Appalti labour intensive: il mero coordinamento del personale dell'appaltatore non configura interposizione fittizia di manodopera

Paolo Laguzzi
20 Settembre 2023

Il Tribunale di Roma specifica come accertare i requisiti di genuinità dell'appalto previsti dal legislatore del 2003 (d.lgs. n. 276/2003, art.29) nell'appalto endoaziendale caratterizzato dalla prevalenza della prestazione lavorativa. In particolare, con riferimento alle mansioni di collaudatore dei servizi digitali per la clientela appaltati presso una grande azienda energetica, vengono nel dettaglio scrutinate le modalità con cui il potere organizzativo e direttivo è esercitato dall'appaltatore.
Massima

In ipotesi di appalto dei servizi digitali, lo svolgimento da parte di un dipendente dell'impresa appaltatrice delle mansioni di referente dell'attività di collaudo non configura intermediazione vietata laddove, pur in presenza di disposizioni impartite dal personale dell'appaltante, le stesse non siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro ma rientrino nel mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto che non incide sull'autonomia del rapporto di appalto.

Il caso

Tizio lavora per alcuni anni quale collaudatore tecnico alle dipendenze dell'impresa Alfa, appaltatrice dei servizi digitali offerti on line alla clientela dalla società Beta operante a livello nazionale nella distribuzione di energia elettrica e gas.

Interrottosi il rapporto, Tizio ricorre al giudice del lavoro sostenendo la non genuinità ergo l'illiceità dell'appalto.

In particolare, egli deduce che l'impresa intermediaria Alfa, in verità, sarebbe stata del tutto estranea alla concreta attività di direzione ed organizzazione della sua prestazione lavorativa avendo essa unicamente, al pari di un'agenzia di somministrazione, conferito forza lavoro alla committente Beta senza assunzione di alcun rischio di impresa.

Il ricorrente Tizio chiede pertanto accertarsi e dichiararsi, ai sensi dell'art. 29, comma 3 bis, d.lgs. n. 276/2003, l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dirette dipendenze della committente Beta, soggetto effettivo organizzatore ed utilizzatore della sua prestazione lavorativa, con le relative differenze retributive e con il ripristino del rapporto stesso non essendo intervenuto alcun atto idoneo a risolverlo.

La convenuta azienda Beta, costituendosi in giudizio, preliminarmente eccepisce l'intervenuta decadenza della controparte dall'azione giudiziale per inutile decorso del duplice termine allo scopo previsto dall'art. 32, comma 4, lett. d), legge n. 183/2010 in relazione, tra le altre, all'ipotesi di interposizione fittizia di manodopera ed appalto illecito; nel merito, l'azienda afferma l'assoluta genuinità dell'appalto riguardante le attività di collaudo dei propri servizi digitali a disposizione della clientela chiedendo per conseguenza l'integrale reiezione del ricorso avversario.

Il Tribunale provvede ad istruire la causa con l'acquisizione dei documenti e della prova testimoniale rispettivamente offerti dalle parti, decidendo infine all'esito la controversia.

La questione

Nel diritto civile, l'appalto è istituto disciplinato dagli artt. 1655 e ss. c.c.

Viene definito come il contratto con il quale un soggetto imprenditore (appaltatore), con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, assume l'obbligazione di compiere in favore di altro soggetto (committente o appaltante) un'opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro.

In ambito lavoristico, ed in particolare nel settore dei cc.dd. appalti leggeri o labour intensive caratterizzati cioè dalla prevalenza dell'apporto di manodopera su quello dell'impiego di beni strumentali e di capitali, l'esame della fattispecie impone, in prima battuta, la verifica della “genuinità” del singolo affidamento: vale a dire, la sussistenza nel caso specifico dei requisiti essenziali dell'istituto, individuati nell'autonomia organizzativa e nel rischio d'impresa in capo all'appaltatore.

Altrimenti, dovrà ritenersi la presenza della diversa figura dell'interposizione illecita di manodopera, quale forma irregolare di somministrazione di lavoro.

L'art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, richiamando preliminarmente in proposito la citata definizione civilistica, prevede che il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto; nonché per l'assunzione, da parte dello stesso appaltatore, del rischio d'impresa.

