Il giudizio di ritualità della proposta di concordato semplificato
05 Settembre 2023
Massima
Il vaglio di ritualità e quello di ammissibilità non coincidono, rappresentando il primo un quid minus rispetto al secondo. Appare tuttavia preferibile ritenere che il vaglio sulla ritualità della proposta debba essere volto a verificare non solo la formale sussistenza delle attestazioni nella relazione dell'esperto, ma anche l'attendibilità e la ragionevolezza di tali attestazioni, con la conseguenza che nel caso in cui queste ultime risultino del tutto prive di motivazione, ovvero siano corredate da motivazioni che non trovino riscontro nella documentazione agli atti, la proposta dovrà considerarsi “irrituale”.
Il Concordato semplificato: profili introduttivi
Il provvedimento del Tribunale di Monza rappresenta uno dei non molti pronunciamenti della giurisprudenza sul concordato liquidatorio introdotto nell'ordinamento, prima dal d.l. n. 118 del 2021 e, successivamente, riprodotto, con poche variazioni, nel codice della crisi (per una disamina di quelli già emessi, Aliprandi, Turchi, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio alla luce delle prime pronunce di merito,in questo portale, 29 Novembre 2022). Bisogna premettere che l'istituto non ha suscitato reazioni particolarmente positive già dal suo esordio (Lamanna, Il concordato semplificato: incentivo per la composizione negoziata o arma “sleale” e “letale”?, in questo portale, 27 aprile 2022; Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021 convertito, con modifiche dalla l. n. 147 del 2021 in DC, 9 novembre 2021) anche in ragione della natura fortemente strumentale che sembra connotarlo. E' stato, infatti, sottolineato (Vitiello, Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta, in questo portale, 26 aprile 2022, anche si vi sono voci di diverso avviso, D'Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Fallimento, 2021, 1622) che questa nuova forma di procedura avrebbe tra le sue finalità primarie quella di incentivare i creditori ad accettare l'originaria proposta del debitore, soprattutto qualora fosse stata imperniata su un piano che prevedesse la cessione dell'azienda per un determinato prezzo ad un soggetto già individuato, pena il raggiungimento del medesimo effetto traslativo, ma con un grado di un soddisfacimento inferiore, a causa dei costi connessi all'apertura e allo svolgimento della procedura concorsuale. In realtà, l'art. 25-sexies CCII, pur essendo stato pensato per favorire la continuità indiretta, non subordina l'accesso a tale condizione, ben potendo prevedere il piano sottoposto al Tribunale una liquidazione atomistica di tutti i beni dell'impresa se le trattative con i creditori non avessero sortito risultati e si fosse accertata la non perseguibilità di altri strumenti di risanamento. Non è, forse, inopportuno ricordare che la continuità, diretta od indiretta (che, comunque, determina per le società debitrice l'apertura della fase di liquidazione se relativa all'unica azienda gestita), richiede la sussistenza di concreti presupposti (soprattutto) economici, tra cui quello fondamentale di un perseguibile e ravvicinato recupero della positività della gestione caratteristica una volta riequilibrata la situazione finanziaria. E ciò perché la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, quando la crisi non fosse determinata prevalentemente da eccessivo indebitamento ma da altre cause, risulterebbe, comunque, di assai difficile (per non dire impossibile) percorribilità, dovendo il risanamento necessariamente passare attraverso un ripensamento profondo della collocazione dell'impresa nel mercato (con necessaria acquisizione di nuove competenze ) e probabilmente anche il cambio (sempre poco gradito ai debitori) della direzione aziendale. Ma se le condizioni per il risanamento non potessero essere realizzate in tempi ragionevoli, la prosecuzione dell'azienda (anche per gli ineludibili e pesanti costi della riconversione) rischierebbe solo di essere ulteriore fonte di distruzione di ricchezza a danno dei creditori e della collettività. Sennonché, il principale strumento pensato originariamente per tale evenienza (un po' ideologicamente considerato dal legislatore come assolutamente straordinario, ma che in realtà rappresenta l'ipotesi più frequente) è la procedura di liquidazione giudiziale, che, però, comporta tempi e costi che possono incidere drasticamente sull'idoneità a soddisfare in modo appena sufficiente i creditori. L'astrattamente possibile alternativa del concordato liquidatorio, imponendo, però, un grado di soddisfazione minimo ed il ricorso a risorse esterne ulteriori rispetto a quelle ricavabili dalla mera liquidazione, non è sempre oggettivamente praticabile e, quindi, la possibilità di ricorrere ad uno strumento liquidatorio snello e rapido, senza ulteriori risorse, ma compensato da una conclusione ravvicinata, avrebbe potuto risultare in effetti utile (Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive,inquesto portale, 