Il principio dell'affidamento e la riconoscibilità dell'errore sanitario
29 Agosto 2023
Massima
In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il medico che si sia fidato acriticamente della scelta di altro collega, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla, manifestando espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso [fattispecie nella quale, peraltro, la Corte ha annullato con rinvio la decisione che aveva ravvisato la responsabilità di un medico, intervenuto a visitare il paziente, dopo un intervento chirurgico, risultando contraddittoria la motivazione basata sulla mancanza di un esplicito dissenso rispetto alla scelta attendista del medico autore dell'intervento, giacché risultava in atti che il sanitario si era attivato per rappresentare la necessità di una rivalutazione chirurgica, dimostrativa quindi di una non condivisione della scelta di procrastinare il nuovo intervento chirurgico, che avrebbe avuto un elevato grado di probabilità di contrastare la patologia poi rivelatasi fatale]. Il caso
La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, è tata chiamata a pronunciarsi in merito ad una contestazione per omicidio colposo, mossa nei confronti di due medici per aver cagionato la morte di una paziente. Quest'ultima veniva sottoposta ad un intervento di laparoscopia per la riduzione di un'ernia post chirurgica addominale sviluppatasi a seguito di un precedente intervento di gastroresezione. Durante l'operazione venivano riscontrate delle aderenze di anse intestinali alla parete addominale, motivo per il quale veniva posizionata una Mesh (rete) ancorata in PTFE con spiralette in titanio. Il decorso post-operatorio, così come emerge dal diario clinico del ricovero, risultava regolare, sicché la paziente veniva dimessa sei giorni dopo l'intervento. Tuttavia la sera della dimissione, la stessa accusava forti dolori addominali e dispnea, motivo per il quale veniva nuovamente ricoverata presso il nosocomio, nello specifico presso l'unità di terapia intensiva cardiologica. Il giorno seguente veniva sottoposta ad Angio-tac, dalla quale risultava un versamento liquido con raccolta saccata nel mesentere, rendendo così necessaria un'ulteriore visita specialistica, all'esito della quale veniva riscontrata la presenza di sieroma e di versamento tra epiploon e rete intra peritoneale. A seguito di tale referto gli imputati avevano prescritto l'esame di RX torace e RX diretta addome. Nel mentre le condizioni della paziente erano degenerate; era dispnoica, presentava temperatura corporea alterata e marcata ipopotassiemia. Solamente sei giorni dopo il nuovo ricovero veniva effettuata un'ulteriore Tac, dalla quale emergeva non solo la necessità di una puntura esplorativa e un'aspirazione ecoguidata della raccolta, ma anche di un nuovo intervento chirurgico di rimozione del mesh. Nei giorni immediatamente seguenti all'operazione le condizioni cliniche della paziente si erano aggravate al punto da causare un'insufficienza multiorgano, che aveva portato al decesso della medesima. La Corte territoriale aveva ritenuto gravemente negligente la condotta degli imputati per avere omesso la corretta diagnosi di peritonite, già formulabile, secondo la corte, all'esito dell'Angio tac, e per non aver posto in essere la necessaria condotta salvifica, realizzata solamente 6 giorni dopo il nuovo ricovero, e per non aver eseguito altra Tac al fine di monitorare la situazione. La Corte aveva dunque condannato S, ovverosia il medico che aveva effettuato l'operazione, ad anni 1 e mesi e mesi tre di reclusione, e il medico C., intervenuto a seguito dell'intervento, a dieci mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite. Solamente C. proponeva ricorso per cassazione. La questione
La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile alla C. e l'evento morte, considerato il momento e il ruolo assunto dalla ricorrente nella vicenda. Le soluzioni giuridiche
La ricorrente denuncia la illogicità e contraddittorietà dell'iter logico-argomentativo in ordine alla sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta a lei ascrivibile alla ricorrente e la morte della paziente.
