Risarcibile in re ipsa il danno da usura psico-fisica in caso di significativa interferenza nella vita privata del lavoratore

29 Agosto 2023

L'abuso nella richiesta di turni di reperibilità, rientrante nella categoria del danno da usura psico-fisica, comporta per il datore di lavoro il risarcimento del danno in re ipsa, determinando una significativa interferenza nella vita privata del lavoratore e, conseguentemente, la lesione di un bene personalissimo di natura costituzionale.
Il caso

Un autista di ambulanza conveniva in giudizio l'Azienda Sanitaria Regionale, chiedendo l'accertamento dell'abusiva richiesta di svolgimento di un numero di turni di pronta disponibilità di gran lunga superiore a quanto previsto dalla contrattazione collettiva di settore, oltre al risarcimento del danno derivante dall'usura all'integrità psico-fisica dovuta alla protrazione nel tempo delle richieste datoriali. In concreto, il lavoratore lamentava che il numero di turni di pronta disponibilità richiesti ogni mese, pari a dieci turni eccedentari (120 annui) rispetto alla soglia massima prevista dalla contrattazione collettiva (ovvero sei turni mensili, pari 72 annui), fosse sproporzionata avendo comportato un significativo superamento del limite previsto dalla disciplina di settore, oltre alla grave lesione della propria persona.

Sia in primo che in secondo grado le domande del ricorrente venivano respinte, considerato che:

- non sussiste un diritto all'accertamento del divieto da parte del datore di lavoro di preporre il lavoratore a turni eccedenti la soglia massima richiesta dal CCNL, poiché la disposizione contrattuale collettiva invocata non preclude la richiesta datoriale di turni di pronta disponibilità eccedenti il limite “di regola” previsto;

- il numero di turni eccedenti la soglia massima, pari nel caso di specie a dieci mensili, non veniva ritenuto di eccessiva entità, conto tenuto del fatto che lo stesso lavoratore non aveva mai opposto rilievi di sorta o svolto specifiche richieste alternative in corso di rapporto;

- nessuna precisa allegazione era stata fornita dal ricorrente in ordine al dedotto danno da usura psico-fisica, che non può essere oggetto di presunzione assoluta nei suoi caratteri naturalistici;

Veniva pertanto presentato ricorso in Cassazione avverso la pronuncia della Corte d'Appello di Campobasso, sulla base dei due seguenti motivi di impugnazione:

a) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., 1175 e 1375 c.c. (oltre all'erronea interpretazione dell'art. 7 del CCNL di comparto), considerato che la Corte territoriale nell'interpretare la disposizione del CCNL come non limitativa della possibilità per il datore di lavoro di richiedere un numero di turni di pronta disponibilità indefinito ed elevato, avesse manifestamente violato la lettera della disposizione contrattuale collettiva la quale prevede invece che i turni mensili dovrebbero essere “di regola” al massimo sei;

b) Violazione degli articoli 1218, 1223, 2727 e 2729, c.c. nella parte in cui non ha utilizzato lo strumento delle presunzioni al fine di ritenere provati gli elementi relativi al danno prodotto per l'esorbitante numero di turni di reperibilità fatti osservare, consistente nell'inevitabile effetto usurante del mancato riposo, oltre al pregiudizio alle normali attività socio-ricreative che la continua disponibilità al lavoro comportava.

I principi di diritto

L'ordinanza si distingue per chiarezza e sinteticità nell'esposizione dei principi di diritto alla base della questione portante: l'asserita illegittimità della richiesta di prestazione di turni di pronta disponibilità, perché avvenuta in misura abnorme rispetto alla regola fissata dalla contrattazione collettiva, oltre al danno che ne sarebbe derivato.

È opportuno premettere che i turni di reperibilità (detti anche di “pronta disponibilità”), si sostanziano in “una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa (cfr. Cass. 8 novembre 2019, n. 28938).