13 Agosto 2021, che correttamente sottolinea la diversità dell'approccio seguito dal legislatore con tale nuovo istituto rispetto al Codice della crisi incentrato prevalentemente sulla continuità aziendale). Tuttavia, il sistema prescelto dal legislatore (forse per accentuarne il carattere deterrente) appare piuttosto costoso ed anche poco garantista per i creditori. È costoso non solo perché, in definitiva, fa gravare sui creditori gli oneri della necessariamente prodromica fase della composizione negoziata vanamente conclusa, ma anche perché impone la nomina di un ausiliario (che svolge parte delle funzioni affidate al commissario nel concordato preventivo) e poi di un liquidatore dei beni, così moltiplicando il peso economico di una procedura che per assicurare un risultato utile ai creditori avrebbe dovuto, invece, essere la meno onerosa possibile; è poco garantista non solo perché, non prevedendo il rispetto di una soglia minima di soddisfazione, esclude il voto dei creditori (in fondo colpevoli soltanto di non avere accettato, nell'esercizio della loro legittima autonomia negoziale, la proposta del debitore non necessariamente conveniente e corretta), ma anche li priva del controllo sulla procedura e della possibilità di presentare una diversa soluzione alla crisi.
Le questioni e le soluzioni giuridiche
La competenza territoriale e la delibera dell'organo amministrativo
Ciò premesso, il provvedimento merita alcuni approfondimenti avendo affrontato alcuni temi certamente rilevanti. In primo luogo, come sottolinea la decisione commentata, va osservato che la Camera di Commercio che procede alla nomina dell'esperto può non avere sede nel circondario del Tribunale competente a valutare la domanda di concordato liquidatorio semplificato. A tale conclusione era già giunta Cass. civ., sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730 in una fattispecie (non del tutto identica) nella quale il trasferimento della sede si era verificato in prossimità della presentazione della domanda di concordato semplificato, mentre, nella vicenda che ha interessato il Tribunale di Monza, il trasferimento aveva addirittura preceduto la stessa istanza di nomina dell'esperto. Tuttavia, correttamente, la Cassazione ed anche il Tribunale di Monza hanno ritenuto applicabile al concordato semplificato la generale disciplina dell'art. 28 CCII attesa la natura di strumento di regolazione della crisi che condivide con il concordato preventivo. Ciò, però, comporta inevitabilmente alcuni corollari. Il primo è che la disciplina dell'art. 28 CCII non trova applicazione nella composizione negoziata, che non è una procedura concorsuale. La competenza per la nomina dell'esperto spetta, dunque, alla Camera di Commercio presso la quale il debitore è iscritto al momento della presentazione dell'istanza, attesa la precisa indicazione dell'art. 12 CCII, secondo cui la richiesta di nomina dell'esperto deve essere rivolta alla Camera di Commercio nel cui ambito si trova la sede legale (e, quindi, l'ultima in caso di trasferimento) anche in ragione della natura inderogabile della competenza territoriale delle Autorità amministrative. Inoltre, considerati gli effetti che decorrono dalla pubblicazione dell'istanza nel Registro delle Imprese, è assolutamente necessario che l'individuazione dell'Ente presso il quale vanno effettuate le comunicazioni avvenga senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità. Invece, il giudice competente alla conferma ed emissione dei provvedimenti protettivi e cautelari, pendendo la composizione negoziata, va individuato in base all'art. 19 CCII, che attribuisce la competenza all'autorità giudiziaria indicata dall'art. 27 CCII (e non con riferimento al luogo ove si trova la Camera di Commercio che ha nominato l'esperto), che è il Tribunale ove il debitore ha il centro degli interessi principali. Tuttavia, per l'art. 28 CCII, come già ricordato, il trasferimento del centro degli interessi principali non rileva ai fini della competenza giurisdizionale quando è intervenuto nell'anno antecedente al deposito della domanda. Ovviamente spetterà al Tribunale, chiamato a confermare le misure protettive o ad emettere i provvedimenti cautelari, di valutare la propria competenza, eventualmente con trasmissione, ai sensi dell'art. 29 CCII, degli atti al giudice competente, anche a costo di rendere difficile il rispetto del termine di 10 giorni prescritto dall'art. 19, comma 3, CCII, per la fissazione dell'udienza di comparizione; tuttavia, l'esigenza di rapido esame del ricorso sulla conferma delle misure protettive, che trovano applicazione a semplice domanda del debitore, giustifica la decadenza delle misure protettive anche se determinata dall'incompetenza territoriale del giudice adito. Potrebbe poi anche accadere che il Tribunale, competente a conoscere dell'ammissione al concordato semplificato, sia diverso da quello competente a conoscere delle misure cautelari se nel frattempo fosse trascorso più di un anno dal trasferimento della sede.
