I poteri del presidente del tribunale in occasione della nomina degli arbitri

01 Settembre 2023

Se le parti non si accordano sulla nomina degli arbitri, interviene il presidente del tribunale. Ma quali poteri ha il presidente? La normativa sembra dire che il presidente debba nominare (quasi) sempre l'arbitro mancante.
Il quadro normativo

In tema di nomina degli arbitri, il codice di rito riconosce ampi poteri al presidente del tribunale. Il potere di nomina è generalmente riconosciuto alle parti dalle clausole compromissorie. Se tuttavia una parte non provvede per qualsivoglia ragione alla nomina del proprio arbitro, bisogna rivolgersi al presidente del tribunale.

L'art. 810 comma 2 c.p.c. prevede che “la parte che ha fatto l'invito può chiedere, mediante ricorso, che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato”. Il successivo comma 3 dell'art. 810 c.p.c. stabilisce che “il presidente del tribunale competente provvede alla nomina richiestagli, se la convenzione d'arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede manifestamente un arbitrato estero”. In questo articolo esaminiamo i passaggi logici che deve seguire il presidente del tribunale nel nominare l'arbitro in sostituzione della parte inerte o in caso di mancato accordo tra le parti.

Il presidente del tribunale, prima di nominare l'arbitro, deve effettuare le seguenti verifiche:

1) se egli/ella è competente;

2) se c'è una convenzione d'arbitrato;

3) se la convenzione d'arbitrato non è manifestamente inesistente.

La competenza territoriale del Presidente del Tribunale

La prima verifica che deve effettuare il presidente del tribunale è quella concernente la sua competenza per territorio. Se ad esempio la nomina dell'arbitro mancante, in base alla clausola compromissoria, deve essere fatta dal presidente del Tribunale di Milano, ma il ricorso viene erroneamente presentato al presidente del Tribunale di Roma, quest'ultimo deve dichiararsi incompetente.

Sul punto è intervenuta la Corte di cassazione (Cass., 28 maggio 2019, n. 14476), affermando che la nomina dell'arbitro in violazione della regola contenuta nell'art. 810 comma 2 c.p.c., che attribuisce tale competenza inderogabile al presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato, determina la nullità del lodo, ove disposta da giudice territorialmente non competente, ma non l'invalidità della convenzione arbitrale.

In assenza di previsioni espresse nella clausola compromissoria, come si determina la competenza territoriale del tribunale? La legge dice che è competente il presidente del tribunale “nel cui circondario è la sede dell'arbitrato”. Bisogna dunque comprendere dove sia la sede dell'arbitrato. Nella stragrande maggioranza dei casi sovviene la clausola compromissoria, la quale statuisce dove debba avere sede l'arbitrato. Se la sede dell'arbitrato è indicata ad esempio in Bologna, sarà il presidente del relativo tribunale a procedere alla nomina dell'arbitro. Se il ricorso viene presentato al presidente del tribunale di – per fare un altro esempio – Firenze, quest'ultimo dovrà negare la nomina dell'arbitro per difetto della propria competenza.

Se la sede dell'arbitrato non è indicata nella clausola compromissoria, diventa più difficile individuare il corretto presidente del tribunale cui rivolgersi. Sovviene però l'art. 816 c.p.c. prevedendo una serie di criteri, che consentono infine di determinare la sede dell'arbitrato. Nell'ordine la disposizione stabilisce che “le parti determinano la sede dell'arbitrato nel territorio della Repubblica” (art. 816 comma 1 c.p.c.). Si tratta del caso più semplice, già illustrato sopra: è la medesima clausola compromissoria a stabilire la sede dell'arbitrato. Ma lo stesso comma continua prevedendo che “altrimenti provvedono gli arbitri”. Qui però il meccanismo si blocca. Se difatti mancano gli arbitri, come fanno essi arbitri (mancanti) a determinare la sede dell'arbitrato? E se non c'è la sede, quale è il presidente competente a nominare l'arbitro mancante?