Secondo l'invalso orientamento della Corte di Cassazione ribadito dalla pronuncia in commento, la previsione della contrattazione collettiva secondo cui di regola non potranno essere previsti per ciascun dipendente più di sei turni di pronta disponibilità al mese ha natura meramente programmatica, non costituendo un limite temporale invalicabile e consentendo pertanto al datore di lavoro di richiedere la disponibilità anche in misura maggiore, fermo restando il diritto alla retribuzione per i turni eccedenti e salvo il risarcimento del danno nel caso di pregiudizio per il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore (cfr. Cass., 15 dicembre 2022, n. 36839; Cass., 13 gennaio 2021, n. 436; Cass., 8 novembre 2019, n. 28938, cit.).

Più precisamente, in conformità ad un consolidato principio di diritto (cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16711; Cass., 15 dicembre 2022, n. 36839, cit.), nonostante la possibilità di superare i limiti massimi previsti dalla contrattazione collettiva, sorge comunque la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro nel caso in cui il concreto atteggiarsi della mancata fruizione dei riposi, per le sue modalità di manifestazione, determini una significativa interferenza nella vita privata del lavoratore. Pregiudizio che, considerata la natura “elastica” della disposizione contrattuale collettiva in esame (art. 7 comma 10 CCNL comparto sanità del 20 settembre 2001), necessita – come accennato – di un superamento significativo del limite dettato dalla norma, «fino al punto di poter dire che la vita personale del lavoratore, in ragione di ciò, sia stata inevitabilmente compromessa».

Nel caso concreto, lo svolgimento di dieci turni eccedentari mensili (rispetto ai sei massimi della norma) configura un'intollerabile sproporzione quantitativa della prestazione di lavoro, che si sostanzia in un ricorso smodato alla reperibilità in modo tale da valicare non solo il limite “di regola” indicato dalla contrattazione collettiva, ma anche e soprattutto i canoni di correttezza e buona fede che fanno della proporzionalità il fondamento ultimo dell'obbligazione lavorativa (cfr., sulla violazione del principio di correttezza e buona fede ex art. 1175 e 1375 c.c. nel caso di abuso dei turni di pronta reperibilità, Cass., 8 novembre 2019, n. 28938, cit.; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25380; Cass., 6 luglio 2015, n. 13935).

Ne deriva che, in questa particolare ipotesi di inadempimento contrattuale, al di là dell'eventuale produzione di pregiudizi (c.d. danni-conseguenza) di natura psico-fisica accertabili sul piano medico-legale, il danno è in re ipsa (c.d. danno-evento), configurandosi la violazione del diritto al riposo e dunque della personalità morale del lavoratore (cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16711, cit.).

Infatti, attraverso l'abuso nella richiesta dei turni di reperibilità (sei di regola e dieci eccedenti il limite della contrattazione collettiva), si è determinata in concreto “una situazione che realizza un condizionamento illecito della vita personale, perché le dimensioni dell'impegno sono state tali da impedire la possibilità stessa di fare liberamente cose ad una certa distanza territoriale dal posto di lavoro”. Il riposo, del resto, significa allontanamento anche mentale dalla necessità di mantenersi a disposizione del datore di lavoro: l'abnorme entità dell'impegno richiesto in concreto al lavoratore, impedisce di fatto il realizzarsi di tale fine.

In definitiva, non vi è necessità che il lavoratore provi alcunché in ordine ai pregiudizi patiti, poiché la misura dell'impegno lavorativo così come accertata in concreto determina “la negazione in sé di un tratto della vita personale e dunqueun danno alla personalità morale del lavoratore, per essersi perduto il riposo ed essersi in tal modo realizzata un'interferenza illecita nella sfera giuridica inviolabile altrui.

L'abnormità della prestazione lavorativa per come effettivamente si è atteggiata, pertanto, configura ipso iure una lesione dei beni personalissimi del lavoratore meritevole di risarcimento in termini di danno da usura psico-fisica, essendo “fuorviante pretendere necessariamente l'esistenza di perdite-conseguenze diverse”. In definitiva, il danno matura “senza che rilevino più di tanto allegazioni di dettaglio atte a differenziare a tutti i costi una situazione pregiudizievole che tendenzialmente ha una base uguale per tutti, per il fatto della lesione alla vita personale che scaturisce dalla violazione del diritto al riposo”.

Resta ferma e impregiudicata, in ogni caso, la possibilità di provare l'esistenza di ulteriori danni-conseguenza (come quello alla salute), che certamente può comportare il conseguimento dei risarcimenti connessi, sebbene “il ristoro prescinda da essi e derivi già dal pregiudizio alla vita personale considerato come tale”.

Questione diversa, invece, è la quantificazione del danno, che dovrà essere oggetto di “cauti apprezzamenti di natura equitativa”.

In questo contesto, nessun rilievo sul piano dell'eventuale esonero della responsabilità datoriale può avere la condotta del lavoratore, il quale non abbia mosso rilievi rispetto alle richieste di pronta disponibilità: la lesione di diritti personalissimi e inviolabili, infatti, non permette di riconoscere nel consenso del danneggiato un fattore esimente (volenti non fit iniuria). Spetta pertanto al datore di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2087 c.c., l'obbligo di organizzarsi in modo da non richiedere e comunque impedire il ricorso all'impegno del dipendente in violazione dei principi di tutela della salute e della personalità morale dello stesso.

La collocazione sistematica

L'ordinanza in commento si colloca perfettamente nell'ambito di un contesto sistematico da tempo delineato dalla giurisprudenza, già oggetto di analisi (cfr. D. TAMBASCO, Il danno da superlavoro e da usura psico fisica nella giurisprudenza, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 9 giugno 2022; D. TAMBASCO e P. DI STEFANO, Risarcibile in re ipsa il danno da usura psico fisica al lavoratore stacanovista, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 30 settembre 2022).

Nella giurisprudenza stratificatasi nel corso di diversi decenni, si possono in particolare distinguere due differenti fattispecie di “diritto vivente”: il superlavoro (detto anche “surmenage”, cfr. Cass., 8 giugno 2017, n. 14313) e l'usura psico-fisica.

(Segue): il superlavoro

Si tratta di una fattispecie estratta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità dal tronco dell'art. 2087 c.c., formata da tre elementi costitutivi:

a) l'esistenza di un ambiente o di condizioni lavorative nocive, consistenti nello svolgimento della prestazione lavorativa oltre la normale tollerabilità, ovverosia protratta per diverso tempo ed esorbitante rispettoai limiti orari massimi previsti dalla legge (artt. 3 e ss. d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66) o dalla contrattazione collettiva per il lavoro straordinario (cfr. Cass., 10 maggio 2019, n. 12540; Cass., 8 giugno 2017, n. 14313; Cass., 24 ottobre 2011, n. 18211; nel merito, Trib. La Spezia, sez. lav., 26 giugno 2019, n. 199; contra, App. Venezia, 4 febbraio 2022, n. 608) o svoltasecondo turni di lavoro eccessivamente pesanti (cfr. Cass., 23 maggio 2003, n. 8230; Cass., 14 febbraio 2006, n. 3209; Cass., 8 maggio 2014, n. 9945) o senza la fruizione delle pause e dei riposi giornalieri, di quelli settimanali o delle ferie annuali (cfr. Cass., 14 luglio 2015, n. 14710)o, comunque, “in condizioni di particolare gravosità(cfr. Cass., 4 gennaio 2018, n. 93; Trib. Roma, sez. lav., 6 ottobre 2021, n. 8009);

b) l'effettiva lesione dell'integrità psico-fisica (danno alla salute o biologico) del lavoratore o della lavoratrice, rilevante sia in termini di danno evento (ovverosia di integrazione della fattispecie di responsabilità attraverso l'evento lesivo contra ius, connesso alla condotta in termini di causalità materiale), sia in termini di danno–conseguenza (pregiudizio economicamente rilevante legato alla fattispecie lesiva in termini di causalità giuridica), ex multis, cfr. Trib. Milano, 17 settembre 2018, n. 2276;

c) il nesso eziologico tra lo svolgimento delle prestazioni lavorative in condizioni nocive e la produzione del danno alla salute (ex multis, App. Catanzaro, 13 marzo 2018, n. 34).

