Spetta al creditore precettante provare la tempestiva notifica del decreto ingiuntivo

31 Agosto 2023

La questione esaminata dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento attiene all'individuazione della parte su cui quale grava l'onere di dimostrare, in sede di opposizione al precetto, l'avvenuta notificazione del titolo esecutivo, contestata dal debitore opponente, e delle modalità di assolvimento del relativo onere probatorio.
Massima

In tema di opposizione al precetto intimato sulla base di un decreto ingiuntivo, qualora il debitore deduca l'inesistenza della notificazione di quest'ultimo, la prova della tempestiva effettuazione della stessa incombe sul creditore, che deve assolvervi mediante la produzione dell'originale dell'ingiunzione corredato della relazione di notificazione, non essendo all'uopo sufficiente il mero deposito della copia del provvedimento monitorio munito del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.

Il caso

Tizia proponeva opposizione al precetto intimatole dalla società alfa sulla base del decreto ingiuntivo emesso dal tribunale di Trieste, deducendo, tra i vari motivi, l'omessa notifica del titolo esecutivo.

Il tribunale adito accoglieva la predetta doglianza, ritenendo che l'onere di dimostrare l'avvenuta notifica del decreto ingiuntivo spettasse alla società precettante e che tale dimostrazione, diversamente da quanto sostenuto da quest'ultima, non potesse desumersi dal decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. e dalla formula esecutiva, posti in calce al decreto ingiuntivo, non essendo tali elementi sufficienti a fondare un'idonea prova neppure presuntiva.

La corte d'appello di Trieste, adita dalla creditrice opposta, accoglieva l'impugnazione e rigettava integralmente l'opposizione al precetto, ritenendo che, in caso di dedotta inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo, spettasse all'opponente provare la mancata notifica, quale fatto impeditivo dello svolgimento dell'azione esecutiva, da dimostrarsi mediante fatti positivi contrari, consistenti, ad es., nella prova che Tizia risiedesse ad un indirizzo diverso da quello indicato nel decreto ingiuntivo, dai quali si sarebbe potuto trarre la prova del fatto negativo dell'inesistenza della notifica, così vincendo la presunzione di avvenuta notificazione costituita dal decreto di esecutorietà.

Tizia proponeva ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell'art. 2697 c.c., atteso che competeva al creditore opposto fornire la dimostrazione del fatto positivo dell'avvenuta notificazione del titolo esecutivo, trattandosi di elemento costitutivo del diritto di procedere ad esecuzione forzata, nonché in ragione del principio di vicinanza/inerenza della prova; inoltre, tale onere probatorio non poteva ritenersi assolto con il mero deposito della copia del provvedimento monitorio munita del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. (ma privo della relata di notifica, asseritamente effettuata ex art. 140 c.p.c., e delle relative cartoline di ricevimento), posto che da tale deposito non era possibile evincere alcuna informazione o conferma delle modalità di tempo e luogo della notificazione medesima.

La questione

La questione esaminata dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento attiene all'individuazione della parte su cui quale grava l'onere di dimostrare, in sede di opposizione al precetto, l'avvenuta notificazione del titolo esecutivo, contestata dal debitore opponente, e delle modalità di assolvimento del relativo onere probatorio.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nell'accogliere il primo motivo del ricorso, ha ribadito il principio per cui l'onere della prova dell'avvenuta notificazione del decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 644 c.p.c., trattandosi di fatto costitutivo dell'efficacia dello stesso, deve essere assolto, ove l'ingiunto contesti di averla mai ricevuta, dal creditore opposto.

Tale conclusione è suffragata non solo dalla regola generale che pone in capo all'attore l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto azionato, ma anche dalla considerazione che il debitore ingiunto opponente si troverebbe nella sostanziale impossibilità pratica di dimostrare il fatto negativo della inesistenza della notificazione, asseritamente mai ricevuta, mentre è evidente che per il creditore è sufficiente documentarla mediante la produzione della relazione di notificazione in suo possesso (Cass. civ., 16 marzo 1977, n. 1045; Cass. civ., 18 maggio 2020, n. 9050). Produzione che, peraltro, non è solo sufficiente, ma anche necessaria, non potendo il creditore opposto sottrarsi al predetto onere adducendo – come avvenuto nel caso di specie – di aver perduto l'originale del titolo esecutivo, posto che il creditore non può riversare sul debitore gli effetti negativi (nella specie, in ordine all'inversione dell'onere della prova) della concretizzazione di un rischio causalmente riconducibile alla propria negligenza.