La sanzione per l'appalto non genuino, poi, è stabilita dal comma 3-bis del medesimo art. 29: il lavoratore interessato può chiedere al giudice la costituzione, con efficacia retroattiva, di un rapporto di lavoro alle dipendenze all'utilizzatore della prestazione lavorativa, convenendo in giudizio anche soltanto quest'ultimo.

Trattasi dunque di annullabilità relativa del contratto, rimessa all'iniziativa del lavoratore.

Ai sensi dell'art. 32, comma 4, lett. d) legge n. 183/2010, l'azione richiede che l'impugnazione stragiudiziale intervenga nel termine di decadenza di sessanta giorni, con successivo necessario deposito del ricorso avanti il giudice entro ulteriori centottanta giorni.

Tali successivi termini di decadenza, stando ai più recenti arresti giurisprudenziali, decorrono dalla data in cui intervenga un “atto” o “provvedimento” dell'utilizzatore della prestazione, in forma scritta o atto equipollente, con il quale lo stesso neghi la titolarità del rapporto (Cass. 17 dicembre 2021, n. 40652; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30490).

Più in generale, nell'esporre i criteri a cui sottoporre il sindacato sulla genuinità dell'appalto, la giurisprudenza ammette che pure nell'appalto endoaziendale, nel quale come detto prevale la componente lavoro, ben può il rapporto ritenersi lecito quand'anche in concreto si riscontri l'utilizzo di strumenti di proprietà del committente e le disposizioni attinenti alla mansione lavorativa risultino, parzialmente, impartite dall'appaltante in via diretta agli ausiliari dell'appaltatore.

Finanche la predeterminazione delle modalità esecutive, ad esempio descritte nel capitolato, può rispondere all'esigenza di adeguare la prestazione alle caratteristiche tecniche del servizio appaltato, senza incidere sull'autonomia dell'appaltatore nella gestione del rapporto di lavoro e nell'esercizio del potere disciplinare.

Quanto sopra purché l'appaltatore stesso, autonomamente strutturato in forma d'impresa, eserciti comunque, in via esclusiva, il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori, così integrando il requisito dell'organizzazione dei mezzi necessari per eseguire l'appalto (Cass. n.17627/2023; Cass. n. 12551/2020; Cass. n.12807/2020; Cass. n.15557/2019; Cass. n.11720/2009).

All'opposto, ricorre la somministrazione irregolare quando il committente organizza e dirige i dipendenti dell'appaltatore e, a quest'ultimo, rimangono soltanto compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa né l'affidamento contrattuale di un risultato in sé autonomo da conseguire (Cass. n. 4828/2023; Cass. n. 3768/2022; Cass. n. 12807/2020; Cass. n. 16788/2006).

Tale soluzione interpretativa viene giustificata precisandosi come dalle citate disposizioni di legge possa desumersi il principio secondo il quale al fine della liceità dell'appalto di opere o di servizi sia necessaria la sussistenza dei due requisiti costitutivi del contratto: rappresentati, da una parte, dall'organizzazione autonoma e dal rischio d'impresa (necessari per l'esistenza dell'impresa appaltatrice e dell'azienda committente a monte) e, dall'altra, dell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto (indispensabili per l'individuazione del datore di lavoro).

Sia l'art. 1655 c.c. che l'art. 29 d.lgs. n. 276/2003, infatti, individuano come primario connotato del contratto d'appalto l'assunzione del rischio d'impresa in capo all'affidatario dell'opera o del servizio.

Inoltre, la specificità della disposizione lavoristica (l'art. 29 cit.), che ha peraltro sostanzialmente ribadito il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro già previsto dalla legge n. 1369/1960, risiede nell'avere precisato che l'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore possa derivare anche dall'esercizio, diversamente modulato a seconda delle esigenze e peculiarità delle attività appaltate, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati.

In altre parole, al fine di adeguare la portata del divieto alle crescenti esigenze di terziarizzazione delle aziende, a loro volta correlate alla concentrazione dell'attività delle stesse sul c.d. core business, si è voluto che gli appalti caratterizzati da un'alta intensità di manodopera non venissero, di per sé, considerati fittizi in ragione della loro peculiare modalità esecutiva e del fatto che, quasi sempre, essi vengono eseguiti all'interno dei locali del soggetto committente.

