Giudizio abbreviato e riforma Cartabia

Mario De Giorgio
25 Agosto 2023

La Corte di cassazione ribadisce l'impossibilità di chiedere la rimessione in termini per poter fruire della diminuente dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p.

Massima

È inammissibile il ricorso per cassazione avente ad oggetto l'ordinanza dibattimentale che rigetta la richiesta di rimessione in termini per accedere al giudizio abbreviato. In base a quanto prevede l'art. 586 c.p.p., infatti, un'ordinanza può essere impugnata solo unitamente alla sentenza che definisce il grado di giudizio.

Il caso

Con ordinanza del 26.1.2023 il Tribunale di Milano, nel corso di un processo per bancarotta, rigettava l'istanza con cui la difesa chiedeva di essere rimessa in termini per accedere al giudizio abbreviato. Il 30.12.2022, infatti, è entrato in vigore l'art. 24 d.lgs. 150/2022, che ha introdotto il comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. (a mente del quale, in caso di mancata impugnazione della sentenza di condanna resa all'esito dell'abbreviato, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione); essendo già stata celebrata l'udienza preliminare (ed essendo decorso, pertanto, il termine previsto dal primo comma dell'art. 438 c.p.p. per l'ammissione al rito speciale), la richiesta si basava sul presupposto che la norma di nuovo conio avesse contenuto sostanziale e che, pertanto, si dovesse applicare il principio della retroattività della lex mitior.

Avverso l'ordinanza reiettiva veniva proposto direttamente ricorso per Cassazione, ma la Corte ne dichiarava l'inammissibilità rilevando come le ordinanze emesse nel corso della fase dibattimentale, stante quanto previsto dall'art. 586 c.p.p., non possono essere impugnate autonomamente.

La questione

La pronuncia ribadisce un principio consolidato in giurisprudenza, in virtù del quale le ordinanze predibattimentali e dibattimentali non possono essere impugnate per Cassazione in via autonoma, nemmeno nel caso in cui se ne volesse invocare l'abnormità. Infatti, il riconoscimento da parte dell'ordinamento di un potere impugnatorio specifico, anche se differito (nel caso di specie quello previsto dall'art. 586 c.p.p.), esclude la possibilità di impugnare immediatamente un provvedimento come abnorme (cfr. Cass. pen., sez. V, 25 maggio 2018, n. 27971, in tema di ordinanze predibattimentali, nonché Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2020, n. 4105, in tema di ammissione delle prove).

Ma sullo sfondo della sentenza in commento si agita la questione di merito sollevata dalla difesa: è possibile essere rimessi in termini per chiedere il giudizio abbreviato per poter poi fruire in fase esecutiva dell'ulteriore sconto di pena di un sesto?

A dire il vero, i Giudici di Piazza Cavour erano già intervenuti in argomento con la sentenza della prima sezione penale n. 16054 del 10.3.2023 (in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 19.4.2023, con nota di Minnella, Mancato appello avverso la sentenza in abbreviato e riduzione di pena introdotta dalla riforma Cartabia); in quel caso, però, oggetto dell'impugnazione era stata una sentenza di secondo grado e la difesa aveva formulato l'istanza di rimessione in termini nel corso del giudizio di legittimità.

Ebbene, la Corte regolatrice aveva stabilito che la diminuente di un sesto della pena prevista dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. ha natura mista (processuale e sostanziale) e non se ne può invocare l'applicazione retroattiva, né ai processi già definiti prima dell'entrata in vigore della riforma, né a quelli pendenti a seguito di gravame. La richiesta di restituzione nel termine, pertanto, non poteva essere accolta in quanto era già stata instaurata la fase di impugnazione, segmento processuale che il legislatore del 2022 ha inteso evitare con l'introduzione della norma premiale.

Nella sentenza in commento, viceversa, l'istanza di rimessione in termini è stata proposta nel corso del processo di primo grado ed occorre chiedersi, quindi, se vi sia spazio per coltivarla in questo segmento processuale. La Corte di cassazione, tuttavia, non ha preso posizione sul merito della questione, limitandosi a dichiarare inammissibile in rito il ricorso.