Siamo di fronte a una fattispecie il cui onere probatorio grava integralmente sul danneggiato (ex multis, Cass., 15 aprile 2014, n. 8804; Cass., 8 maggio 2014, n. 9945, cit.); soltanto una volta assolto tale onere (peraltro molto difficoltoso, soprattutto con riguardo alla prova del nesso eziologico, cfr. ex multis, Cass., 14 gennaio 2022, n. 1096; Cass., 31 agosto 2020, n. 18132; Cass., 23 maggio 2018, n. 12808; nel merito, App. Milano, 15 giugno 2021, n. 430; Trib. Taranto, 25 maggio 2012, n. 3803), spetterà al datore di lavoro il compito di dimostrare l'adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (ex plurimis, Cass., 27 gennaio 2022, n. 2403; Cass., 5 febbraio 2000, n. 1307).

L'esonero di responsabilità, in questo caso, può essere invocato dal datore solo nel caso in cui comprovi l'abnormità e l'esorbitanza del fatto lesivo rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive impartite, tanto da poter affermare l'interruzione del nesso causale per opera di una condotta del lavoratore talmente imprevedibile da rappresentare essa stessa causa esclusiva dell'evento, o in alternativa la presenza di un rischio elettivo generato da un'attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti (ex multis, Cass., 2 gennaio 2002, n. 5; Cass., 7 giugno 2007, n. 13309; Cass., 17 febbraio 2009, n. 3786; Cass., 4 dicembre 2013, n. 27127).

(Segue): l'usura psico-fisica

Questa seconda fattispecie è emersa nella giurisprudenza, mossa dall'esigenza di risolvere situazioni in concreto prive di un effettivo pregiudizio psico-fisico, ma ritenute comunque meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento.

La categoria dell'usura psicofisica – che da un punto di vista logico-sistematico può considerarsi una species del superlavoro – è ravvisabile principalmente nel caso di violazione del diritto al riposo settimanale (definito anche “lavoro nel settimo giorno”) e alle ferie annuali, entrambi oggetto di tutela costituzionale e indisponibili a norma dell'art. 36, comma 3, Cost.

Se da un lato la figura del superlavoro, come abbiamo visto, richiede che lo svolgimento della prestazione lavorativa oltre la soglia della “normale tollerabilità” abbia causato un danno alla salute, al contrario il carattere "gravoso e usurante" della prestazione, concernendo la dignità della prestazione lavorativa (quale espressione particolare, nell'ambito della produttività nel lavoro per altri, della dignità della persona), non necessariamente deve portare alla rovina psico-fisica del lavoratore, potendo accadere che le condizioni della prestazione, per la violazione dei fondamentali diritti costituzionali al riposo previsti dall'art. 36 Cost., si manifestino in concreto come parimenti in contrasto rispetto al citato diritto alla dignità del lavoro (cfr. Cass. 5 agosto 2020, n. 16711) (1).

Ciò che rileva maggiormente, in quest'ultima ipotesi, è che il danno sussiste in re ipsa, sulla base della semplice violazione della norma costituzionale relativa al diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali (c.d. danno-evento), e deve essere liquidato dal giudice in via equitativa, quantificandolo in concreto avendo in considerazione la gravosità delle prestazioni lavorative e potendo utilizzare, a tal fine, anche gli strumenti e gli istituti affini previsti dalla contrattazione collettiva (cfr., Cass., 25 luglio 1986, n. 4785; Cass. 27 maggio 1980 n. 3470; Cass. 22 maggio 1985 n. 3105; Cass., 19 novembre 1987, n. 8514).