Soltanto la mancanza di uno dei due elementi legittimanti l'appalto, ovverosia l'assunzione del rischio d'impresa e l'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori, genera il risultato vietato dalla legge, cioè la mera messa a disposizione di prestazioni lavorative da parte dello pseudo appaltatore in favore del committente; ipotesi, questa, configurante in realtà una somministrazione di personale illecita perché non autorizzata e controllata dallo Stato.

In via esemplificativa, la predetta duplicità dei requisiti costitutivi fa sì che, accertata per un verso l'estraneità dell'appaltatore all'organizzazione e direzione dei lavoratori impiegati nell'esecuzione dell'appalto, a nulla rileva il concorrente fatto che l'incaricato stesso sia effettivamente configurato quale impresa operante sul mercato, posto che nel caso concreto la prestazione risulta comunque diretta e organizzata dal solo committente.

Al contrario, pure la mancanza in radice di organizzazione imprenditoriale in capo all'affidatario fa venir meno l'appalto, stante l'inidoneità del concreto incarico a realizzare gli scopi tipici del modello contrattuale.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Roma con la pronuncia in commento (n. 6939 dell'11 luglio 2023) affronta, in un contesto di servizi aziendali esternalizzati, di natura tecnico informatica, la descritta questione della distinzione del contratto d'appalto dal contratto di somministrazione di manodopera.

Ciò al fine di accertare se il rapporto del lavoratore ricorrente, nella sua effettiva esecuzione, abbia mantenuto i caratteri di un appalto lecito, come formalmente assunto dal datore di lavoro, o si sia invece tradotto in una mera fornitura di prestazioni lavorative da parte dell'apparente appaltatore a favore della società committente.

Quest'ultima è l'unica parte convenuta del processo e, costituitasi in giudizio, resiste alla domanda attorea.

Su eccezione della stessa resistente, il giudice del lavoro preliminarmente verifica l'avvenuto rispetto dei termini di decadenza fissati dall'art. 32 legge n. 183/2010.

Il giudice ritiene in proposito che, trattandosi di azione ex art. 29, comma 3-bis, d.lgs. n. 276/2003 (con cui il lavoratore chiede la costituzione di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto), effettivamente la fattispecie sia soggetta al doppio termine di decadenza (impugnazione stragiudiziale entro sessanta giorni; conferma della sua efficacia tramite deposito del ricorso giudiziale entro il successivo termine di centottanta giorni) previsto dall'art. 32, comma 4, lett. d), legge n.183/2010.

Tale termine di decadenza, tuttavia, nel caso di specie non ha potuto decorrere.

Richiamando in proposito la più recente giurisprudenza della S.C. (cfr. Cass. n. 40652/2021; Cass n. 22825/2015; Cass. n. 523/2019), il Tribunale ribadisce infatti il principio secondo il quale fino a quando il lavoratore non riceva un provvedimento in forma scritta o equipollente che neghi la titolarità del rapporto non può decorrere alcun termine decadenziale ai sensi della citata legge n.183/2010, atteso che il profilo impugnatorio del lavoratore ad iniziativa funge da decisivo discrimine della relativa disciplina.

Il Tribunale respinge pertanto l'eccezione preliminare di decadenza proposta dalla società resistente, essendo mancato qualsiasi atto scritto di espulsione comminato verso il lavoratore ricorrente.

Nel merito, invece, le difese della società trovano pieno accoglimento.

In particolare, osserva il Tribunale, avendo la riforma attuata con il d.lgs. n.276/2003 eliminato la presunzione del carattere meramente interpositorio del contratto di appalto nelle situazioni in cui “l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante” (così recitava l'abrogato art. 1, comma 3, legge n.1369/1960), l'esercizio diretto da parte dell'appaltatore del potere organizzativo e direttivo sul proprio personale risulta oggi essere soltanto un elemento sintomatico dell'esistenza di un'organizzazione di mezzi propri e, quindi, della genuinità dell'appalto.

