Avvocato-mediatore: vietata la contiguità spaziale tra la sede dell'organismo di mediazione e lo studio legale

Redazione scientifica
05 Settembre 2023

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno precisato che l'art. 62 del codice deontologico forense vieta all'avvocato-mediatore di fissare la sede dell'organismo di mediazione non solo presso il suo studio, ma anche in un luogo contiguo al medesimo.

La vicenda riguardava un procedimento disciplinare promosso a carico di un avvocato, al quale veniva contestato di «essersi reso responsabile della violazione dell'art. 55-bis del precedente codice deontologico (art. 62 codice attuale), in particolare del IV comma che fa divieto all'avvocato di consentire che l'organismo abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest'ultimo abbia sede presso l'organismo di mediazione».

All'esito dell'istruttoria dibattimentale, ricostruita la collocazione e ripartizione dei locali tra quelli dello studio legale e quelli dell'organismo di mediazione, il CDD riteneva che la separazione degli ambienti all'interno del medesimo appartamento non valesse ad escludere l'integrazione della fattispecie sanzionata dall'art. 55-bis comma IV codice deontologico applicabile e dichiara l'avvocato responsabile dell'illecito ascritto e irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi.

L'Avvocato impugnava la decisione e il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione. Il difensore ricorreva quindi in cassazione, lamentando che l'art. 62 codice deontologico forense, così come il previgente art. 55-bis , vieterebbe soltanto la coincidenza della sede dell'organismo di mediazione con quella dello studio dell'avvocato-mediatore e non già la loro vicinanza o contiguità.

La Corte di Cassazione ha disatteso la prospettazione del ricorrente, ponendo in luce che anche la mera contiguità spaziale tra la sede dell'organismo di mediazione e quella dello studio del professionista è vietata dalla norma, costituendo un fattore sufficiente a far dubitare i terzi dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'avvocato-mediatore. A conferma dell'assunto, vengono citati i seguenti due elementi: —la circolare illustrativa n. 24/2011 del Consiglio Nazionale Forense , nell'illustrare il canone IV dell'art. 55-bis Codice Deontologico Forense che allora conteneva il divieto in questione, ne collega la ratio all'esigenza di «tutelare anche l'apparenza della terzietà ed indipendenza dell'avvocato-mediatore”, precisando che “la contiguità, spaziale e logistica, tra studio e sede dell'organismo costituisce fattore in grado di profilare una ipotetica commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell'imparzialità dell'avvocato-mediatore»; —la circolare del Ministero della Giustizia del 27 novembre 2013 ribadisce che il divieto di cui si discute è volto a «evitare profili di sovrapposizione tra l'esercizio della professione forense e lo svolgimento dell'attività di mediatore”, sottolineando che “lo svolgimento imparziale dell'attività di mediazione non costituisce […] soltanto un dovere del singolo mediatore rispetto alle parti del procedimento di mediazione e alla questione sottoposta alla sua cognizione […], ma un valore e un dovere imprescindibile dello stesso organismo di mediazione, come si desume dall'art. 4 del regolamento di cui al d.m. 180/2010».

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