Contestazione del locale caldaia in comune tra proprietari
13 Settembre 2023
Il caso.Due fratelli citavano innanzi al giudice di merito l'altro germano per sentir accertare e dichiarare la loro comproprietà, quali condomini, del locale caldaia-termosifone con conseguente restituzione pro-quota dello stesso; chiedevano altresì di accertare e dichiarare l'esistenza di una servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte convenuta per accedere al predetto locale, per avere gli attori maturato il relativo diritto in virtù di intervenuto usucapione ventennale. Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava la domanda attorea, ritenendo che dall'atto di divisione si evincesse l'attribuzione in proprietà esclusiva del locale oggetto di causa al convenuto; ne conseguiva il rigetto dell'ulteriore domanda di riconoscimento e ripristino della servitù di passaggio per mancanza del requisito dell'alienità dei due beni. Avverso tale pronuncia veniva proposto gravame innanzi alla Corte di appello territorialmente competente la quale accoglieva il gravame e, per l'effetto, dichiarava che il vano oggetto del giudizio era in comproprietà tra le parti in causa, in misura proporzionale alle rispettive quote condominiali; ne discendeva, altresì, il riconoscimento in favore degli appellanti dell'intervenuto usucapione della servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte appellata, per accedere al predetto locale in comproprietà. Veniva proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte sulla base di due motivi: con il primo motivo il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. e ss., per avere la Corte d'Appello erroneamente qualificato l'atto pubblico quale scioglimento di comunione ereditaria, anziché quale atto di cessione di diritti immobiliari dietro il pagamento di un corrispettivo. Con il secondo motivo parte ricorrente deduceva la violazione degli artt. 1158 e ss. c.c. per avere la Corte accertato l'esistenza dell'esercizio di una servitù di passaggio e la sua intervenuta usucapione in virtù di un riconoscimento operato dall'appellato in realtà mai avvenuto.
Disamina dei motivi di censura. I Giudici di legittimità ritengono il primo motivo infondato sotto tutti i profili evidenziando, in primo luogo, che l'accertamento del giudice di merito circa la stipulazione di un contratto di divisione, se formulato sulla base di una adeguata e logica motivazione, scevra da vizi giuridici, è insindacabile in Cassazione, senza che valga di per sé ad inficiare l'idoneità dell'accertamento la circostanza che sia mancato il riferimento ai confini dell'intero piano terra ovvero le facoltà attribuite al ricorrente nel negozio di divisione. Ne consegue che la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., per il fatto che gli elementi considerati dal giudice di merito siano, secondo l'opinione del ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione, conforme alla tesi da lui sostenuta. La Suprema Corte quindi ritiene che i giudice del gravame abbia motivato ampiamente e in maniera adeguata e logica tale da sorreggere la ratio decidendi in ordine all'entità della quota assegnata al ricorrente con atto pubblico, tenuto conto di tutti gli elementi del contratto di divisione; inoltre, in applicazione del criterio ermeneutico della comune intenzione delle parti, ha pure aggiunto che l'esistenza di detta volontà divisionale definitiva risultava dal comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, inteso a dare esecuzione all'accordo contenuta in detto scrittura. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Cassazione evidenzia che preliminarmente occorre precisare che venendo in discussione la corretta interpretazione delle norme sullo scioglimento della comunione e quindi la violazione delle norme di diritto ad essi afferenti, non rilevano i supposti motivazionali della decisione impugnata, perché, come si desume dall'art. 384 c.p.c., quando viene sottoposto a sindacato il giudizio in diritto il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato alla plausibilità della giustificazione. Sicché, un giudizio di diritto potrà risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché, secondo quanto prevede appunto l'art. 384, comma 4, c.p.c., la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della Corte quando il dispositivo sia conforme al diritto (Cass. civ. S.U. 25 novembre 2008, n. 28054). Il giudice del gravame, pertanto, a differenza di quanto assume il ricorrente, pur avendo esattamente individuato la norma diretta a disciplinare il caso di specie, facendo riferimento all'istituto dell'usucapione, l'ha applicata in conformità della giurisprudenza della cassazione ed in tal senso va corretta, a norma dell'art. 384 c.p.c. la motivazione sul punto della sentenza impugnata. In conclusione, il ricorso veniva integralmente rigettato; nessuna pronuncia sulle spese in mancanza di difese svolte dai resistenti rimasti intimati. |