Deve, altresì, escludersi che tale mezzo di prova possa essere surrogato da altre modalità di assolvimento dell'onere stesso, in particolare attraverso il mero deposito della copia del provvedimento monitorio munita del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., cui va negata ogni efficacia presuntiva in tal senso.

Invero, dinanzi ad una notificazione che si asserisce essere avvenuta ai sensi dell'art. 140 c.p.c., la circostanza che il decreto ingiuntivo, che ne sarebbe stato oggetto, sia munito della formula di esecutorietà non fornisce alcuna, invece indispensabile, informazione circa il luogo, il tempo e le modalità della sua consegna al debitore ingiunto, a tutela del diritto di difesa di questi.

E ciò soprattutto ove si consideri, prosegue la Suprema Corte, che la declaratoria di esecutività non implica la necessità della verifica della regolare notificazione del provvedimento monitorio, atteso che essa segue, oltre che alla mancata costituzione dell'opponente, anche alla mancata opposizione, ipotesi in cui può non esservi la certezza che l'intimato abbia avuto conoscenza del decreto, tanto che, se risulta o appare probabile che tale conoscenza manchi, il giudice deve ordinare il rinnovo della notificazione ex art. 647, co. 1, c.p.c.

Dal fatto noto della dichiarazione di esecutività non può logicamente risalirsi, dunque, al fatto ignoto della notificazione del decreto su cui essa è apposta, ragion per cui tale declaratoria non appare idonea a surrogare, sul piano presuntivo, la necessaria produzione della relazione di notificazione.

Il provvedimento previsto dall'art. 647 c.p.c., che è meramente dichiarativo e dà conto di una verifica o delibazione operata dal giudice al momento della sua pronuncia, comunque non può supplire alla totale carenza dei documenti sia pure evidentemente sottoposti a quel giudice, visto che questi non dà conto del contenuto dei medesimi, mentre tale accertamento è indispensabile a tutela del diritto di difesa della parte nei cui confronti quelli sono stati prodotti: diritto che può essere esercitato solo sui documenti in quanto tali ed offerti al destinatario in ogni loro articolazione, ma non anche dinanzi ad una generica indicazione del controllo da parte del giudice che quel provvedimento ha pronunciato, ove si sia in difetto di disponibilità dei documenti stessi.

La Suprema Corte ha, così, cassato la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ha accolto l'opposizione al precetto spiegata dalla ricorrente, dichiarando l'insussistenza del diritto della società creditrice a procedere ad esecuzione forzata sulla base del precetto opposto, per mancata prova della notifica del titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) su cui esso era stato fondato.

Osservazioni

Per consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un decreto ingiuntivo, occorre distinguere tra l'ipotesi di deduzione della inesistenza della relativa notificazione da quella in cui se ne deduce viceversa la nullità: nel primo caso è proponibile il rimedio dell'opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615 c.p.c.; nel secondo caso, invece, quello dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., da esperirsi entro il termine di cui al terzo comma (Cass. civ., 18 maggio 2020, n. 9050; Cass. civ., 7 luglio 2009, n. 15892; Cass. civ., 1 giugno 2004, n. 10495).

E' opportuno, altresì, rammentare che le ipotesi di inesistenza della notificazione sono ormai residuali, ricorrendo le stesse, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nei soli casi in cui sia posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass. civ., 20 ottobre 2022, n. 31085; Cass. civ., 8 settembre 2022, n. 26511). In particolare, il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916).

Tanto premesso, appare senz'altro condivisibile la pronuncia in esame allorquando la stessa assegna al creditore precettante l'onere di dimostrare - qualora il debitore deduca, con l'opposizione al precetto ex art. 615 c.p.c., di non aver mai ricevuto la notificazione del titolo esecutivo, nella specie costituito dal decreto ingiuntivo -, l'avvenuta e tempestiva effettuazione di tale notificazione, non solo perché quest'ultima è elemento costitutivo del diritto a procedere ad esecuzione forzata, ma anche in ossequio al “principio di vicinanza della prova”, essendo estremamente più agevole per il creditore produrre la documentazione attestante la notificazione eseguita, anziché per il debitore provare il fatto negativo dell'inesistenza della notificazione.