Con la formulazione dell'art. 29, comma 1, del D. Lgs., precisa il giudice, il legislatore ha infatti chiarito che l'esercizio di tale potere direttivo da parte dell'appaltatore avviene “in relazione all'esigenze dell'opera e del servizio dedotti in contratto”, in tal modo legittimando in capo all'appaltante l'esercizio di un concomitante potere di direzione e coordinamento nei confronti dei lavoratori impiegati nell'appalto per far sì che quest'ultimo soddisfi le specifiche esigenze in relazione alle quali è stato stipulato.

Il Tribunale richiama in proposito alcune pronunce della S.C. (Cass. n. 12201/2011; Cass. n. 9139/2018; a cui adde Cass. n. 15557/2019; Cass. n. 5265/2019) le quali ritengono necessario, con riferimento al caso in cui il personale dell'impresa appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, verificare ai fini della configurabilità o meno di un appalto fraudolento se tali disposizioni siano riconducibili al potere direttivo del formale datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato delle stesse prestazioni il quale può invece formare oggetto di un genuino contratto di appalto.

In definitiva, conclude nell'occasione il Tribunale, non essendo in tale contesto necessario giungere ad una condizione di assoluta incomunicabilità fra impresa committente e lavoratori dell'appaltatrice deve ritenersi che non incidono sull'autonomia del rapporto di appalto l'inserimento della prestazione lavorativa nel ciclo produttivo della committente, con la relativa necessità di coordinamento per la confezione del prodotto (Cass. n. 12664/2003); né gli scambi di informazioni e notizie e, più in generale, le forme di collaborazione tra i lavoratori nella soluzione di problemi pratici.

Quanto alla specifica valutazione del materiale probatorio, lo stesso giudice si convince, soprattutto sulla scorta delle deposizioni testimoniali assunte in causa, della particolare posizione di “referente” per il collaudo dei servizi digitali in concreto ricoperta dal ricorrente nel corso del suo rapporto di lavoro, come interfaccia tra l'attività dell'impresa committente e quella dell'appaltatrice.

Delineandosi così la fattispecie del preposto, figura tipica dell'appalto endoaziendale che, con funzione di coordinamento, sovrintende per conto dell'appaltatore alle prestazioni dei lavoratori onde garantire l'attuazione delle direttive dell'appaltante sul servizio contrattualizzato e sui risultati attesi.

Il ricorso viene pertanto nel caso di specie rigettato, con condanna del lavoratore ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

Osservazioni

Nella decisione esaminata, il Tribunale di Roma richiama ed applica principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Viene in particolare ribadito che, al fine di accertare la reale sussistenza di intermediazione illecita di prestazioni lavorative, nell'appalto, ed in specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. "labour intensive"), vanno anzitutto verificate le concrete modalità di esercizio del potere direttivo ed organizzativo da parte dell'appaltatore nei confronti dei propri dipendenti, quale segno del requisito dell'organizzazione dei mezzi previsto in capo al soggetto medesimo dall'art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003.

Più nel dettaglio, nel criticare le contrarie considerazioni svolte dal lavoratore ricorrente, il Tribunale ritiene che le disposizioni a questi impartite dal personale dell'appaltante non sono state da sole sufficienti a configurare l'esercizio del potere direttivo ed organizzativo che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato, avendo esse invece rappresentato un necessario strumento di coordinamento e di scambio delle informazioni e delle notizie nel contesto produttivo, in breve, una forma di collaborazione tra i soggetti contraenti dell'appalto finalizzata all'ottenimento del risultato delle prestazioni lavorative.

Ed in effetti, sul piano sistematico, osserviamo che le istruzioni e le direttive del committente rappresentano elementi naturali del contratto in questione: ad esempio, per quanto previsto dall'art. 1661, comma 1, c.c. (in tema di variazioni al progetto ordinate dal committente) e dall'art. 1662, commi 1 e 2, c.c. (sulla verifica dello svolgimento dei lavori).

