Il sindacato sulla ritualità della proposta nel concordato semplificato: nuova pronuncia d’appello

La Redazione
07 Settembre 2023

La Corte d'Appello di Milano, nel rigettare il reclamo proposto avverso la pronuncia del Tribunale, definisce i confini del vaglio di ritualità della proposta e dell'attestazione spettante al giudice e chiarisce che, ai fini di un'attestazione credibile, questi debba verificare non solo l'avvenuta proposta ai creditori di soluzioni di cui all'art. 23, comma 1 e 2, lett. b), CCII, ma anche l'astratta praticabilità di almeno una di tali soluzioni.

La pronuncia in oggetto giunge a seguito della decisione del Tribunale di Monza resa lo scorso 17 aprile (si veda Platania, Il giudizio di ritualità della proposta di concordato semplificato, 5 settembre 2023, pubblicato su questo portale).

A seguito del deposito da parte della debitrice di una proposta di concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII, che a sua volta seguiva l'esito negativo delle trattative di composizione negoziata della crisi esperita ai sensi degli artt. 12 e ss. CCII, il Tribunale:

  • premetteva che il vaglio di ammissibilità e quello di ritualità non coincidono, rappresentando il secondo un quid minus rispetto al primo;
  • precisava che il controllo di ritualità della proposta investe non solo la formale sussistenza delle attestazioni richiesta dal comma 1 dell'art. 25-sexies CCII, ma anche l'attendibilità e la ragionevolezza di tali attestazioni;
  • dichiarava non rituale la proposta di concordato semplificato in ragione della mancanza, nella relazione finale dell'esperto, di una compiuta attestazione sullo svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede, nonché delle ragioni alla base della conclusione di impraticabilità delle soluzioni indicate all'art. 23, commi 1 e 2, lett. b) ,CCII;

La società debitrice ha quindi proposto reclamo avverso la pronuncia del giudice di prime cure, contestando, tra l'altro, le conclusioni assunte da quest'ultimo quanto all'oggetto del vaglio di ritualità della proposta, che secondo la reclamante non potrebbe estendersi, in assenza di contraddittorio, alla bontà del piano e della proposta nel merito, né al contenuto della relazione finale dell'esperto.

La Corte affronta, in primo luogo, la questione preliminare attinente alla reclamabilità del decreto che dichiara la irritualità della proposta ai sensi del comma 3 dell'art. 25-sexies CCII. A riguardo, pur non essendo prevista in modo espresso tale possibilità – come invece avviene per il decreto che provvede sulla domanda di omologazione del concordato semplificato ex art. 25-sexies, comma 6, CCII – ad avviso della Corte essa deve ritenersi comunque ammissibile.

Quanto alla questione, centrale, relativa al sindacato di ritualità, la Corte ritiene infondate le censure della reclamante. Pur consistendo, tale sindacato, in un controllo di legittimità focalizzato sul rispetto delle condizioni di accessibilità e dunque, certamente, su questioni di “forma”, afferma la Corte che “si deve tuttavia ritenere che rientri nel controllo di ritualità […] anche la legittimità sostanziale della proposta. […] Di tale controllo di legittimità sostanziale fa parte, ad avviso della Corte, anche la verifica della completezza della relazione finale dell'esperto e della ragionevolezza delle sue conclusioni, che non possono essere né ambigue né apodittiche, ma devono saldarsi in modo chiaro, logico e conseguenziale ai dati contabili accertati, al contenuto delle specifiche soluzioni prospettate dall'impresa ai creditori, alle concrete modalità di svolgimento delle trattative, alla legittimità delle soluzioni della crisi ipotizzate”.

Quanto al caso di specie, la Corte conviene con il Tribunale nel ritenere che “l'esperto, ai fini di un'attestazione credibile, debba verificare non solo che l'imprenditore si sia attivato per il perseguimento di una delle soluzioni previste dall'art. 25-sexies, comma 1, CCII, formulando specifiche proposte ai creditori, ma anche che almeno una tra tali soluzioni fosse quantomeno astrattamente praticabile al momento in cui è stata avviata la composizione negoziata […]”, e ciò in quanto, in caso di originaria impraticabilità di quelle, ci si troverebbe dinanzi ad una insolvenza irreversibile tale da giustificare la richiesta, da parte dell'esperto, dell'archiviazione della procedura di composizione negoziata ex art. 17, comma 5, CCII.

Secondo la Corte, nel caso in esame, una volta optato per la composizione negoziata, l'unica strada astrattamente praticabile sarebbe stata quella di formulare la proposta dell'ambito dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ex art. 23, comma 2, lett. b), CCII. Solo con tale strumento, infatti, al contrario dei contratti previsti dall'art. 23, comma 1, CCII, può essere perseguita la falcidia del credito fiscale. La ragione della mancata proposta ai creditori dell'accordo di ristrutturazione è da individuarsi, secondo la Corte, nel fatto che la debitrice fosse ben consapevole delle difficoltà nel raggiungere la soglia di adesioni richieste (60%), visti gli atteggiamenti ostili del ceto creditorio. Da questo, la Corte ricava, come il Tribunale, la sussistenza di “dubbi sull'effettiva correttezza e buona fede tenuta dalla società nel corso delle trattative, avendo la stessa formulato una proposta ab origine inidonea a risolvere la situazione di insolvenza in cui si trovava”.

Pertanto, la Corte rigetta il reclamo proposto dalla debitrice.

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