Il comma 2 dell'art. 816 c.p.c. viene in aiuto prevedendo che “se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell'arbitrato, questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato”. Potrebbe insomma succedere che c'è la convenzione di arbitrato, la quale tuttavia si è dimenticata di stabilire la sede dell'arbitrato. Il criterio di collegamento previsto dalla legge è allora quello del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se la convenzione è stata stipulata a Torino, sarà competente il presidente del relativo tribunale. La scelta legislativa è ragionevole, perché l'alternativa ipotizzabile sarebbe stata quella della sede delle parti. Ma una scelta legislativa del genere sarebbe stata poco avveduta, per il fatto che le parti possono avere due sedi diverse. Se la clausola compromissoria è stata conclusa tra una società di Milano e una di Roma, come si fa a capire se il potere di nomina dell'arbitro è del presidente del tribunale di Milano oppure di Roma? La soluzione legislativa è quella di dare rilievo al luogo della conclusione del contratto: se firmato a Milano, sarà il presidente del tribunale di Milano, se firmato a Roma sarà competente il presidente del tribunale di Roma. Fermo restando che la convenzione di arbitrato potrebbe essere stata firmata in luogo diverso da quello in cui le parti hanno sede. Se la convenzione è stata conclusa, ad esempio, a Firenze, spetterà al presidente del tribunale fiorentino provvedere – su richiesta della parte interessata – alla nomina dell'arbitro mancante, anche se le parti sono società con sede altrove.

L'ultimo rischio è quello che il contratto contenente la clausola compromissoria sia stato firmato all'estero. Sovviene allora un apposito criterio legislativo ai sensi del quale “se tale luogo non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma” (art. 816 comma 2 c.p.c.). Il presidente del tribunale di Roma è dunque una sorta di ultima istanza cui rivolgersi per ottenere la nomina dell'arbitro mancante.

L'inesistenza della convenzione d'arbitrato

Abbiamo brevemente trattato il tema della competenza per territorio del presidente chiamato a nominare l'arbitro mancante. Questo problema della competenza territoriale è però, va detto, generalmente di poco momento nella prassi, poiché la clausola compromissoria quasi sempre avrà determinato espressamente quale presidente del tribunale è competente a effettuare la nomina (anche magari solo in via mediata, avendo stabilito la sede dell'arbitrato). La più importante verifica che il presidente del tribunale deve allora effettuare, subito dopo quella sulla sussistenza della propria competenza territoriale, è quella sulla “esistenza” della convenzione d'arbitrato. Il presidente, seppure astrattamente competente, potrebbe reputare che “non esista” la convenzione d'arbitrato. E dunque rifiutare la nomina dell'arbitro mancante.

In merito alla esistenza della convenzione d'arbitrato, le valutazioni del presidente si fanno più complesse. Il punto è che viene evocata dalla legge la “inesistenza”, che – per i civilisti – costituisce una figura del tutto particolare. Il civilista ben conosce la “invalidità” del contratto, nelle due sottocategorie della nullità e della annullabilità. Nullità e annullabilità sono categorie dei contratti in generale (art. 1418 c.c. per la nullità e art. 1425 c.c. per la annullabilità). Sono inoltre categorie riprodotte in specifici ambiti del diritto civile: si pensi ad esempio alla impugnazione delle delibere assembleari, ove il legislatore distingue tra annullabilità (art. 2377 c.c.) e nullità (art. 2379 c.c.) della delibera.

Della “inesistenza” di un contratto non si hanno invece tracce nel codice civile. Talvolta il codice civile fa riferimento alla “inesistenza”, ma rispetto a un fatto, non a un atto. Ad esempio l'art. 1895 c.c. stabilisce la nullità del contratto di assicurazione se il rischio non è mai esistito. L'inesistenza però appartiene al rischio, non al contratto, il quale diviene nullo solo di riflesso, per l'inesistenza del rischio.

E, dunque, quali sarebbero i casi in cui il presidente del tribunale può rifiutare la nomina dell'arbitro mancante per “inesistenza” della convenzione d'arbitrato? Proviamo a ipotizzare qualche situazione. Il caso più radicale è quello in cui il ricorrente, che chiede al presidente del tribunale la nomina dell'arbitro mancante, non produce il testo della clausola compromissoria. La mancata produzione equivale a inesistenza della clausola, almeno nella prospettiva del presidente: come può il presidente sapere se esiste la clausola compromissoria, se nessuno gliela deposita?

La forma scritta della convenzione d'arbitrato è imposta da diverse disposizioni. L'art. 807 comma 1 c.p.c. prevede che “il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia”. Lo stesso vale per la clausola compromissoria, stabilendo l'art. 808 comma 1 c.p.c. che “la clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807”. Si tratta di casi in cui è espressamente la legge a richiedere la forma scritta, statuendo altrimenti la nullità della convenzione.