Le soluzioni giuridiche

La difesa nel suo ricorso aveva fatto riferimento a una pronuncia con cui il Tribunale di Perugia, il 18.1.2023, aveva rimesso in termini un imputato che, in un procedimento iniziato nel corso del 2022, aveva chiesto di accedere al giudizio abbreviato proprio in previsione dello sconto di pena previsto dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. Secondo la dottrina «il Giudice ha ritenuto ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali» (così Brizzi, Prime applicazioni della riforma Cartabia in tema di giudizio abbreviato, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 20.1.2023; altresì cfr. Gatta, Riforma Cartabia e giudizio abbreviato: il Tribunale di Perugia ammette la rimessione in termini per la richiesta del rito dopo la previsione di una ulteriore riduzione della pena di un sesto in caso di mancata impugnazione, in Sist. pen., 19.1.2023). Sulla stessa lunghezza d'onda si è poi espresso il Tribunale di Mantova con ordinanza del 30.3.2023.

Altre pronunce di merito, tuttavia, erano state di diverso avviso: il Tribunale di Vasto, con ordinanza del 23.1.2023, il Tribunale di Spoleto, con ordinanza del 28.2.2023 e, appunto, il Tribunale di Milano con l'ordinanza oggetto del ricorso in cassazione nel caso di specie. Tali ordinanze, in particolare, pur concordando sul fatto che il neo-introdotto comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. sia una norma avente natura sostanziale (in quanto relativa al trattamento sanzionatorio dell'imputato), osservano come le disposizioni che disciplinano le modalità, i presupposti e i termini per l'accesso al giudizio abbreviato hanno natura processuale e, di conseguenza, sono soggette al principio del tempus regit actum (sul punto cfr. Fragasso, Mancata impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena a seguito della riforma Cartabia: i tribunali di Milano e Vasto escludono la rimessione in termini, in Sist. pen., 14.2.2023).

Dovendo tirare le somme, la soluzione contraria alla rimessione in termini è quella da preferire, quanto meno a giudizio di chi scrive.

Ed infatti è vero che la disposizione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. ha anche natura sostanziale, posto che la sua applicazione implica un miglioramento del trattamento sanzionatorio del condannato. Tali effetti sostanziali, tuttavia, non devono essere confusi con i presupposti di accesso ai riti speciali, i quali hanno indubbiamente natura processuale. Inoltre, bisogna considerare che in questo caso manca una disciplina transitoria che consenta il recupero del rito abbreviato, diversamente da quanto avvenuto in altre ipotesi (ad esempio, nel giudizio abbreviato per reati puniti con la pena dell'ergastolo, ovvero per la sospensione del procedimento con messa alla prova).

È bene rammentare, infine, che l'eventuale rimessione in termini per consentire l'accesso al giudizio abbreviato non impone all'imputato di astenersi dal proporre appello: la scelta di impugnare o meno la sentenza di condanna, infatti, rimane pienamente discrezionale. In tal modo, però, si corre il rischio di consentire un recupero indiscriminato del rito speciale, quindi anche in favore di chi, anche se non interessato all'ulteriore sconto di pena, aveva lasciato decorrere il termine per poterlo richiedere.

Osservazioni

Mette in conto completare il commento con qualche ulteriore, seppur breve, considerazione sui profili processuali e sulle problematiche applicative conseguenti all'introduzione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p.

Non vi è dubbio sul fatto che la norma di nuovo conio apra interessanti prospettive strategiche per la difesa dell'imputato: se infatti, da un lato, potrebbe convenire proporre impugnazione per allontanare il momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, dall'altro potrebbe risultare conveniente non impugnarla per fruire subito dell'ulteriore sconto di pena (ad esempio ottenendo, proprio grazie alla riduzione di un sesto, la possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione). Lo spirito della riforma, come emerge chiaramente dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. 150/2022, è del resto quello di premiare l'inerzia, rendendola conveniente per l'imputato.

La riduzione deve essere operata, in ogni caso, sulla pena risultante dalla sentenza di primo grado, e non già su quella che il giudice avrebbe originariamente applicato in mancanza di diminuenti per il rito. La locuzione normativa («la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto»), infatti, va interpretata in senso letterale e, quindi, lo sconto si applica alla pena oggetto della condanna divenuta definitiva a seguito della mancata impugnazione (ed è in effetti su quella pena che poi interviene, ulteriormente, il giudice dell'esecuzione).

Ci si è chiesti, inoltre, se si possa invocare l'applicazione della diminuente anche al termine del giudizio di appello.

Ancora una volta è sufficiente affidarsi all'interpretazione letterale per fornire una risposta al quesito: il comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. si riferisce espressamente alla mancata impugnazione della sentenza di condanna, che è appunto solo quella emessa nel corso del giudizio abbreviato di primo grado (un'eventuale pronuncia di condanna in seconde cure, infatti, sarebbe meramente confermativa di quella di prima istanza). Ciò consente anche di escludere che la riduzione di un sesto possa essere invocata a seguito di una rinuncia all'appello ex art. 589 c.p.p.: l'instaurazione di un giudizio di appello sarebbe comunque avvenuta ed è proprio ciò che il legislatore della novella ha inteso evitare.

La pena finale è calcolata dal giudice dell'esecuzione, individuato ai sensi del primo comma dell'art. 665 c.p.p. Si viene pertanto ad instaurare un autonomo procedimento, che potrà essere introdotto, oltre che dall'imputato, anche dal pubblico ministero.

Il giudice dell'esecuzione può attivarsi d'ufficio per applicare la diminuente ovvero è necessario un formale atto di rinuncia all'impugnazione da parte del condannato?

Secondo un certo orientamento, l'unico caso in cui il codice di rito prevede la facoltà del giudice dell'esecuzione di procedere sua sponte concerne l'applicazione di amnistia e indulto, ed il fatto che il legislatore non abbia espressamente consentito l'applicazione officiosa della riduzione di un sesto sta ad indicare la volontà di seguire la regola generale dell'istanza di parte. Tuttavia, si è anche osservato come l'art. 676 c.p.p. ora espressamente contempli (per effetto dell'all'art. 39 del d.lgs. 150 del 2022) l'applicazione della riduzione della pena prevista dall'art. 442, comma 2-bis, fra le competenze del giudice dell'esecuzione, con relativo rinvio alle forme semplificate del quarto comma dell'art. 667 c.p.p.: l'ordinanza viene dunque emessa de plano e senza formalità, il che appare del tutto compatibile con un intervento d'ufficio del giudicante.

Nella pratica, comunque, sarà difficile che l'imputato, dopo aver chiesto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato anche in considerazione dell'ulteriore sconto di pena fruibile in sede esecutiva (e dopo, quindi, aver rinunciato proprio a tal fine all'impugnazione della sentenza di condanna), poi non si rivolga subito al giudice dell'esecuzione e attenda, invece, che sia quest'ultimo a prendere l'iniziativa. Allo stesso modo, nell'ipotesi della (come detto assai improbabile) inerzia del condannato sul punto, è interesse anche del pubblico ministero attivare l'incidente di esecuzione allo scopo, poi, di emettere l'ordine di esecuzione della pena (che necessariamente dovrà tener conto dell'ulteriore decurtazione di un sesto della sanzione comminata).

Da notare, infine, come il legislatore del 2022 non abbia previsto un coordinamento fra l'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. e l'art. 587 c.p.p. in tema di estensione degli effetti dell'impugnazione. In assenza di indicazioni contrarie, si deve ritenere che l'impugnazione proposta da un coimputato giovi anche al condannato che non abbia volutamente appellato la sentenza di condanna per poter lucrare sull'ulteriore sconto di pena. Diversamente opinando, infatti, si determinerebbe una situazione in cui vi potrebbero essere esiti processuali diversi per soggetti che hanno concorso nel medesimo fatto di reato (o a più fatti di reato a seguito della riunione di procedimenti), il che contrasterebbe con la ratio dell'art. 587 c.p.p. D'altro canto, sembra eccessivo inibire la possibilità di estendere gli effetti favorevoli dell'impugnazione proposta dal coimputato anche al condannato non appellante: il principio stabilito dall'art. 587 c.p.p., infatti, è di portata generale e, pertanto, prevale anche sulle diverse scelte difensive del singolo imputato.

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