La questione, quindi, verte essenzialmente sulle modalità di assolvimento dell'onere probatorio gravante sul creditore, il quale, secondo la Suprema Corte, è tenuto a produrre la relazione di notificazione in suo possesso, documentazione che non può essere surrogata con il deposito della copia del decreto ingiuntivo munita del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., al quale va negata ogni efficacia presuntiva in tal senso. La motivazione addotta a fondamento di tale conclusione è, però, solo in parte condivisibile.

Nella pronuncia in commento si assume, in particolare, che la declaratoria di esecutività ex art. 647 c.p.c. non implichi la necessità della verifica della regolare notificazione del provvedimento monitorio neanche nel caso di mancata opposizione a decreto ingiuntivo, e che, quindi, potrebbe non esservi la certezza che l'intimato abbia avuto conoscenza del decreto. In realtà, come precisato anche in dottrina, premesso che il decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. ha natura dichiarativo-costitutiva - in quanto è soltanto per effetto della sua pronuncia che il provvedimento monitorio, non opposto, acquista efficacia di titolo esecutivo (non essendo sufficiente il mero decorso del termine per proporre opposizione) -, il giudice, prima di emettere tale decreto, è tenuto a controllare la regolarità della notificazione del provvedimento monitorio e la mancanza di opposizione, anche allo scopo di valutare l'opportunità di disporre la rinotificazione del decreto ingiuntivo, quando risulti o appaia probabile che l'intimato non ne abbia avuto conoscenza (Garbagnati, Il procedimento d'ingiunzione, Milano, 2012, 153 e ss.).

Anche nella recente giurisprudenza si è ribadito che, in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 o dall'art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all'interno del processo d'ingiunzione (Cass. civ., 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. civ., 24 ottobre 2017, n. 25191; Cass., sez. lav., 24 gennaio 2018, n. 1774).

La ragione della inidoneità del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. a surrogare la documentazione (relata di notificazione) attestante l'avvenuta notificazione del decreto ingiuntivo non risiede, quindi, come invece sostenuto nella pronuncia in esame, nel fatto che “la declaratoria di esecutività non implica la necessità della verifica della regolare notificazione del provvedimento monitorio”, bensì nell'esigenza, a tutela del diritto di difesa del debitore, di accertare se la notificazione sia stata effettivamente eseguita e con quali modalità, atteso che, come pure sostenuto (questa volta in modo condivisibile) nella pronuncia in esame, “la circostanza che il decreto ingiuntivo, che ne sarebbe stato oggetto, sia munito della formula di esecutorietà non fornisce alcuna, invece indispensabile, informazione circa il luogo, il tempo e le modalità della sua consegna al debitore ingiunto”.

E' evidente, quindi, che il debitore, in mancanza dei documenti direttamente attestanti la notificazione asseritamente eseguita dal creditore, sebbene tali documenti siano stati assai verosimilmente sottoposti al vaglio giudiziale in occasione dell'istanza ex art. 647 c.p.c., non potrebbe difendersi in maniera dettagliata e contestare la ritualità delle modalità di notificazione, in quanto il decreto di esecutorietà non riporta il contenuto di tali documenti.

Il principio di diritto cui perviene la Suprema Corte è, allora, apprezzabile proprio in un'ottica di salvaguardia del diritto del debitore a prendere visione in concreto della notificazione del titolo esecutivo, per evitare che lo stesso soccomba in conseguenza del generico richiamo al controllo operato dal giudice del monitorio in sede di concessione del decreto di esecutorietà. La produzione in giudizio, da parte del creditore, della relata di notificazione resta, quindi, indispensabileper dimostrare l'avvenuta notificazione, non potendo tale attività essere surrogata, neanche in via presuntiva, da documenti che nulla di specifico dicono sulla ritualità e sulle modalità di tempo e luogo dell'attività notificatoria, e non potendo il creditore addurre, per giustificare la mancata produzione della relata di notificazione, lo smarrimento dell'originale del titolo esecutivo, trattandosi di fatto a lui imputabile.

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