L’imprenditore cessato tra piano di ristrutturazione e concordato minore

29 Agosto 2023

L'articolo espone le diverse tesi che, a fronte della necessità di configurare per l'imprenditore cancellato una alternativa alla soluzione liquidatoria, militano ora a favore del suo accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ora a favore del suo accesso al concordato minore.
Introduzione

L'art. 33, comma 4, CCII vieta all'imprenditore cessato di accedere, tra l'altro, al concordato minore. Si tratta di un probabile errore del Legislatore, che voleva in realtà precludere l'accesso alla procedura regolatoria dei professionisti solo alle società di capitali, che perdono la capacità di agire con la cancellazione, ma non alle imprese individuali, che la conservano anche dopo (Cfr. Tribunale di Ancona, sez. II, 11 gennaio 2023, GD Filippello).

Se il sistema impone di accordare uno strumento regolatorio e uno liquidatorio per ogni posizione soggettiva, le oscillazioni interpretative della giurisprudenza fanno propendere per l'opzione che consente l'accesso al concordato minore all'imprenditore cancellato, al di là del dato letterale. La la lettura della crisi come difficoltà prospettica potrebbe tuttavia condurre a una differente soluzione.



L'interpretazione letterale dell'art. 33, comma 4, CCII

Ancorandosi al dato letterale del codice, se all'imprenditore cancellato si impedisse l'accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore, per costui le possibilità riconosciute dal CCII si limiterebbero alla sola liquidazione controllata: questa è la tesi sostenuta da Trib. Genova, sez. VII, 16 novembre 2022, GD Braccialini. Una simile eventualità non pare accettabile per la recente definizione di “consumatore” accolta dal CCII, in quanto il sistema impone di accordare a tutte le posizioni soggettive una soluzione regolatoria (ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore) e una soluzione liquidatoria: “alla stregua del sistema implicato dal CCII, un soggetto può alternativamente rientrare nella figura di consumatore o di non consumatore (dunque di imprenditore o di professionista), senza terze possibilità che comportino l'effetto di precludere al medesimo l'accesso a strumenti di regolazione del proprio stato di insolvenza o di sovraindebitamento diversi dalla liquidazione (giudiziale o controllata), che rappresenta, nello stesso sistema del CCII, la soluzione ultima” (cfr. Trib. Trento, 4 novembre 2022, rel. Sieff).

Peraltro, è lo stesso CCII, all'art. 271, ad imporre un'alternativa alla liquidazione controllata proposta da un creditore, perché, in questo caso, il debitore deve avere la possibilità di difendersi chiedendo l'accesso ad una procedura regolatoria: la tesi che relega l'imprenditore cancellato alla sola liquidazione controllata sarebbe irrispettosa del diritto di difesa in questa ipotesi e dunque sarebbe da considerarsi fuori sistema e contraria al diritto costituzionale alla difesa.

Anche le oscillazioni ermeneutiche tra le due opzioni regolatorie sarebbero da escludere: la direttiva insolvency, al considerando 21, chiede al legislatore nazionale di eliminare le incertezze sul debito misto e di accordare una sola procedura di ristrutturazione al consumatore con un debito promiscuo. Pertanto, se dovessero permanere dubbi sulla procedura da applicare, l'ordinamento non sarebbe rispettoso del diritto europeo che chiede di eliminare le incertezze al riguardo.

Occorre, dunque, verificare le ragioni che militano a favore dell'accesso dell'imprenditore cancellato alla procedura del consumatore e quelle che militano a favore del suo accesso al concordato minore, per verificare quale delle due ipotesi sia preferibile.



Le ragioni a favore della ristrutturazione dei debiti del consumatore

La tesi che sostiene l'ammissibilità della domanda di accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore proposta dall'imprenditore cancellato con un passivo promiscuo si radica nella definizione di consumatore.

Mentre, infatti, la lett. b) del comma 2 dell'art. 6 l. n. 3/2012 – prima di essere sostituita ad opera dell'art. 4-ter, comma 1, d.l. n. 137/2020, convertito con modificazioni in l. n. 176/2020 – definiva consumatore colui che aveva (in passato) assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, l'attuale formulazione della norma fa riferimento “alla persona fisica che nel presente agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, pur avendola eventualmente svolta nel passato” (Trib. Reggio Emilia, 2 febbraio 2023, GD Boiardi).

