Il possesso ad usucapionem è possibile anche in difetto di concessione edilizia

11 Settembre 2023

In materia di violazione delle distanze legali tra proprietà confinanti, deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore di quella fissata dalle norme del Codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali.

L'usucapibilità del diritto a tenere un immobile a distanza inferiore da quella legale non equivale, in effetti, alla stipula pattizia di una deroga in tal senso perché risponde alla diversa ed ulteriore esigenza di garantire la stabilità dei rapporti giuridici in relazione al decorso del tempo.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 25843 depositata il 5 settembre 2023.

Il fatto. Due proprietari di un compendio immobiliare evocavano in giudizio con atto di citazione e dinnanzi al Tribunale ritenuto competente, i due proprietari del fondo confinante chiedendo che venisse accertata l'illegittimità della costruzione di un fabbricato realizzato da questi ultimi per violazione delle distanze legali, nonché l'arretramento del muretto di recinzione per invasione del fondo, oltre al risarcimento dei danni. In particolare, gli attori contestavano, nonostante la regolarizzazione in via amministrativa delle opere mediante il rilascio di concessione in sanatoria da parte del Comune, la violazione delle distanze legali di cui al d.m. n. 1444/1968 e al Piano Regolatore Generale del Comune in cui erano situati sia il complesso immobiliare di proprietà degli attori che il fondo di proprietà dei convenuti, vigente all'epoca della costruzione.

Istaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, questi ultimi, in via principale assumevano la legittimità della loro costruzione e, in via subordinata, eccepivano l'intervenuta usucapione del diritto a conservare l'edificio a distanza inferiore a quella legale, oltre a chiedere dichiararsi la litispendenza in relazione alla domanda di arretramento del muretto di recinzione, già proposta in via riconvenzionale in altro giudizio pendente dinnanzi allo stesso Tribunale adito. Quest'ultimo, respingeva tutte le domande attoree, dichiarava la litispendenza in relazione alla domanda di arretramento del muretto per la quale disponeva la cancellazione della causa dal ruolo, e accoglieva l'eccezione dei convenuti di intervenuta usucapione a mantenere il fabbricato a distanza inferiore a quella legale, ritenendo i limiti imposti dai piani regolatori e dagli strumenti urbanistici ex art. 873, comma 2, c.c., derogabili dai privati e, conseguentemente, usucapibile il diritto reale al mantenimento del fabbricato.

A seguito di gravame proposto dagli attori, la Corte Distrettuale adita, in parziale accoglimento dell'impugnazione, riformava la decisione del giudice di prime cure, revocando la dichiarazione di litispendenza tra la domanda di arretramento del muretto di recinzione proposta nel giudizio de quo e quella proposta in via riconvenzionale in altro giudizio, per cui andava disposta la riunione. Nel merito, riteneva «non più possibile – allo stato – disporre la riunione della cause» ad ogni modo, escludeva una propria decisione sul punto. Confermava nel resto la sentenza.

Quanto al merito delle domande relative alla legittimità della costruzione realizzata a distanza inferiore a quella legale, nel confermare la decisione del primo giudice, riteneva intervenuta la maturazione dell'usucapione risultando dalla CTU che l'edificio in contestazione era stato realizzato negli anni 1971-1972.

Gli appellanti ricorrevano per la Cassazione della sentenza della Corte distrettuale sulla base di quattro motivi di ricorso.

I Giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il quarto motivo di ricorso proposto dai ricorrenti con il quale questi ultimi lamentavano violazione e/o falsa applicazione degli art. 873,1061 e 1158 c.c., nonché l'art. 9, del d.m. n. 1444/1968 per avere la Corte distrettuale riconosciuto l'usucapibilità delle servitù di mantenimento delle costruzioni a distanze inferiori da quelle legali, ciò determinando un illegittimo aggiramento dell'inderogabilità delle norme che impongono il rispetto di distanze minime tra fondi finitimi. Inoltre, sempre i ricorrenti, censuravano la sentenza nella parte in cui, pur ammettendo la usucapibilità della servitù de qua, aveva ritenuto usucapibile la servitù al mantenimento di costruzioni a distanza inferiori a quelle legali anche nel caso si tratti di costruzioni abusive, non sussistendo, nel caso di specie, il presupposto dell'inerzia del titolare ai fini dell'utilità del possesso per il maturare dell'usucapione a fronte del concreto esercizio da parte della Pubblica Amministrazione del proprio potere di conformazione dell'attività edilizia alla disciplina urbanistico – edilizia, esplicatosi per mezzo di ordini di demolizione e ordinanze di sospensione dei lavori.

Nella specie, i magistrati, si sono riportati al proprio consolidato orientamento giurisprudenziale sulla scorta del quale deve ritenersi oramai ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù, come nella specie, avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme codicistiche o urbanistiche regolamentari.

Il Collegio di legittimità prosegue affermando che se dalla norma codicistica o da quella integrativa discende, come comunemente si afferma, il diritto soggettivo del vicino di pretendere che il confinante edifichi a distanza non inferiore a quella prevista, si deve nondimeno, ammettere, ove anche si consideri vietata la deroga convenzionale, che l'avvenuta edificazione (con opere, quindi, permanenti e visibili), mantenuta con i requisiti di legge per oltre venti anni, dia luogo al verificarsi dell'usucapione da parte del confinante, del diritto a mantenere l'immobile a distanza inferiore a quella legale: senza che ciò infici, naturalmente, la facoltà della Pubblica Amministrazione, restando, così, salva la disciplina pubblicistica e l'osservanza degli standard di qualsivoglia natura che il legislatore o l'amministrazione abbiano fissato, anche alla stregua eventualmente di normativa di fonte sovranazionale.

Concludendo. I magistrati concludono, quindi, affermando che, ciò che viene meno è soltanto la facoltà del singolo di far valere il proprio diritto soggettivo, attribuitogli in conseguenza della disposizione rispondente all'interesse generale, ma senza assunzione di un potere privato confondibile con quello dell'amministrazione. Entrambi i soggetti possono concorrere alla tutela dell'interesse fissato dall'ordinamento, ma ferma rimane la distinzione dei caratteri tra potere privato e potere pubblico, ciascuno contraddistinto dai limiti generali della categoria cui appartiene. E ciò giustifica anche il diverso trattamento da riservare da un lato agli accordi di deroga e dall'altro al meccanismo dell'usucapione: ove quest'ultima operi, resta alla sola Pubblica Amministrazione il potere (pubblico) di agire per conformare la proprietà al modo previsto dal legislatore.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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