La “messa a disposizione” di una postazione non integra il valore aggiunto ai fini IRAP
13 Settembre 2023
Il caso Un promotore finanziario presentava all'Agenzia delle Entrate un'istanza finalizzata ad ottenere il rimborso dell'Irap versata (e asserita come non dovuta) negli anni di imposta dal 2015 al 2017. Impugnava, quindi, il silenzio-rifiuto serbato dall'Amministrazione descrivendo nel ricorso il proprio modus operandi teso a rendere evidente l'assenza di "autonoma organizzazione" e riassumendo in una tabella il valore (per i tre anni) della produzione lorda, degli ammortamenti per beni materiali e immateriali, nonché il costo del personale dipendente nonché l'assenza di canoni finanziari per beni mobili. Evidenziava l'infimo valore dei beni materiali e immateriali utilizzati, il modestissimo costo sostenuto per una persona impiegata part-time e al solo fine di svolgere attività di segreteria (soggetto, quindi, non idoneo a incrementare la produzione del reddito). Aggiungeva, inoltre, che svolgeva la professione sia presso la propria abitazione che presso gli uffici messi a disposizione dalla società mandante. L'Ufficio si costituiva in giudizio e richiamava la circolare n. 28/2010 per rammentare che l'imposta è dovuta solo qualora gli agenti e i promotori finanziari si avvalgano di un'organizzazione autonoma.
Ricordava, altresì, l'orientamento consolidato della Suprema Corte nel definire i requisiti dell'autonoma organizzazione, che sussisterebbe tutte le volte in cui il contribuente che svolge attività di lavoro autonomo sia il responsabile dell'organizzazione (e quindi non inserito in strutture organizzative altrui), impieghi beni strumentali eccedenti la quantità necessaria per l'esercizio della propria attività, che si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; essendo sufficiente che ricorra anche uno solo di questi requisiti affinché il contribuente sia soggetto all'imposta. Nel caso di specie, per l'Ufficio, era sufficiente il valore dei cespiti utilizzati per decretarne l'imponibilità Irap: il contribuente, difatti, utilizzava un'autovettura dal valore commerciale non minimale, parimenti per gli arredi; elementi questi che, secondo la tesi erariale, configuravano l'esistenza di un'autonoma organizzazione. Peraltro, l'Agenzia aveva rilevato l'assunzione di una dipendente (per la quale non vi sarebbero stati elementi per accertare le mansioni svolte) oltreché, dall'analisi della dichiarazione dei redditi, due collaboratori autonomi e due collaboratori familiari. I giudici di prime cure decidevano per il diritto del ricorrente al rimborso considerando insufficienti i parametri assunti dall'Ufficio, con particolare riferimento al valore degli investimenti in immobilizzazioni materiali, per individuare la sussistenza di un'autonoma organizzazione.
La conferma del diritto al rimborso I giudici “del riesame” propendono per la conferma della sentenza con ulteriori argomentazioni. La Corte di Giustizia Tributaria ha osservato come l'attività di consulente finanziario, in presenza di una collaboratrice a tempo parziale e con utilizzazione di contenuti beni strumentali, debba ritenersi imprescindibilmente legata alla persona della titolare e deve pertanto escludersi la sussistenza di una struttura organizzativa esterna suscettibile di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività personale esercitata attraverso gli strumenti indispensabili e necessari per l'attività medesima. Viene sul punto condivisa la valutazione dei primi giudici in merito sia al valore non eccessivo degli investimenti in immobilizzazioni materiali (trattandosi di veicolo di medie dimensioni, comunque coerente con l'attività di consulente finanziario), sia all'investimento in arredi (pari ad euro diecimila) nella norma nonché alla presenza di una dipendente a tempo parziale di limitato livello operativo stante il modesto compenso percepito.
I giudici milanesi, in relazione alla circostanza che il ricorrente esercitasse l'attività professionale sia nell'ambito della propria abitazione sia utilizzando una postazione messagli a disposizione della società mandante (canone di circa seimila euro annui) per i contatti con la clientela, hanno ritenuto che non potesse ritenersi «elemento di valore aggiuntivo non risultando, nell'ambito della postazione, un apporto di soggetti terzi, al di là della dipendente a tempo parziale di cui si è detto, o di beni idonei a determinare un incremento significativo». Con riferimento, poi, all'entità dei costi evidenziati dall'Ufficio, il Collegio ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità alla stregua del quale "In tema di IRAP l'elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione" (Cass. n. 8728/2018). Alla luce di tale principio, i giudici tributari ambrosiani hanno evidenziato come le indicazioni emergenti dai conti economici prodotti in giudizio risultassero coerenti con la consistente misura della produzione e stante la loro natura (es: costi per le utenze, per il veicolo, per assicurazione, di viaggio, di rappresentanza quali omaggio, ecc.) compatibili con quelle rientranti nella normalità per la tipologia di attività esercitata e comunque non tali ad accrescere l'attività professionale.
La novella Giova ricordare che l'Irap, in virtù dell'art. 1, c. 8, Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024) non è più dovuta, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 1° gennaio 2022, per le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni. Il ministero dell'Economia e delle Finanze, con la risposta ad un'interrogazione parlamentare (n. 5-07710 del 16 marzo 2022) ha ribadito l'irretroattività della novella de qua. |