Il secondo corollario che deriva dalla riconosciuta natura di strumento di risoluzione della crisi del concordato semplificato concerne la necessaria applicazione dell'art. 120-quater CCII che, sebbene non espressamente inserito tra le norme applicabili dall'art. 25-sexies, comma 8, è richiamato per tutte le procedure di risoluzione della crisi dall'art. 40, comma 2, CCII. L'art. 120-quater CCII dispone che l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza sia deciso, in via esclusiva, dagli amministratori, i quali hanno anche il compito di elaborare il contenuto della proposta e le condizioni del piano quale espressione diretta della competenza esclusiva a predisporre assetti adeguati ed a assumere tutte le iniziative idonee a fronteggiare l'insorgenza della crisi (ai sensi del combinato disposto degli artt. 2086 c.c. e 3 CCII). Sebbene i soci non vengano in alcun modo coinvolti (anche se non è corretto affermare che gli stessi siano dei semplici spettatori passivi rispetto alla decisione degli amministratori), essi devono essere immediatamente informati della decisione assunta nonché del piano e della proposta (ed anche degli eventuali cambiamenti); dal deposito sorge il divieto di revoca degli amministratori. Non è questa la sede per illustrare i doveri che incombono sugli amministratori dal momento dell'emersione dei segnali della crisi ed i poteri che competono ai soci, sia prima, sia dopo, l'assunzione della decisione di fare ricorso ad una procedura concorsuale (per una disamina con riferimento al concordato preventivo, ma con valenza generale, Platania, I soci nelle procedure concorsuali, in Diritto Commerciale della Crisi, a cura di Lambertini e Platania, Giuffrè 2023, cap. 9). È sufficiente ricordare che la delibera, che autorizza la presentazione del ricorso, deve essere assunta con la forma pubblica ed immediatamente iscritta nel Registro delle Imprese a cura del notaio rogante; la mancata assunzione della delibera secondo le previsioni dell'art. 120-bis CCII comporta l'inammissibilità della domanda, come accadeva, nel vigore della legge fallimentare, qualora non fossero state rispettate le modalità previste dall'art. 152, comma 2, lett. b) o comma 3,l. fall. (Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2017, n. 19009).
Il controllo della ritualità.
Il Tribunale di Monza assume una netta posizione in ordine alla questione centrale dei poteri che spettano all'autorità giudiziaria in sede di verifica della ritualità della domanda di concordato semplificato, in conformità ad alcuni precedenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi sul tema. Comparando la disciplina dettata per il concordato liquidatorio (in cui è verificata l'ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano) e quella per il concordato in continuità (in cui è controllata, invece, la ritualità della proposta), il Tribunale deduce che la verifica della ritualità rappresenti un quid minus rispetto al riscontro dell'ammissibilità. Tuttavia, ritiene che il controllo della ritualità non possa essere limitato alla mera verifica formale che la relazione dell'esperto contenga l'attestazione dei requisiti previsti dall'art. 25 sexies cci, occorrendo sempre il controllo della attendibilità e ragionevolezza delle conclusioni dell'esperto per evitare ogni forma di abuso degli strumenti giuridici posti a disposizione dei debitori; in particolare, sempre secondo il Tribunale, il controllo deve concentrarsi sul fatto che le trattative si siano svolte con correttezza e buona fede e che emerga effettivamentel'impraticabilità di altre diverse soluzioni. Sul primo aspetto il Tribunale brianzolo ha osservato che la relazione dell'esperto, redatta alla fine della composizione negoziata, era del tutto insufficiente, in quanto incentrata solo sull'illustrazione della correttezza tenuta dai creditori durante le trattative e non su quella del debitore. Orbene, è certamente condivisibile che la buona fede durante le trattative debba essere valutata non solo in relazione alla posizione dei creditori, ma anche (e, si direbbe, soprattutto) in relazione alla posizione del debitore. La buona fede del debitore, durante la composizione negoziata, va declinata con riferimento a tre diversi aspetti (Sacchetto, La riscoperta della buona fede (e conseguenze) nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Il diritto commerciale della crisi, cit., cap.7): illustrazione completa, veritiera e trasparente della situazione economica, patrimoniale e finanziaria; tempestività nell'adozione delle iniziative conseguenti all'accertamento della crisi; gestione dell'azienda e del