Ritiene chi scrive che la mancata produzione in giudizio del testo della clausola compromissoria legittimi il presidente del tribunale a rifiutare la nomina dell'arbitro, vuoi in quanto non si può determinare quale sia il presidente territorialmente competente vuoi in quanto non emerge in alcun modo che le parti volessero derogare alla competenza dei giudici per la soluzione della controversia. Manca non solo la forma richiesta dalla legge (n. 4 dell'art. 1325 c.c.), ma anche l'accordo delle parti (n. 1 dell'art. 1325 c.c.). Come fa il presidente del tribunale a nominare l'arbitro mancante quando non sa nemmeno (non avendo visto alcun testo scritto di convenzione arbitrale) se le parti volessero l'arbitrato? Opinando in modo diverso, l'art. 810 comma 3 c.p.c. verrebbe privato di qualsiasi significato. È veramente difficile sostenere che il presidente del tribunale sia obbligato a procedere alla nomina dell'arbitro mancante per il mero fatto che la parte ricorrente allega, ossia dichiara, l'esistenza della clausola compromissoria, senza produrre il testo della clausola.

Esistono poi situazioni meno gravi della mancanza radicale di un qualsivoglia testo scritto. Si immagini che venga prodotto in giudizio il contratto contenente la clausola compromissoria, ma detto contratto non sia firmato da nessuna delle parti. In un caso del genere, si può predicare la nullità della convenzione d'arbitrato per difetto di forma, non la sua inesistenza. In altre parole pare ragionevole affermare che la “inesistenza” sia una categoria del fatto, mentre la nullità una categoria del diritto:

- inesistenza significa che non esiste in natura un testo scritto contenente la convenzione d'arbitrato;

- nullità significa che esiste in natura un testo scritto contenente la convenzione d'arbitrato, ma – ad esempio - esso testo non è firmato dalle parti.

Il caso del testo non firmato rientra nell'ipotesi di nullità per difetto di uno dei requisiti essenziali del contratto: l'art. 1418 comma 2 c.c. prevede che “producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325”. E, lo si ricordava già sopra, uno dei requisiti del contratto è “la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità” (n. 4 dell'art. 1325 c.c.).

Scendendo dal caso più grave (totale mancanza di qualsiasi testo scritto) ai casi man mano più lievi, un'altra fattispecie che potrebbe verificarsi è quella della convenzione d'arbitrato contenuta in un contratto, firmato da ambedue le parti, ma senza approvazione specifica della parte che non ha predisposto il contratto. L'art. 1341 comma 2 c.c. prevede che “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono … clausole compromissorie”. Potrebbero insomma esserci contratti predisposti unilateralmente che richiedono l'apposizione di una seconda firma. E se la seconda firma manca? La clausola sarebbe “inefficace”, dice la legge. A parere di chi scrive, il presidente del tribunale – in occasione della nomina dell'arbitro mancante - non è tenuto a verificare la presenza della seconda firma. Il suo sindacato difatti deve limitarsi, così recita la legge, alla “manifesta infondatezza” della convenzione d'arbitrato. Problemi più lievi di “invalidità” oppure di “inefficacia” non sono di sua competenza. Questa soluzione è confortata dalla recente giurisprudenza di legittimità: secondo Cass., 11 marzo 2022, n. 8050, la clausola compromissoria non specificamente sottoscritta non è inesistente, ma invalida. E dunque si tratta di un profilo sottratto al sindacato del presidente del tribunale nell'ambito della nomina degli arbitri.

Un'altra situazione che può verificarsi è che la convenzione d'arbitrato ci sia (testo scritto presente), che la convenzione d'arbitrato sia firmata da ambo le parti (prescrizione di forma soddisfatta), che la convenzione d'arbitrato sia stata specificamente approvata dalla parte che non ha predisposto il contratto (requisito dell'art. 1341 c.c. rispettato), ma che una delle parti sia un consumatore. Bisognerebbe allora, in via generale, verificare se la clausola compromissoria sia vessatoria. L'art. 33 comma 2 cod. cons., prevede che si presumono vessatorie, tra le molte, le clausole che sanciscono “a carico del consumatore… deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria” (lett. t). Ad avviso di chi scrive, il presidente del tribunale non è tenuto – in sede di nomina dell'arbitro mancante - a verificare la vessatorietà della clausola ai sensi del codice del consumo. La ragione è che la vessatorietà attiene alla “inefficacia” o alla “nullità” della clausola, non alla sua inesistenza, nell'accezione prospettata sopra.