Un filone di pronunce fa leva sull'attuale estraneità al mercato imprenditoriale/professionale del debitore, a nulla rilevando la pregressa attività svolta (Trib. Napoli Nord, sez. III, 12 novembre 2022, GD Rabuano; Trib. Spoleto, uff. fall., 23 dicembre 2023, GD Trabalza) e ciò sulla scorta dell'indirizzo di Cass. civ.,sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869 sotto il vigore della l. n. 3/2012 che in un obiter dictum affermava l'astratta possibilità di ricorrere alla procedura del consumatore nonostante vi fossero obbligazioni professionali residue.

La procedura del consumatore con debiti promiscui sarebbe così legittima a condizione che sussista, alternativamente, una di queste condizioni: (i) al momento della presentazione della domanda il debitore non sia iscritto come imprenditore nel registro delle imprese oppure, (ii) anche qualora lo fosse, che non residuino obbligazioni risalenti a rapporti imprenditoriali o professionali.

L'indirizzo ha aperto la strada ad una interpretazione qualitativa del debito alla stregua della quale è considerato consumatore anche colui che agisce per la ristrutturazione di un debito di natura mista, talvolta a condizione che l'esposizione debitoria sia costituta prevalentemente da debiti a carattere personale e in misura minima e residua da debiti di carattere imprenditoriale/professionale (Trib. Grosseto, 22 giugno 2021, GD Frosini; Trib. Reggio Emilia, 20 ottobre 2022, rel. Boiardi; Trib. Trani, 13 febbraio 2023, GD Stano).

Anche il fideiussore che non ha esercitato attività d'impresa ma ha prestato garanzie per le obbligazioni assunte da un altro soggetto-imprenditore è stato considerato dalla giurisprudenza come consumatore. A tal fine, è rilevante il rapporto tra beneficiario e garante che esclude quest'ultimo dalla partecipazione all'attività d'impresa (Trib. Taranto, sez. II, 23 gennaio 2023, GD De Francesca).

La lettura appare poi più coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha sempre di più posto l'accento sulla condizione soggettiva e non sulla qualità del debito.

La Corte di giustizia ha infatti affermato il principio secondo il quale “In tema di contratti stipulati dal ‘consumatore', i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica, in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, devono essere valutati con riferimento alle parti dello stessoe non già del distinto contratto principale” (CGUE, sentenza 19 novembre 2015, in causa C-74/15 Tarcau, ma si veda anche sentenze Asbeek Brusse e de Man Garabito, C‑488/11, EU:C:2013:341)

L'evoluzione finale di questo indirizzo mi pare valorizzi e ampli l'obiter dictum della citata Cass. civ.,sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869.

L'evoluzione attualmente più sottile di questo indirizzo è di Trib. Napoli Nord, sez. III, 12 novembre 2022, GD Rabuano (pubblicata in questo portale): per l'omologa della procedura del consumatore deve verificarsi non tanto l'attività svolta, ma il titolo delle obbligazioni inadempiute che hanno determinato il suo squilibrio finanziario, economico e patrimoniale. Si può considerare consumatore il soggetto che 1) abbia assunto obbligazioni solo per interessi di natura personale; o 2) regoli con il piano sia debiti inerenti l'attività di impresa o professionale attualmente svolta sia bisogni di natura personale e familiare, a condizione però che lo squilibrio sia derivato esclusivamente, in ottica eziologica, da obbligazioni assunte per soddisfare proprio questi ultimi bisogni, determinando così un'insolvenza qualificata; oppure 3) non abbia più la qualità di professionista/imprenditore e ristrutturi con il piano sia debiti inerenti la sua precedente attività, sia debiti derivanti da suoi personali interessi (si veda a riguardo PETA, M. Ristrutturazione dei debiti del consumatore ammissibilità dei debiti dell'imprenditore cessato: relazione di “esclusività, In diritto della crisi e RAVINA, C., L'indebitamento “promiscuo” dà accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore?, pubblicato in questo portale).

Le condizioni poste per l'accesso sono dunque rigorosamente alternative e le maglie per l'accesso sono assai ampie.



Le ragioni a favore dell'accesso al concordato minore

Anche le pronunce che propendono per il concordato minore muovono da una complementare definizione restrittiva di consumatore.

