La responsabilità da danno da cosa in custodia ha carattere oggettivo e non presunto
18 Settembre 2023
Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria per danno cagionato da cose in custodia proposta da un motociclista in relazione a una caduta avvenuta per una buca sull'asfalto stradale e condannava il Comune a risarcire all'attore il danno non patrimoniale (per lesioni fisiche e spese mediche) e patrimoniale (per danni al motociclo). La Corte d'appello, ritenuto che il motociclista avesse tenuto una condotta imprudente tale da integrare il caso fortuito, accoglieva il gravame proposto dal Comune. Contro tale sentenza, il soccombente ha proposto ricorso per Cassazione.
Il ricorso ha costituito l'occasione per consentire alla Corte di affermare alcuni principi di massima in una materia particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici. La Sezione, dopo aver richiamato propri precedenti giurisprudenziali - nn. 2477-2483/2018 - ricorda che le Sezioni Unite hanno ribadito che «La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode» - Cass. Civ., Sez. Un., 30 giugno 2022 n. 20943. Ne deriva che il fondamento della responsabilità del custode riposa su elementi di fatto individuati tanto in positivo, quanto in negativo. La prova liberatoria del caso fortuito integra un fatto giuridico che si colloca in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza l'interposizione di alcun elemento soggettivo, laddove la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atti giuridici caratterizzati dalla colpa (art. 1227 comma 1 c.c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente, intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile da parte del custode. Sia il fatto (fortuito) che l'atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l'evento di danno alla luce del principio disciplinato dall'art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l'efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell'ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto in quella di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe.
Ne deriva che il dato normativo va applicato governando la costruzione funzionale dell'illecito raccordandola con la modulazione dei rimedi conseguenti, tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva) e con la consapevolezza che essendo il giudizio causale utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità. La capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose non integra elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto seguendo il canone interpretativo della ratio legis, come strumento di spiegazione di «un effetto giuridico che sta a prescindere da essi». In conclusione, ritenuti i motivi inammissibili, il ricorso è stato rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
(Fonte: Diritto e Giustizia) |