patrimonio in modo idoneo a preservare gli interessi dei creditori. La buona fede dei creditori va valutata con riferimento alla collaborazione leale prestata al debitore e all'esperto nella ricerca della soluzione più appropriata alla soluzione della crisi; al rispetto della riservatezza sulle informazioni ricevute; al riscontro tempestivo e fattivo alle proposte del debitore e dell'esperto, pure con riferimento alle eventuali proposte di modifica dei contratti. Ovviamente, se è di ostacolo all'ammissione al concordato semplificato l'accertamento di un comportamento non improntato a buona fede da parte del debitore, un comportamento non leale di alcuni creditori non può costituire, invece, motivo di rigetto dell'istanza, ma, semmai (nell'ottica sanzionatoria che sembra – inopportunamente - connotare l'istituto) di accoglimento.
Il Tribunale di Monza però, dopo avere segnalato l'insufficienza della relazione dell'esperto, non ha ritenuto di procedere ad alcun adempimento istruttorio. Eppure, le eventuali lacune della relazione non possono essere, sic et sempliciter, addossate al debitore; la relazione finale è redatta dall'esperto ai sensi dell'art. 17, comma 8, CCII in via del tutto autonoma e senza alcun concerto con le parti ed è comunicata, dopo il deposito, all'imprenditore ed al Tribunale che ha concesso (o confermato) le misure protettive e cautelari. Quindi, se viene riscontrata nella relazione dell'esperto (come certamente nel caso sottoposto all'Autorità giudiziaria di Monza) un'insufficienza così grave da ostacolare il positivo controllo della ritualità, il Tribunale dovrebbe necessariamente richiedere un'integrazione, indicando dettagliatamente gli aspetti da approfondire, in forza dei poteri istruttori conferitigli dagli artt. 47, 48 e 25-sexies, comma 5, CCII, e, in ogni caso, delle norme generali in tema di procedimenti camerali, ed in adempimento delle regole che impongono al giudice di ricercare anche d'ufficio gli elementi di conforto dell'istanza presentata dal debitore (Cass. civ., sez. VI, 4 marzo 2015, n. 4412:“Nel procedimento camerale, il giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi”. Su questa linea, vedasi Trib. Ivrea 27 maggio 2022che, in sede di ammissione di un concordato semplificato, ha invitato il debitore a chiarire l'esistenza di presupposti per l'esperimento di azioni revocatorie, risarcitorie o restitutorie nell'alternativa fallimentare, prescrivendo all'esperto di pronunciarsi in proposito). E' probabile, però, che il Tribunale abbia ritenuto non necessario procedere ad alcun supplemento istruttorio ritenendo del tutto decisivo il fatto che non fosse stato provato l'ulteriore presupposto dell'impraticabilità delle misure individuate dall'art. 23, commi 1 e 2 lett. b) CCII. L'attenzione del giudice si è, infatti, concentrata specificamente sul fatto che la situazione debitoria della ricorrente era caratterizzata da un rilevantissimo debito fiscale che, in ragione dell'entità dell'attivo effettivamente distribuibile, doveva per necessità essere oggetto di falcidia per potere consentire un soddisfacimento sia pure parziale degli altri debitori. Sennonché, secondo il Tribunale, nell'ambito della composizione negoziata, gli uffici fiscali non avrebbero potuto aderire alla riduzione del credito ipotizzata nella proposta finale, potendo la falcidia, semmai, essere disposta solo a seguito della stipula di una transazione fiscale nell'ambito di un accordo di ristrutturazione del debito o di un concordato preventivo. Da tale premessa il Tribunale ha tratto la conclusione che l'attestazione dell'esperto, secondo cui all'esito delle trattative non era di fatto percorribile nessuna delle misure previste dall'art. 23, commi 1 e 2 lett. b) CCII fosse ingiustificata ed immotivata, poiché, anzi, il debitore aveva omesso di ricercare la sola soluzione astrattamente possibile, costituita della stipula di una transazione con l'Erario nell'ambito di un accordo di ristrutturazione del debito. Ha, dunque, posto il principio per cui l'accesso al concordato semplificato presuppone che le soluzioni ipotizzate dalla legge debbano essere oggetto di specifiche proposte ai creditori; esse devono poi essere astrattamente praticabili al momento della presentazione del ricorso della nomina dell'esperto per la composizione negoziata, “atteso che se l'imprenditore si trova in una situazione che non gli consente di formulare una proposta che abbia chance di essere accettata, egli versa in istato di insolvenza irreversibile e, conseguentemente, deve fare ricorso a strumenti di risoluzione della crisi diversi dalla composizione negoziata”.