Una simile ricostruzione muove dalla considerazione che il debito si forma sempre nel passato, sebbene l'art. 2, comma 1, lett. e) CCII parli al presente (è consumatore chi “agisce”). In altri termini, se pure il ricorso fa riferimento al presente, la procedura viene esperita per la ristrutturazione di un debito formatosi precedentemente e mai per un debito attuale o futuro (Trib. Bologna, sez. IV, 21 febbraio 2023, rel. Atzori; Tribunale di Ivrea, sez. civ., 20 aprile 2023, GD Petronzi).

A sostegno di questa tesi è stato osservato che l'art. 66 CCII in tema di sovraindebitamento familiare impone l'applicazione delle norme sul concordato minore al progetto unitario qualora uno dei membri del nucleo familiare non sia consumatore.

Di qui, l'indirizzo di pronunce in disamina enuclea un principio generale di prevalenza della più gravosa procedura rispetto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, poiché nel dubbio occorrerebbe riferirsi all'istituto del professionista che àncora il successo del risanamento all'espressione di voto dei creditori.

Non mancano due sotto-indirizzi, uno che fa perno sulla prevalenza delle obbligazioni professionali su quelle consumeristiche, circostanza che imporrebbe l'adozione del concordato minore (Tribunale di Mantova, uff. proc. conc., 27 febbraio 2023, GD Bernardi); l'altro che qualifica come professionista un debitore con passivo promiscuo e pertanto riconosce l'accesso al concordato minore alla stregua della lettera dell'art. 74, comma 1, CCII (Trib. Pistoia, 15 dicembre 2022).

L'interpretazione più rigorosa che estende il concordato minore a posizione soggettive non letteralmente ricomprese ha addirittura aperto alla possibilità di accesso all'istituto anche per il consumatore. Quest'ultima circostanza non sarebbe infatti ostativa per l'accesso al concordato (liquidatorio) laddove il ricorrente nella proposta preveda un apporto di finanza esterna in grado di incrementare in misura apprezzabile il soddisfacimento dei creditori (così Tribunale di Bergamo, Sez. II, 24 marzo 2023).



Conclusioni e un'ipotesi interpretativa

L'opzione del concordato minore trova due criticità sistematiche. Anzitutto, il codice stesso e la direttiva sono improntati su un sistema di favore per il debitore e in particolare per il sovraindebitamento delle persone fisiche: basti ricordare il richiamato considerando 21, la possibilità richiesta dalla direttiva insolvency di ottenere in tre anni l'esdebitazione (considerando 75) e le recepite condizioni di maggior favore per quest'ultimo istituto rispetto al sistema della l. n. 3/2012.

I principi di maggior favore impongono di scegliere l'opzione interpretativa più favorevole per il debitore cancellato e pertanto, la procedura del consumatore e non il concordato minore, perché priva dell'espressione di voto e dunque meno soggetta all'eventuale ostracismo dei creditori. Una seconda criticità è connessa alla definizione di crisi del codice, che impone di verificare le soluzioni di risoluzione di essa sulla base dei presupposti oggettivi.

Non è infatti possibile definire l'area soggettiva di un istituto smentendo i presupposti oggettivi di crisi e insolvenza.

Il sovraindebitamento contiene anche la definizione di crisi, che è definita come l'inadeguatezza prospettica dei flussi a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.

Pertanto è condizione di accesso per il consumatore non la qualità del debito già contratto nel passato, ma l'incapacità di adempiere alle obbligazioni future.

Il codice definisce in altre parole il debito e la sua ristrutturazione solo in chiave prospettica e non in chiave retrospettiva.

Ne consegue che non può essere considerata rispettosa dell'attuale tessuto normativo una definizione che faccia leva soltanto sul passivo in quanto già cristallizzato nel passato, perché il codice chiede di cambiare sguardo. L'attenzione va rivolta allo squilibrio delle obbligazioni che dovranno essere regolate nei successivi dodici mesi (e non nei passati anni).

In quest'ottica, la formazione del passivo non ha più peso.

Infine, non mi pare si possa elevare a principio di sistema l'art. 66 CCII che fa prevalere il concordato minore nei procedimenti unitari familiari: si tratta di una soluzione plurisoggettiva marcatamente improntata a patrimoni divisi, che riguarda situazioni con garanzie patrimoniali separate anche nella proposta. Nel passivo promiscuo le obbligazioni sono invece confuse in un unico patrimonio, perché non esiste una separazione patrimoniale causale tra obbligazioni consumeristiche e professionali nel nostro sistema.



Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario