Le assemblee “a porte chiuse” e il ruolo del rappresentante designato

14 Settembre 2023

Con riferimento allo svolgimento delle assemblee “a porte chiuse”, mediante il conferimento di deleghe al rappresentante designato, il Tribunale di Milano affronta uno specifico aspetto che, seppur non disciplinato espressamente dal legislatore, assume grande rilievo pratico: l'individuazione del termine entro cui il socio, avente diritto di voto, può esercitare il proprio diritto individuale di presentare direttamente e in assemblea ulteriori proposte di delibera.
Massima

In relazione alla modalità di svolgimento del procedimento assembleare “a porte chiuse”, mediante il conferimento delle deleghe al rappresentante designato, in assenza di una disposizione specifica, è possibile ritenere che il termine affinchè il socio avente diritto di voto possa esercitare il suo diritto di presentare direttamente in assemblea ulteriori proposte di deliberazione su argomenti già all'ordine del giorno sia rinvenibile nell'art. 126 bis comma 2 TUF, secondo il quale delle proposte dei soci di minoranza qualificata deve essere data notizia almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'assemblea.

Il caso

Merlyn Advisor Ltd, socio di Telecom Italia s.p.a. dall'11 aprile 2023, proponeva ricorso ex art. 126 bis comma 5 TUF e/o ex art. 700 c.p.c. contro quest'ultima per chiedere al Tribunale di ordinare alla società Telecom Italia l'integrazione della proposta di delibera da sottoporre al voto dell'assemblea della Società del 20 aprile 2023, inserendo la medesima proposta di delibera così come formulata dalla ricorrente relativa alla nomina di un consigliere di amministrazione in sostituzione del precedente.

In via preliminare, la Società TIM eccepiva l'inammissibilità del procedimento ex art. 700 c.p.c. per difetto del requisito della residualità a fronte della chiara previsione del procedimento ex 126 bis, comma 5 TUF; inoltre, eccepiva l'improcedibilità del procedimento ex art. 126 bis, comma 5 in quanto la ricorrente non ha mai sottoposto al consiglio di amministrazione o al collegio sindacale di TIM la sua richiesta di integrazione delle proposte di delibera.

Il Tribunale di Milano riteneva il ricorso inammissibile ed evidenziava che i due procedimenti rispettivamente previsti dagli artt. 126 bis, comma 5 TUF e 700 c.p.c. sono tra loro diversi e incompatibili sotto il profilo procedimentale.

Per le palesi difformità strutturali esistenti tra i due procedimenti, il cumulo non è possibile né consentito, in quanto si realizzerebbe la duplicazione di procedimenti aventi lo stesso oggetto che si svolgono tra le stesse parti di fronte a giudici diversi e seguendo riti differenti. La stessa alternatività postulata dalla ricorrente non è praticabile, sia perché attribuisce ad un soggetto non legittimato, quale il giudice, il compito di scegliere quale dei due procedimenti si debba concretamente svolgere, sia perché tale alternativa lede gravemente il diritto di difesa della resistente nella parte in cui non è posta nella condizione di conoscere in maniera precisa secondo quali regole esso debba essere esercitato.

Pertanto, sotto il profilo strettamente processuale, il Tribunale di Milano riteneva che il procedimento ex art. 700 c.p.c. non fosse ammissibile per carenza del requisito di residualità.

Chiarito questo aspetto di natura procedimentale, si può aggiungere che il ricorso è infondato anche nel merito. In concreto, la Società in sede di convocazione dell'assemblea di TIM stabilita per il 20 aprile 2023 ne prevedeva lo svolgimento nelle forme di cui all'art. 106 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto “Cura Italia”), cioè mediante la partecipazione del rappresentante designato ex art. 135-undecies TUF. Sempre in sede di convocazione la Società indicava il giorno 5 aprile 2023 come termine di scadenza per la richiesta di presentazione delle proposte individuali di delibera su argomenti all'ordine del giorno.

Poiché aveva acquistato azioni di TIM il giorno della record date, Merlyn chiedeva in questa data alla Società, ma non direttamente al consiglio di amministrazione né al collegio sindacale, di presentare una proposta di delibera relativa alla candidatura per un posto di consigliere di amministrazione rimasto libero per le dimissioni di un altro consigliere.

La Società respingeva le richieste di Merlyn, la quale, per tale ragione, proponeva il ricorso oggetto della pronuncia in commento.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Il provvedimento in commento risulta estremamente interessante in quanto affronta un tema non disciplinato dal legislatore ma, allo stesso tempo, di indiscusso rilievo pratico, ovvero l'individuazione del termine concesso al socio avente diritto di voto entro il quale poter esercitare il proprio diritto individuale di presentare direttamente e in assemblea ulteriori proposte di delibera su argomenti già all'ordine del giorno, come previsto dall'art. 126 bis, comma 1, TUF.

In primo luogo, il Tribunale di Milano si pronuncia sia su una questione strettamente processuale, ossia il rapporto di “cumulo/alternatività” tra i due procedimenti previsti dagli articoli 126 bis, comma 5, TUF e 700 c.p.c., ritenendoli tra di loro oggettivamente differenti e incompatibili; sia su una questione di diritto societario sostanziale, ovvero la definizione del termine entro cui il socio può legittimamente esercitare il suo diritto di presentare in assemblea proposte aggiuntive di deliberazione su argomenti che sono già elencati nell'ordine del giorno.

Premesso che l'ordinanza del Tribunale è condivisibile e meritevole di accoglimento nella sua interezza, la stessa rappresenta l'occasione per trattare un argomento caratterizzato da profili applicativi di non poco conto.

Infatti, lo svolgimento di assemblea mediante rappresentante designato dalla società (Busani, Il rappresentante designato per il conferimento delle deleghe, Le società, 3/2021, 307) costituisce un tema di grande attualità, soprattutto in considerazione degli ultimi interventi legislativi – il Decreto Mille Proroghe e il DDL capitali – i quali prevedono la possibilità che alle assemblee delle società per i soci partecipi solo un rappresentante designato, scelto dagli amministratori.

Sotto questo profilo, sembra avviarsi una radicale riforma delle assemblee delle società quotate e non solo (Luciano, Un'altra “stagione” di riunioni virtuali, in attesa di una riforma organica del procedimento assembleare, in questo portale, 2023).

La discussione nata dall'ampliamento delle possibilità previste dal Disegno di Legge n. 674, meglio noto come DDL Capitali, ha posto le basi per una riflessione sul futuro degli eventi assembleari e delle relative votazioni (Tombari, Intelligenza artificiale e corporate governance nelle società quotate, in Riv. Soc., 2021, 1431). Per ciò che rileva in questa sede, si va verso un ruolo sempre più centrale del rappresentante designato, sia per le assemblee in presenza con altri azionisti che per quelle in cui questa figura sarà l'unica ammessa, con i soci che gli attribuiranno deleghe e sub-deleghe.

Il rappresentante designato è un soggetto nominato dagli amministratori al quale i soci conferiscono delega a partecipare per loro conto all'assemblea trasmettendogli i propri orientamenti di voto, affinchè li rappresenti in sede assembleare e il cui ruolo è stato storicamente individuato per garantire agli azionisti delle società quotate la possibilità di essere rappresentati nell'assemblea dei soci, dando ad esso precise istruzioni di voto.

In seguito alla pandemia e al Decreto “Cura Italia” sopra citato, questo istituto è stato esteso anche alle banche popolari (non quotate), banche di credito cooperativo, società cooperative e società di mutua assicurazione. Nel 2020, la soluzione ha reso possibile lo svolgimento di assemblee chiamate ad approvare i bilanci dell'esercizio 2019: in tal modo, si evitavano gli assembramenti nelle assemblee, allora assolutamente vietati per ragioni sanitarie, con l'espediente della partecipazione all'assemblea di un solo soggetto, delegato da tutti i soci.

Ciò che è interessante rilevare è che l'11 aprile 2023 il Governo ha approvato un disegno di legge (DDL Capitali) la cui esplicita finalità è il “sostegno alla competitività dei capitali”.