La posizione assunta dal Tribunale si conforma a quell'orientamento dottrinale (Morri, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in questo portale24 agosto 2021) che espressamente ritiene che, ai fini della verifica della ritualità della proposta di concordato liquidatorio debba essere valutato dal Tribunale il presupposto della originaria risanabilità dell'impresa. Ebbene, pur dovendosi totalmente condividere la necessità di evitare ogni abuso da parte dei debitori al fine di aggirare la normativa sul concordato preventivo liquidatorio, bisogna osservare che al momento della richiesta di nomina dell'esperto risulta oggettivamente assai difficile escludere de plano l'esistenza di ogni chance di successo. Innanzitutto, il piano di risanamento che il debitore deve inserire nella piattaforma informatica va valutato alla stregua di una mera ipotesi programmatica, suscettibile anche di profonde modifiche in relazione all'andamento delle trattative. Non a caso, una prima valutazione preliminare di fattibilità della soluzione negoziata (che ha soprattutto carattere economico) è affidata all'esperto, che ha la capacità professionale di valutare l'eventuale natura strumentale dell'istanza e che può incidere significativamente sull'andamento delle trattative, avendo un compito propositivo e di sintesi delle posizioni delle parti. Quindi, anche le ipotizzabili resistenze volontarie o basate su prescrizioni normative (non solo dei creditori fiscali ma anche di quelli bancari in base alla normativa di settore, nazionale ed europea; cfr. Munaro, La gestione del credito bancario per l'impresa in crisi, in Diritto commerciale della crisi, cit., cap. 21) ad accettare soluzioni concordate, ben potrebbero trovare compensazione negli accordi raggiunti con altri creditori più disponibili ad assecondare le richieste dell'impresa in crisi. E, quindi, non dovrebbe costituire motivo di valutazione negativa della ritualità della proposta di concordato semplificato un eventuale diverso giudizio (effettuato dal Tribunale sulla base della conoscenza, evidentemente ex post, dell'esito delle trattative) del presupposto della sussistenza di prospettive di risanamento. Lo stesso contenuto degli accordi che positivamente concludono la composizione negoziata (da stipularsi con tutti i creditori o solo alcuni di essi) previsti dall'art. 23, comma 1, lett. a) e lett. c) CCII, non è precisato dal legislatore, che indica solo che devono comportare il mantenimento della continuità aziendale per almeno due anni ovvero, più radicalmente, il superamento della crisi o dell'insolvenza in conformità al piano di risanamento elaborato dal debitore. L'ulteriore misura prevista dall'art. 23, comma 1, lett. b) - la convenzione di moratoria così come disciplinata dall'art. 62 CCII - permette, con l'adesione da parte del 75% degli appartenenti a ciascuna categoria in cui sono suddivisi i creditori, di ottenere solo dilazioni di pagamento (senza riduzioni dell'ammontare dei crediti) sufficienti a consentire il recupero della capacità del debitore di adempiere alle obbligazioni, riequilibrando soprattutto la struttura finanziaria dell'impresa. Si tratta probabilmente di misure perseguibili solo se la crisi abbia natura prevalentemente finanziaria e di non rilevante dimensione, superabile attraverso complessivamente non significativi sacrifici dei creditori, poiché se le cause fossero di altra natura (perdite di quote di mercato, esaurimento del mercato di riferimento, insufficienza del management a gestire l'impresa, come spesso accade in occasione del cambio generazione) le misure di risanamento dovrebbero essere radicalmente diverse e dirette ad affrontare le ragioni profonde della crisi con significativa incidenza sul ceto creditorio. Inoltre, e la circostanza non sembra essere stata chiaramente percepita dal legislatore (che ha tentato di dare al problema una soluzione solo concorsuale, ma non societaria, con l'introduzione dell'art. 120-quater CCII), qualora il debitore rivestisse la forma di società di capitali e le perdite pregresse (come molto sovente accade) avessero azzerato il patrimonio netto, le misure dirette ad allungare semplicemente i tempi di adempimento delle obbligazioni non potrebbero costituire strumenti idoneia ricostituire, in misura pari al minimo