Con il secondo motivo deduce la violazione della l. n. 189/2012 e della l. n. 24/2017 in quanto il Tribunale e la Corte d'appello avrebbero dovuto verificare le linee guida del caso concreto, o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali, dovendo specificare la natura della colpa e se, ed in quale misura, la condotta della C. si fosse discostata dalle linee guida. Con il terzo motivo deduce che la Corte territoriale, una volta dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, avrebbe dovuto delibare i motivi di appello mediante l'applicazione delle regole processuali e probatorie proprie del processo civile. Secondo i Giudici i motivi di ricorso sono fondati. Va premesso che nel caso di specie, l'addebito riguarda una cooperazione colposa di più medici, intervenuti in momenti diversi, ovvero S. e C., ai quali viene ascritta la scelta di aver colposamente atteso per intervenire e risolvere chirurgicamente la complicanza verificatasi in seguito all'intervento operatorio avvenuto pochi giorni prima. La Corte territoriale, facendo proprie le conclusioni del collegio peritale nominato, riteneva che una condotta alternativa attiva avrebbe consentito, con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza tecnica, di contrastare la peritonite in atto, rimuovendo chirurgicamente le cause della medesima. Tale condotta sarebbe stata di piena efficacia se effettuata a partire dalla data in cui era stata effettuata l'Angio tac, esame che aveva evidenziato in addome una raccolta liquida in più parti ed una falda di aria libera, quest'ultima indice di perforazione.
Tuttavia, a fronte di tale esito, la C, anziché far eseguire una Tac, aveva prescritto una RX addome.
Secondo il giudice di primo grado la condotta dei dottori S. e C. era stata negligente nonché imperita nella misura in cui gli stessi avevano interpretato gli esiti della Angio-Tac come indicativi di una raccolta saccata anziché come indici di una perforazione di visceri intestinali, diminuendo fortemente le chances di sopravvivenza della persona offesa con conseguente affermazione della penale responsabilità degli imputati. Prima di affrontare nello specifico il caso in esame, la Corte ricorda che cosa si intenda, nell'ambito dell'attività medica, per "responsabilità di equipe”, ovverosia la situazione di più medici che si sono occupati in successione dello stesso paziente, e il relativo “principio dell'affidamento”, in forza del quale il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente a impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento. Tali principi consentono di di confinare l'obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l'esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 della Costituzione, perché il riconoscimento della responsabilità per l'eventuale errore altrui non è illimitato e impone, per essere affermato, non solo l'accertamento della valenza concausale del concreto comportamento attivo o omissivo tenuto rispetto al verificarsi dell'evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i principi in tema di colpa (Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2019 n. 30626; Rv.). In caso di responsabilità professionale, configurata a titolo di cooperazione colposa multidisciplinare, con specifico riferimento all'attività medico-sanitaria svolta in equipe e, più in generale, all'attività medico-chirurgica - l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare aprioristicamente una responsabilità di gruppo, in particolare quando i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti tra loro, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione degli spazi di competenza altrui (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 49774/2019, Rv. 277422). L'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 53315/2016, Paita e altri, Rv. 269678). Sebbene tale obbligo di vigilanza non possa operare rispetto a quelle fasi dell'intervento, nelle quali i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 27314/2017, Puglisi, Rv. 270189). Quindi l'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio (Cass. pen., sez. IV, n. 53315/2016, Paita, Rv. 26967801). Tutto ciò premesso, esaminando specificatamente il ruolo assunto nella vicenda dall'imputata, occorre in primo luogo ricordare come la stessa, non avesse partecipato al primo intervento, ma che avesse visitato la paziente solamente in seguito, ai fini delle dimissioni. Veniva nuovamente a contatto con la paziente solamente in occasione del secondo ricovero, ove eseguiva esami e contattava telefonicamente il collega S. della necessità di una rivalutazione chirurgica del caso. L'addebito colposo mosso al sanitario si specifica nel non avere la C. manifestato in maniera espressa il suo dissenso rispetto a scelte terapeutiche non condivise anche, eventualmente, rivolgendosi al primario, figura che viene "solo genericamente evocata" ma che non risulta essere stata interpellata al fine di esprimere le proprie perplessità in ordine alla scelta di non operare immediatamente del collega S. A proposito delle forme di esternazione del dissenso, la Corte ricorda alcune pronunce in tema di colpa medica, che affermano che debba escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla (Cass. pen., sez. IV. n. 7667/2017 Rv. 272264). È stato inoltre affermato che il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell'intervento operatorio, ha l'obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso (Cass. pen., sez. III, n. 43828/2015, Cavone, Rv. 26526001- In motivazione, la Corte ha sottolineato che la valutazione relativa alla idoneità della forma di dissenso impiegata ad escludere la responsabilità penale deve essere compiuta avendo riguardo al contesto in cui questa opinione è stata resa manifesta, dovendo necessariamente distinguersi tra la situazione in cui si procede a scelte puramente terapeutiche a quella di tipo operatorio). In tema di colpa medica infatti deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il medico che si sia fidato acriticamente della scelta di altro collega, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla, manifestando espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso. Ebbene, la sentenza impugnata, dopo aver evidenziato come la stessa avesse tenuto una condotta definita dai consulenti tecnici come "proattiva" disponendo ulteriori esami, aveva affermato la responsabilità della C. a titolo di cooperazione colposa senza tuttavia individuare le condotte che la stessa avrebbe dovuto tenere onde rendere manifesto il suo contrario avviso rispetto alla scelta di procrastinare l'intervento chirurgico, considerato altresì che anche l'opzione di interpellare direttamente il primario sarebbe stata inutile in base alle modalità di gestione del reparto. In altri termini, l'apparato motivazionale della sentenza impugnata rivela a riguardo un profilo di evidente lacunosità e contraddittorietà laddove, pur dando atto in più punti del dissenso manifestato dall'odierna imputata al collega in ordine ad una scelta terapeutica non condivisa, tuttavia aveva ritenuto sussistente il rapporto di causalità tra la effettiva condotta ascrivibile alla ricorrente e l'evento morte della paziente. Osservazioni
La Corte nel caso di specie viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare che vede due medici-chirurghi imputati per omicidio colposo di un paziente deceduta a seguito di un'insufficienza multiorgano. Nel settore della responsabilità medica è noto come, in un'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, la valutazione in merito alle singole condotte e quindi dalla responsabilità non potrà prescindere dal singolo ruolo rivestito. Pertanto la valutazione in merito alla responsabilità di ciascun soggetto intervenuto dovrà essere effettuata sulla base della singola condotta e dell'incidenza causale dell'evento. In tema di esonero della responsabilità, può valere il principio dell'affidamento solo in relazione alla attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui i più soggetti, medici e/o paramedici svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata e congiuntamente nello stesso contesto spazio – temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Il concetto di posizione di garanzia si è sviluppato nell'ambito giurisprudenziale a partire dagli anni ‘50, venendo a costituire un principio generale del sistema penale, in grado di offrire nuove prospettive in funzione delle potenzialità di tutela sociale delle norme aventi ad oggetto la salute e l'integrità fisica dei cittadini. Tale concetto trova il proprio fondamento normativo nell'articolo 40 comma 2 c.p. che prevede che “non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Si tratta di una clausola di equivalenza di parte generale il cui contenuto viene determinato di volta in volta in base alla sua applicazione rispetto alle singole norme di parte speciale. Nel caso in esame i giudici di merito avevano ritenuto che entrambi gli imputati C. e S. avessero omesso di predisporre tempestivamente la TAC e la conseguente puntura esplorativa, la cui effettuazione avrebbe permesso di intervenire chirurgicamente in modo tempestivo e di accertare la peritonite da cui la paziente era affetta ponendovi rimedio ed evitando uno stato di sepsi generalizzata che l'aveva condotta alla morte. In altri termini, tale ritardo avrebbe determinato un rinvio dell'intervento eseguito solo successivamente, che non avrebbe potuto avere effetti risolutivi stante le condizioni non più recuperabili della paziente. L'angio Tac effettuata a seguito del secondo ricovero avrebbe invero rilevato l'esistenza di una perforazione intestinale; cosicché i sanitari avrebbero potuto effettuare una puntura esplorativa per accertare il tipo di liquido che si era raccolto nell'addome della paziente. Ciò avrebbe consentito di accertare la peritonite da cui la paziente era affetta ponendo rimedio ed evitando uno stato di sepsi generalizzato che l'aveva condotta alla morte. l giudici di primo grado avevano dunque ritenuto che la condotta dei dottori S. e C. era stata negligente nonché imperita nella misura in cui gli stessi avevano interpretato gli esiti della Angio-Tac come indicativi di una raccolta saccata anziché come indici di una perforazione di visceri intestinali, diminuendo fortemente le chances di sopravvivenza della persona offesa con conseguente affermazione della penale responsabilità degli imputati. |