Tale nuovo intervento normativo propone un'importante riforma dello svolgimento delle assemblee delle società quotate, prendendo atto che, nella maggior parte dei casi, si tratta di adunanze nelle quali più che assistere a un virtuoso scambio di opinioni tra i soci e tra essi e l'organo amministrativo, si assiste ad una sorta di “esibizione” di qualche partecipante che poco ha da dire.

Tra le varie modifiche proposte al Testo unico della Finanza, una riguarda l'introduzione dell'art. 135 undecies.1, il quale, se approvato, legittimerebbe in generale, per le società quotate, la possibilità che l'intervento in assemblea e l'esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente mediante il rappresentante designato dalla società. In altre parole, lo svolgimento dell'assemblea senza la partecipazione dei soci sperimentato nel regime emergenziale del Covid uscirebbe dalla eccezionalità per divenire una modalità “normale”.

Preme in questa sede fare qualche breve considerazione in vista della definitiva approvazione del DDL Capitali. Infatti, le evidenze empiriche possono giustificare l'utilizzazione esclusiva del rappresentante designato nelle società quotate, anche per i costi organizzativi particolarmente rilevanti delle riunioni assembleari che, come anticipato, offrono spesso un palcoscenico per interventi poco interessanti sui punti oggetto di discussione, se non addirittura di mero disturbo.

Ma la sua estensione a tutte le società, in particolare a quelle cooperative, richiede grande cautela e attenzione; infatti, nelle società cooperative il momento del confronto assembleare assume un rilievo fondamentale, per la natura stessa della società: l'assemblea cooperativa non può essere assimilata, se non con un approccio superficiale e fuorviante, al medesimo fenomeno delle società di capitali.

In primo luogo, nella cooperativa per effetto del voto capitario non esiste una maggioranza che preesiste all'assemblea, in grado di garantire stabilità degli assetti proprietari e della gestione.

Nello specifico, mentre il socio della società lucrativa ha un interesse solo indiretto al contenuto della gestione in concreto, essendo soprattutto interessato al suo risultato e alla remunerazione del capitale, il socio della società mutualistica è direttamente coinvolto nella gestione, mediante la sua partecipazione allo scambio mutualistico. Per esemplificare, la discussione assembleare relativa al bilancio della cooperativa non riguarda solo il risultato quantitativo della gestione, ma anche molti aspetti qualitativi, come la relazione prevista dall'art. 2545 c.c. sulle modalità di attuazione dello scopo mutualistico.

L'assemblea discute delle politiche di ammissione dei soci e cioè dell'allargamento o meno della base sociale, incidendo così direttamente sugli interessi di ogni socio. Pertanto, riesce difficile immaginare di poter affrontare questo tipo di decisioni con una votazione che prescinda dalla discussione assembleare e si limiti a un aprioristico voto favorevole o contrario, senza ascoltarsi mutualisticamente.

Se l'approccio all'assemblea seguito dal decreto Capitali venisse ammesso anche per le assemblee della società mutualistica, si correrebbe il rischio di eliminare la componente essenziale della sua specificità.

In definitiva, a parere di chi scrive, nello specifico caso delle società cooperative andrebbe proposto un paradigma diverso da quello di una forzata semplificazione: infatti, rimane fondamentale valorizzare la presenza dei soci all'interno dell'assemblea e la discussione tra questi e con gli amministratori, senza eliminare il momento del confronto che risulta necessario ai fini della ottimale gestione e del raggiungimento del fine mutualistico.

Osservazioni

L'Ordinanza oggetto del presente commento è da ritenersi integralmente condivisibile sotto entrambi i profili, processuale e sostanziale.

Sotto il primo aspetto, nel primo caso si tratta di un procedimento camerale sommario che va svolto innanzi al collegio ex artt. 737 ss. c.p.c., previa necessaria instaurazione del contraddittorio e che termina con decreto il quale prevede un provvedimento tipico reclamabile in appello.

Nel secondo caso, ci troviamo di fronte ad un procedimento cautelare da svolgersi innanzi al giudice monocratico, il quale termina con ordinanza che prevede un provvedimento atipico, reclamabile davanti al Tribunale in composizione collegiale.