Ciò che, ai dedotti fini lavoristici, principalmente rileva è dunque verificare se le direttive del committente siano inerenti alle concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative o, invece, al solo risultato di quelle prestazioni in modo tale da assicurare l'adattamento dell'attività rispetto ai tempi e alle modalità tecniche di esecuzione dell'opera o del servizio legittimamente predeterminate dal committente (cfr., tra le tante, Cass. 22 febbraio 2019, n. 5265).

Negli appalti endoaziendali, infatti, l'esecuzione del programma contrattuale che l'appaltatore si è impegnato a realizzare necessariamente comporta il coordinamento con la struttura industriale del committente e, quindi, il collegamento funzionale dell'attività dei dipendenti addetti all'esecuzione del servizio con il know how, la tecnologia e l'organizzazione del lavoro presenti nel contesto produttivo del committente stesso.

La questione è semmai costituita dall'accertare, caso per caso, se l'etero organizzazione da parte del committente dei mezzi necessari all'appaltatore per l'esecuzione del contratto, entro certi limiti legittima e necessaria, sia trascesa sino a doversi reputare che l'affidamento, se pur formalmente nominato come appalto, deve comunque essere qualificato alla stregua della somministrazione irregolare.

Concludendo, infine, esprimiamo giudizio d'opinabilità in merito ad alcune considerazioni svolte, peraltro quali obiter dicta,nella pronuncia in commetto.

In particolare, il Tribunale, nell'inquadrare preliminarmente il fenomeno, attribuisce alla riforma di cui al d.lgs. n. 276/2003, ed in particolare all'avvenuta abrogazione tramite essa della previgente presunzione legale del carattere interpositorio del contratto di appalto (art. 1 legge n. 1369/1960), una portata assolutamente innovativa in realtà insussistente.

Il giudice giunge invero a sostenere che, nel nuovo regime, l'esercizio del potere direttivo da parte dell'appaltatore nei confronti del personale impiegato nell'appalto sarebbe divenuto “meramente eventuale”, in quanto semplice “elemento sintomatico” dell'esistenza di un'organizzazione di mezzi propri.

L'assunto viene giustificato evidenziandoso il dato testuale della nuova disposizione: l'art. 29, comma 1, D. Lgs. cit. avrebbe precisato che l'esercizio di tale potere deve valutarsi “in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto”.

Tale considerazione conduce alla lapidaria affermazione del giudicante che, nell'attuale contesto normativo, se l'appaltatore, per la natura e la tipologia dell'appalto, di fatto non esercita un vero potere direttivo nei confronti dei propri dipendenti, ciò non implicherebbe affatto che si sia in presenza di un appalto illecito.

Non condividiamo l'opinione.

A ben vedere, il legislatore con il predetto inciso normativo si è limitato a codificare l'idea già elaborata dalla giurisprudenza secondo cui vi è impresa e vi è appalto genuino in presenza della reale organizzazione del lavoro senza necessità di impiego di particolari mezzi organizzativi, come appunto avviene nel caso di appalti labour intensive.

Ne discende debba, oggi come in precedenza, individuarsi la fattispecie interpositoria nell'evenienza in cui l'appaltatore, nell'ambito di qualsivoglia tipologia d'appalto, non eserciti il proprio potere direttivo ed organizzativo verso i propri dipendenti.

Chiara, in proposito, è ancora una volta l'opinione della S.C.

Nella recente pronuncia n. 17627del 20 giugno 2023 la Corte di Cassazione, infatti, espressamente ribadisce che anche dopo la abrogazione della l. n. 1369/1960 ai fini della liceità dell'appalto di opere o di servizi è necessaria la sussistenza, in capo all'appaltatore, di entrambi i requisiti costitutivi del contratto: l'organizzazione di impresa e la direzione autonoma del personale.

Per l'individuazione di un appalto lecito, anche endoaziendale ed alta intensità di manodopera, il giudice deve quindi procedere ad un accertamento complesso mirato alla verifica di entrambi i requisiti indicati. Mentre, per converso, la mancanza anche di uno soltanto di uno dei due elementi genera il risultato vietato dalla legge.

Quello che permane in materia, sintetizza la S.C., è un divieto (sanzionato a livello civile, penale ed amministrativo) che concerne la fattispecie oggettiva dell'interposizione di manodopera e non la tipologia soggettiva di chi finisce per realizzarla.

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