Si tenga infine presente che il presidente del tribunale può rifiutare la nomina dell'arbitro mancante solo se l'inesistenza della convenzione d'arbitro è “manifesta” (così il comma 3 dell'art. 810 c.p.c.). Il caso di manifesta inesistenza è quello della mancanza radicale di un testo scritto. A questo riguardo è utile segnalare uno dei pochissimi precedenti reperiti in tema di vera e propria “inesistenza” della clausola compromissoria: Cass., 15 settembre 2000, n. 12175, ha affermato l'inesistenza della clausola compromissoria per estinzione, a seguito di novazione, del contratto che la conteneva.

Anche se ciò avvenisse, ritengo che il presidente del tribunale debba ugualmente – in linea di principio - nominare l'arbitro mancante, salvo che dai documenti prodotti nel ricorso risulti la novazione. Provo a spiegarmi meglio. Si tratta di un caso in cui appare esserci un contratto, il quale è stato prodotto al presidente del tribunale, contenente una clausola compromissoria. Se il presidente del tribunale non sa che quel contratto è stato novato (o si immagini anche: dichiarato risolto), egli deve comunque procedere alla nomina dell'arbitro mancante. Il presidente può rifiutare la nomina solo se l'inesistenza della convenzione d'arbitrato è “manifesta”, il che significa anche: risultante immediatamente dagli atti. Il caso-limite potrebbe essere quello in cui il ricorrente produce il contratto contenente la clausola compromissoria, ma il resistente produce una sentenza di altro giudice dalla quale risulta la declaratoria di novazione (o risoluzione) del contratto prodotto. In questi casi l'inesistenza della convenzione d'arbitrato è “manifesta”: il testo scritto c'è, ma vi è altresì la certezza che esso è solo un pezzo di cellulosa, inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico.

Il cortese lettore potrebbe essere a questo punto preso dallo sconforto e chiedersi allora quale sia il ruolo del presidente del tribunale se questi in sostanza deve sempre procedere alla nomina dell'arbitro mancante, tranne i seguenti pochissimi casi:

- non è competente territorialmente;

- manca il testo scritto della convenzione d'arbitrato;

- vi è un testo scritto di convenzione d'arbitrato, ma – grazie ai documenti prodotti – risulta ictu oculi e in modo incontrovertibile (nozione di “manifesta” inesistenza) che detto testo non può produrre effetti.

In realtà, così il problema è mal posto, in quanto la delibazione del presidente del tribunale – in sede di nomina dell'arbitro mancante - è estremamente sommaria. Nella prassi, i provvedimenti del presidente consistono di cinque, dieci righe, con le quali si limita a indicare il nominativo dell'arbitro. La funzione del presidente non è quello di sindacare la clausola compromissoria (purché egli/ella – ictu oculi – la veda, in quanto gli è stata prodotta), ma solo quella di designare l'organo arbitrale giudicante. Tutte le questioni, comprese quelle sulla validità o efficacia della clausola compromissoria, verranno affrontate dagli arbitri in piena autonomia nel corso del procedimento arbitrale.

Questa soluzione è espressione del favor arbitrati del legislatore: se una questione può essere decisa da un organo privato, perché oberare inutilmente la giustizia statale? Nel dubbio si va in arbitrato. Al di là delle ragioni “politiche” delle impostazioni legislative, la soluzione che si sta qui prospettando ha una precisa base normativa: l'art. 817 comma 1 c.p.c. prevede che “se la validità, il contenuto o l'ampiezza della convenzione d'arbitrato … sono contestate nel corso dell'arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza”. Sono gli arbitri stessi a dover decidere se la convenzione d'arbitrato è valida.

In conclusione

Sulla base di quanto esposto, pare potersi concludere nel senso che il presidente del tribunale – se competente per territorio – debba procedere alla nomina dell'arbitro mancante tutte le volte che ci sia una convenzione arbitrale scritta. Tanto basta per effettuare la nomina. Il presidente non deve entrare nel merito della validità della clausola compromissoria, dovendo limitarsi a valutare la sua esistenza. Spetterà agli arbitri (compreso quello nominato dal presidente del tribunale) valutare la validità e l'ampiezza della convenzione d'arbitrato.

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