Si tratta di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che è giunto fino ad oggi, progressivamente espandendosi e ricomprendendo, oltre al riposo settimanale e alle ferie oggetto di copertura costituzionale, anche la violazione del diritto al riposo giornaliero e la violazione dei limiti massimi di prestazione lavorativa straordinaria, oggetto di disciplina legislativa o contrattuale collettiva (ex multis, Cass., 5 agosto 2020, n. 16711, cit.; Cass., 15 luglio 2019, n. 18884; Cass., 1° dicembre 2016, n. 24563 ;Cass., 4 agosto 2015, n. 16665; Cass., 25 ottobre 2013, n. 24180; contra, per la necessità di allegare e provare anche le conseguenze pregiudizievoli concretamente derivate – danno conseguenza –, seppure attraverso l'utilizzo delle presunzioni e del fatto notorio, cfr. ex plurimis, Cass., 28 marzo 2017, n. 7921; Cass., 23 maggio 2014, n. 11581; Cass., 10 febbraio 2014, n. 2886; Cass., 15 maggio 2013, n. 11727; Cass., 28 giugno 2011, n. 14288; Cass., 3 luglio 2001, n. 9009).

Ne è derivato, in definitiva, un ampliamento di questa ulteriore categoria di diritto pretorio (2), arrivata a riconoscere l'esistenza di una responsabilità da carattere usurante della prestazione lavorativa e, conseguentemente, un danno non patrimoniale in re ipsa, quale effetto di per sé anche del solo superamento delle specifiche regole di legge o di contrattazione sui riposi giornalieri (Cass., 15 luglio 2019, n. 18884; Cass., 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass.,14 luglio 2015, n. 14710), della sistematica violazione dei limiti massimi previsti per lo straordinario (Cass., 10 maggio 2019, n. 12538, cit.), o dello svolgimento esorbitante di turni di reperibilità (cfr. ex multis, Cass., 15 dicembre 2022, n. 36839).

Sintesi

In definitiva, l'ordinanza in commento si caratterizza per due aspetti salienti:

a) l'espansione della sottocategoria (rispetto al superlavoro) dell'usura psico-fisica anche all'abuso nella richiesta datoriale dei turni di disponibilità oltre i limiti programmatici fissati dalla contrattazione collettiva di settore, in conformità ad un orientamento peraltro già consolidato in materia (cfr. Cass., 15 dicembre 2022, n. 36839, cit.; Cass., 13 gennaio 2021, n. 436; Cass., 8 novembre 2019, n. 28938, cit.);

b) la netta affermazione della risarcibilità in re ipsa del danno da usura psico-fisica, attraverso una dichiarazione di principio che sembra assumere valenza generale (3), essendo volta a riconoscere ipso iure la tutela risarcitoria al verificarsi della lesione di un diritto fondamentale e inviolabile qual è la libertà da interferenze illecite nella propria vita privata (art. 2 Cost.), o comunque di qualsiasi altro bene giuridico personalissimooggetto di riconoscimento costituzionale, eurounitario o internazionale. In questo caso, la pronuncia sposta ancor più in là il confine tracciato da un orientamento giurisprudenziale che, negli ultimi anni, ha progressivamente portato alla crisi della distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza nell'ambito della responsabilità civile (4).

Certamente la soluzione approntata dalla Corte di Cassazione si rivela pregevole non solo sul piano dell'effettività della tutela riconosciuta (coincidente con una situazione di abuso della prestazione lavorativa che ha un concreto impatto sulla vita personale dei lavoratori e delle lavoratrici), ma anche per la perentorietà dei principi enunciati, rifuggendo da sterili finzioni giuridiche.