legale, il capitale perduto. Infatti, la speciale misura protettiva della non applicazione delle cause di scioglimento prevista dall'art. 20, comma 1 CCII cesserebbe con la conclusione degli accordi, e la mera moratoria nel pagamento dei debiti, se rilevante (momentaneamente) sotto il profilo del fabbisogno finanziario, sarebbe del tutto irrilevante sotto il profilo patrimoniale (il solo considerato, invece, dalla disciplina degli artt. 2446, 2447 e 2482-bisc.c.) con il paradossale effetto che la società si troverebbe in situazione di liquidazione (e quindi non in grado di proseguire nella gestione dell'azienda) nello stesso momento in cui fosse trovata una soluzione con i creditori per garantire la continuità aziendale. È effettivamente probabile che, nelle intenzioni del legislatore, tutta la disciplina della negoziazione assistita fosse destinata a superare crisi non particolarmente profonde e soprattutto appena evidenziatesi, nell'ottica di fornire al debitore uno strumento di tempestiva soluzione di una crisi al suo inizio. Tuttavia, occorre prendere atto che la giurisprudenza nel frattempo formatasi ha, in modo prevalente, esteso lo strumento della negoziazione assistita anche alle ipotesi di vera e propria insolvenza rendendo, quindi, probabilmente necessario ipotizzare anche accordi molto più incisivi di quelli immaginati dal legislatore, che prevedano, ad esempio, la conversione in equity dei crediti, aumenti di capitalea disposizione dei creditori e fors'anche cambi di direzione aziendale e forme di controllo della governance su cui il consenso dei creditori è ancor più aleatorio (per la possibilità che la composizione negoziata possa essere richiesta anche in ipotesi di conclamata insolvenza, sia pure reversibile, Trib. Bologna, 8 novembre 2022, Trib. Bergamo 25 maggio 2022; Trib. Salerno, 13 febbraio 2023; Trib. Roma, 10 ottobre 2022; in dottrina Battaglia, Tavella Cugini, La composizione negoziata tra crisi, insolvenza (reversibile) e concrete prospettive di risanamento, 6 aprile 2023; Della Sega, Spiazzi, I contrasti giurisprudenziali sull'accesso alla composizione negoziata per le società in stato di insolvenza e di liquidazione, 14 febbraio 2023; Nisivoccia, Il ricorso alla composizione negoziata è ammissibile anche se l'insolvenza e la crisi sono già insorte e conclamate?, 13 aprile 2023,tutti inquesto portale). Non è forse inutile segnalare che l'insolvenza reversibile (nozione richiamata dal disposto dell'art. 21, comma 1 CCII) si distingue dall'insolvenza irreversibile – secondo le linee guida del CNDCEC ”Informativa e valutazione nella crisi di impresa” del30 ottobre 2015 – “in base alla prevedibilità prospettica di modificazioni sostanziali della situazione economica dell'impresa” che, per quanto difficile, non può essere escluso che si concretizzino per effetto delle concessioni concordate durante le trattative con i creditori. Ne consegue che, fino a quando non si siano cristallizzate le posizioni dei protagonisti della composizione negoziata, è oltremodo difficile valutare la natura reversibile o irreversibile della insolvenza (come correttamente ricordato da Trib. Bologna, 8 novembre 2022, cit.). È, dunque, assai problematico stabilire, prima che vi sia stata una presa netta di posizione da parte dei creditori, la prospettiva di successo della composizione negoziata; ed anche nel caso sottoposto al Tribunale di Monza, in linea astratta, come richiesto proprio nella decisione, come poteva essere escluso, alla presentazione della domanda, che un eventuale accordo con i debitori diversi dall'Erario avrebbe potuto liberare risorse idonee a procedere a pagamenti rateali del debito tributario secondo le ordinarie regole fiscali? Ma l'art. 25-sexies CCII subordina l'omologazione del concordato semplificato anche all'impossibilità di raggiungere con i creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti (come ipotizzato all'art. 23, comma 2, lett. b) CCII). Si tratta di una soluzione (come chiaramente percepito dal legislatore, che la colloca tra gli esiti negativi della composizione), completamente diversa ed alternativa rispetto alle altre ipotizzate dal comma 1, perché non è necessariamente diretta al mantenimento della continuità aziendale diretta od indiretta. Infatti, l'accordo di ristrutturazione dei