Come ben sottolinea il giudice de quo, si tratta di due procedimenti che presentano evidenti difformità strutturali tali da non consentire il cumulo tra di essi, poiché ciò comporterebbe una sostanziale duplicazione dei processi aventi lo stesso oggetto e le stesse parti e che si svolgerebbero parallelamente secondo riti diversi. Né è possibile prospettare l'alternatività in quanto si attribuirebbe al giudice, soggetto non legittimato, di valutare quale dei due procedimenti dovrebbe in concreto svolgersi; inoltre così facendo, verrebbe leso il diritto di difesa della parte resistente, non consentendole di conoscere in modo sufficientemente preciso secondo quali regole procedimentali tale suo diritto vada esercitato.

Con riferimento, invece, al secondo profilo di diritto societario sostanziale, preso in esame dal Tribunale di Milano e che, ai fini di tale commento, interessa maggiormente, il giudice effettua una interessante ricostruzione in merito alle modalità di svolgimento di assemblea tramite la figura del rappresentante designato.

Dopo aver definito brevemente gli elementi che caratterizzano tale peculiare procedimento assembleare, chiarisce che esso è incompatibile con l'esercizio ordinario di alcuni diritti tipici degli azionisti, tra cui il diritto di presentare direttamente in assemblea ulteriori proposte di delibera su argomenti già all'ordine del giorno; diritto la cui lesione viene contestata dalla ricorrente.

Prendendo atto del vuoto normativo esistente al riguardo e seguendo le indicazioni di cui alla Comunicazione Consob n. 3/2020 del 10 aprile 2020, il giudice ritiene opportuno assumere come punto di riferimento, per individuare il termine entro il quale esercitare il diritto in questione, la disposizione di cui all'art. 126 bis, comma 2, TUF, secondo la quale delle proposte dei soci di minoranza qualificata deve essere data notizia almeno 15 giorni prima di quello stabilito per l'assemblea.

Tale norma offre una soluzione adeguata a soddisfare i diversi interessi in gioco e garantisce effettivamente la parità di trattamento dei soci.

Ai fini di una maggiore completezza, sempre con riferimento alla questione che qui ci interessa e richiamando il DDL Capitali già citato, quest'ultimo dispone che i soci non possono presentare proposte di deliberazione nel corso dell'assemblea, ma che possono individualmente presentarle entro il quindicesimo giorno precedente la data della prima o dell'unica convocazione dell'assemblea, fermo restando che i soci i quali rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro il termine di dieci o cinque giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea, l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare.

Per quanto riguarda il tema del diritto di porre domande in assemblea, la normativa vigente viene innovata disponendo che questo diritto può essere esercitato dall'assemblea e che la società deve fornire risposte almeno tre giorni prima della riunione assembleare.

Infine, per concludere sul punto, è disposto che le proposte di deliberazione individualmente presentate dai soci debbano essere messe a disposizione del pubblico sul sito internet della società entro i due giorni successivi alla scadenza del termine per presentare dette proposte.

Conclusioni

In considerazione di quanto sopra esposto, non sembra contestabile il principio affermato nella pronuncia in commento e che può certamente rappresentare una risposta al mancato intervento regolatorio da parte del legislatore. Infatti, la soluzione prospettata, che rinviene il termine per la presentazione in assemblea di proposte ulteriori di delibera da parte del socio nella disposizione di cui all'art. 126 bis comma 2, si rivela soddisfacente in quanto realizza un adeguato bilanciamento delle diverse esigenze da tutelare.

A differenza della record date, termine indicato dalla ricorrente ma mai utilizzato dal legislatore per individuare quello per la richiesta di proposte ulteriori di delibere da parte dei soci, il termine individuato nell'art. 126 bis, comma 2, TUF è in grado di garantire pienamente la parità di trattamento dei soci, nel rispetto del principio di buona fede.

Sarà poi necessario verificare in definitiva se e con quale modalità la riforma apportata dal DDL Capitali o ulteriori future riforme incideranno su questo argomento.

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