti sulle modalità di svolgimento della mediazione ed è tenuto ad adoperarsi affinché sia raggiunto un accordo di conciliazione. Si è stabilito espressamente che del detto primo incontro è redatto verbale : è stata, pertanto, esplicitata l'importanza del “primo incontro” non più finalizzato ad una mera informativa alle parti sulla procedura (come già in alcune pronunce di merito era stato sottolineato sul presupposto che il c.d. primo incontro informativo non fosse considerato, già ante novella, un momento estraneo alla ricerca dell'accordo dovendo, invece, il mediatore indagare se esistono le condizioni tali da permettere l'inizio della procedura, volontà delle parti permettendo: cfr. Trib. Roma, sez. VI, sent., 3 novembre 2016, n. 16961).

La rilevanza nel processo della mancata partecipazione della parte alla mediazione

L'art. 12-bis è stato inserito dal d.lgs. n. 149/2022 e contiene, collocate in un unico articolo, le disposizioni sulle conseguenze processuali della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione. In particolare:

- il giudice può desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., dalla mancata partecipazione di una parte, senza giustificato motivo, al primo incontro della procedura di mediazione cui la controparte l'ha invitata.

- la parte costituita viene condannata a versare all'erario una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio instaurato dopo l'infruttuoso tentativo obbligatorio di mediazione;

-l'ingiustificata partecipazione alla procedura di mediazione da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 o da parte di soggetti sottoposti a un'autorità di vigilanza comporta che il giudice segnala la mancata partecipazione, nel primo caso, al pubblico ministero presso la Corte dei conti e nel secondo caso, all'autorità di vigilanza.

Nella predetta ottica è stata esplicitata (art. 7, comma 6) la funzione del primo incontro delle parti, che è stata potenziata con la previsione di specifici oneri a carico del mediatore (tra cui l'obbligo di verbalizzazione) anche finalizzati a far constatare l'eventuale soddisfacimento della condizione di procedibilità.

Riferimenti
  • AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali a cura di M. Bove, Padova, 2011;
  • F. Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011;
  • R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Composizione della lite e processo nel d.lg. n. 28 2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino, 2011;
  • G.P. Califano, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011;
  • M. Marinaro, Mediazione e processo. Rassegna tematica di giurisprudenza, 2011;
  • M. Bove, La Riforma del processo civile. Commento alla legge n. 206 del 26 novembre 2021, in Guida al Diritto, Sole24ore, 2022;
  • G. Di Marco, La riforma del Processo civile, (a cura di) Giampaolo Di Marco, Torino, 2022;
  • A. Briguglio, Avanti con la ennesima riforma del rito civile purché sia solo (tutt'altro che decisiva ma) modestamente utile e non dannosa, in Giustiziacivile.com, n. 6/2021;
  • R. Metafora, Mediazione (procedimento di), Inquadramento del del 1.6.2020 in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it).

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