debiti potrebbe avere finalità solo liquidatorie, poiché, come emerge dalla disciplina dell'art. 61 CCII, solo quello ad efficacia estesa deve prevedere la continuità aziendale; si tratta, quindi, di uno strumento concorsuale idoneo anche a gestire una fase di dismissione del patrimonio aziendale quando le prospettive di risanamento non fossero concretamente perseguibili. Orbene, dalla narrativa dello stesso provvedimento, emerge in realtà proprio l'impossibilità di perseguire un accordo di ristrutturazione dei debiti, poiché il piano elaborato dall'impresa (necessariamente alla conclusione delle trattative) non avrebbe potuto ragionevolmente essere accolto positivamente dai creditori in quanto i voti favorevoli espressi all'ultima proposta del debitore erano stati straordinariamente esigui (6% del totale dei crediti) ed il Tribunale non avrebbe neppure potuto superare il (decisivo) voto contrario dell'Amministrazione Finanziaria ai sensi dell'art. 63, comma 2-bis, CCII prevedendosi un pagamento delle imposte in misura inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione ed in mancanza di altre risorse che avrebbero potuto portare ad un pagamento diverso e superiore dei creditori. Tuttavia, il provvedimento appare nella conclusione cui giunge assolutamente corretto, in quanto la proposta di concordato semplificato violava chiaramente il disposto dell'art. 25-sexies, comma 5, CCII, che subordina l'omologazione al rispetto delle cause di prelazione. La proposta formulata dall'impresa, invece, prevedeva la distribuzione dell'attivo in violazione delle norme sulle cause di prelazione con sacrificio delle ragioni dell'Erario a vantaggio dei creditori chirografari (sulla possibile formazione di classi e sul rischio evidente che attraverso le classi si proceda ad inaccettabili trattamenti di favore, Fico, La tutela dei creditori nella procedura di concordato semplificato, in questo portale, 8 Maggio 2023).
Conclusioni
Tirando le fila sembra, dunque, doversi concludere che il Tribunale, chiamato a valutare un ricorso di omologazione di un concordato liquidatorio, debba, innanzitutto, attivarsi richiedendo ulteriori chiarimenti all'esperto qualora ritenga che la relazione finale non approfondisca adeguatamente taluni aspetti della vicenda (tra cui il possibile esito della liquidazione), non essendo il debitore responsabile del contenuto della relazione (contrariamente a quanto accade per l'attestazione del professionista nel concordato); non può essere oggetto di nuova valutazione il giudizio dell'esperto circa la sussistenza, all'inizio della composizione negoziata, di concrete prospettive di risanamento soprattutto ove si consideri che la valutazione del tribunale è emessa dopo la conclusione negativa della trattativa e quando la nuova proposta può essere completamente diversa da quella semplicemente abbozzata all'inizio delle trattative; la ritualità, invece, deve essere valutata, non solo con riferimento ai requisiti minimi di legge per l'accesso alla procedura, tra cui l'assunzione della delibera ai sensi dell'art. 120-bis CCII , la tempestività della domanda e gli altri presupposti soggettivi previsti dalla norma, ma anche (come correttamente già segnalato da Fico, op. cit.) con riferimento alla sussistenza dei requisiti di merito dell'omologabilità, quali la conformità della proposta all'ineludibile principio del rispetto delle legittime cause di prelazione ed alla corretta formazione delle classi (sulla questione vedasi le discordanti opinioni di Fico, op. cit., e Bozza, Il ruolo del giudice nel concordato semplificato, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, cit., rispetto a quelle esposte da Lamanna, op. cit.) E siccome la proposta non può essere oggetto di modifica durante l'iter di omologazione (essendo la proposta concorrente incompatibile con la struttura snella della concordato semplificato la cui disciplina non richiama, infatti, l'art. 90 CCII), è perfettamente funzionale alla giusta esigenza di non aggravare i costi, ed in omaggio al criterio motivazionale della ragione più liquida, che, già in sede di controllo della ritualità, il Tribunale si pronunci negativamente quando si possa escludere de plano la possibilità di approvazione della domanda.
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