Sotto questo profilo, infatti, appare quantomai opportuno l'abbandono del tralatizio riferimento all'utilizzo delle presunzioni per la prova dei danni-conseguenza, e il passaggio all'esclusiva considerazione delle concrete modalità di violazione della norma (costituzionale, ordinaria o contrattuale collettiva) limitativa della prestazione di lavoro, con la conseguente – e automatica – lesione della personalità morale del prestatore di lavoro (5).

Note

(1) Ciò, considerando che non è lecita la richiesta o l'accettazione sistematica di prestazioni lavorative in condizioni irragionevoli in quanto esorbitanti, ovverosia svolte in contesti tali da sacrificare, per la misura del lavoro (valutata su base giornaliera o su più ampi periodi) ed eventualmente anche per l'inadeguatezza del contesto organizzativo e dei mezzi predisposti, non solo l'"integrità fisica", ma anche la "personalità morale" del lavoratore, secondo gli inequivocabili dati testuali desumibili dall'art. 2087 c.c. attraverso cui si esprime, nel quadro costituzionale, la necessaria garanzia tanto del diritto alla salute (v. Corte cost. 7 maggio 1975, n. 101) quanto del diritto all'esecuzione della prestazione in condizioni rispettose della dignità del lavoro (artt. 35 e 2 Cost., cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16711, cit.).

(2) Cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16711, cit., secondo cui “questa Corte ha in proposito ritenuto l'esistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, allorquando si agisca per il riconoscimento di responsabilità da carattere usurante della prestazione quale effetto di per sè solo del superamento delle specifiche regole di legge o contrattazione sui riposi (Cass., 15 luglio 2019, n. 18884; Cass., 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass., 14 luglio 2015, n. 14710) od alla sistematica violazione dei massimi previsti per lo straordinario (Cass., 10 maggio 2019, n. 12538) applicabili al caso interessato; il ragionamento è stato essenzialmente sviluppato sulla base della copertura costituzionale che l'art. 36 Cost. fornisce alla durata del lavoro giornaliero e settimanale, ma è chiaro che analogo ragionamento non può non valere per gli ulteriori limiti massimi desumibili dal D.lgs. n. 66/2003 o dalla relativa direttiva eurounitaria, in sé o per quanto previsto dalla contrattazione collettiva cui essi facciano rinvio”.

(3) Cfr. Cass., 21 luglio 2023, n. 21934, non vi era dunque necessità che il ricorrente allegasse alcunché di specifico, perché quella misura dell'impegno di disponibilità è la negazione in sé di un tratto della vita personale e dunque un danno alla personalità morale del lavoratore, per essersi perduto il riposo ed essersi in tal modo realizzata un'interferenza illecita nella sfera giuridica inviolabile altrui (Cost., art. 2) munita in questo di specifico riconoscimento costituzionale (artt. 35, comma 1, e nei principi sottesi alla Cost., art. 36, comma 2 e 3), oltre che di riconoscimento in fonti Eurounitarie (direttiva 2003/88/CE ) ed internazionali (Convenzioni OIL sull'orario di lavoro, a partire dalla n. 1 del 2019, resa esecutiva dal R.d.l. n. 1429/1923); tale lesione, come è per altri beni personalissimi, è in quanto tale perdita risarcibile, potendo anzi risultare fuorviante pretendere necessariamente l'esistenza di perdite-conseguenza diverse”.

(4) Si fa riferimento al titolo del Convegno tenuto presso l'Università Bocconi di Milano in data 29 e 30 giugno 2023, in cui si è discusso della crisi di tale distinzione nella giurisprudenza e nella dottrina, nonché dell'opportunità di eventualmente abbandonare questa bipartizione teorico-sistematica.

(5) Sulla rilevanza della lesione non solo dell'integrità psico-fisica, ma anche della personalità morale del lavoratore desumibile dal testo dell'art. 2087 c.c., si veda supra nota 1 e Cass., 5 agosto 2020, n. 16711, cit.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario