Le modalità di comunicazione della dichiarazione del terzo pignorato sono tassative

21 Settembre 2023

La Corte di cassazione è stata investita della questione relativa alle modalità con le quali il terzo pignorato deve effettuare la dichiarazione prescritta dall'art. 547 c.p.c. In particolare, i giudici di legittimità si sono dovuti pronunciare sulla tassatività o meno dei mezzi di trasmissione (lettera raccomandata e posta elettronica certificata).
Massima

La dichiarazione resa dal terzo pignorato ex art. 547 c.p.c. (nel testo modificato dal d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, in l. n. 162/2014) dev'essere resa al creditore pignorante con comunicazione formale – cioè a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata – avendo la funzione, se positiva, di individuare il bene o il credito del debitore esecutato che forma oggetto dell'azione esecutiva; ne consegue che detta dichiarazione, qualora effettuata con mezzi diversi da quelli prescritti e inidonei a dimostrare immediatamente e incontestabilmente la sua esistenza e il suo contenuto, è da considerarsi tamquam non esset, dovendosi pertanto procedere, ai sensi dell'art. 548, comma 2, c.p.c., alla fissazione di apposita udienza, in esito alla quale, in mancanza di dichiarazione del terzo e alle ulteriori condizioni indicate dalla citata norma, il credito pignorato si ha per non contestato secondo il meccanismo della ficta confessio.

Il caso

All'esito di un'espropriazione mobiliare presso terzi, il giudice dell'esecuzione assegnava al creditore procedente il credito che l'esecutato vantava nei confronti di una banca, ritenendo che quest'ultima non avesse validamente rilasciato la dichiarazione di quantità prevista dall'art. 547 c.p.c. (in quanto inviata a mezzo telefax) e che dovesse operare il meccanismo della ficta confessio di cui al successivo art. 548 c.p.c., dal momento che il terzo pignorato non era comparso all'udienza che era stata fissata proprio in quanto era emerso che non aveva ritualmente trasmesso la propria dichiarazione.

L'ordinanza di assegnazione, impugnata con opposizione ex art. 617 c.p.c. dalla banca, veniva revocata dal Tribunale di Larino, secondo cui la dichiarazione del terzo pignorato, sebbene inviata con un mezzo di comunicazione diverso da quelli espressamente previsti dalla legge, era stata comunque ricevuta dal destinatario, con la conseguenza che non poteva farsi applicazione dell'art. 548 c.p.c.

La sentenza di accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi veniva impugnata dal creditore procedente con ricorso per cassazione.

La questione

La Corte di cassazione è stata investita della questione relativa alle modalità con le quali il terzo pignorato deve effettuare la dichiarazione prescritta dall'art. 547 c.p.c.

In particolare, i giudici di legittimità si sono dovuti pronunciare sulla tassatività o meno dei mezzi di trasmissione (lettera raccomandata e posta elettronica certificata) indicati dalla norma e sulle conseguenze derivanti dall'adozione di uno diverso.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del creditore procedente e, decidendo nel merito, ha rigettato l'opposizione agli atti esecutivi proposta dalla banca.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) la dichiarazione che il terzo pignorato deve rendere ai sensi dell'art. 547 c.p.c. ha la funzione di individuare la cosa oggetto di pignoramento e ha natura formale, in quanto è idonea a concentrare l'azione esecutiva sul bene o sul credito di spettanza del debitore esecutato, conducendo alla sua assegnazione in favore del creditore procedente; 2) per questo motivo, stabilendo che essa dev'essere comunicata a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata, il legislatore ha individuato delle modalità che debbono essere esattamente osservate dal terzo pignorato; 3) di conseguenza, quando sia stata effettuata con modalità diverse, la dichiarazione va considerata tamquam non esset; 4) in tale caso, il giudice dell'esecuzione deve fissare, ai sensi dell'art. 548, comma 2, c.p.c., un'udienza affinché il terzo compaia per rendere davanti a lui la dichiarazione, in assenza della quale opererà il meccanismo della ficta confessio previsto dalla norma.

Osservazioni

L'espropriazione mobiliare presso terzi si caratterizza per il fatto che il bene aggredito esecutivamente non è nella diretta e immediata disponibilità del debitore, bensì di un terzo, sia che si tratti di una cosa di cui quest'ultimo ha la detenzione o il possesso, sia che si tratti di un credito che l'esecutato vanta nei suoi confronti e che, nel momento in cui viene notificato l'atto di pignoramento, non è ancora stato riscosso.

Per questo motivo, il pignoramento presso terzi è, per così dire, una fattispecie a formazione progressiva, visto che, una volta che il creditore abbia indicato (anche in termini generici) la cosa o il credito che intende sottoporre a espropriazione forzata, occorre la cooperazione e la collaborazione del terzo, chiamato a rendere una dichiarazione volta a specificare di quali cose di proprietà dell'esecutato è in possesso (e quando ne deve effettuare la consegna), ovvero di quali somme è debitore nei confronti dell'esecutato (e quando ne deve eseguire il pagamento).

Questa dichiarazione – alla cui eventuale mancanza si sopperisce mediante il meccanismo di ficta confessio delineato dall'art. 548 c.p.c. (a condizione che l'atto di pignoramento contenga una descrizione sufficientemente precisa del credito o dei beni di appartenenza del debitore, tale da consentirne comunque l'identificazione), oppure dando corso a un accertamento endoesecutivo come previsto dall'art. 549 c.p.c. – dev'essere resa dal terzo personalmente, ovvero da un suo procuratore speciale o dal suo difensore munito di procura speciale, direttamente al creditore procedente a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata, oppure davanti al giudice dell'esecuzione, in un'udienza da questi appositamente fissata quando il creditore abbia dichiarato di non avere ricevuto alcuna comunicazione dal terzo.

L'ordinanza che si annota si occupa proprio di questo aspetto, ossia delle modalità che debbono essere adottate per rendere la dichiarazione prescritta dall'art. 547 c.p.c. e delle conseguenze che derivano dalla loro mancata osservanza.

Posto che, secondo la prevalente giurisprudenza, la dichiarazione del terzo può assimilarsi alla confessione e ha, come detto, la funzione di definire l'oggetto dell'espropriazione forzata, dando concretezza all'indicazione (tendenzialmente generica) del bene fornita dal creditore nell'atto di pignoramento, va sottolineato, innanzitutto, che essa può essere validamente resa solo da uno dei soggetti legittimati a termini dell'art. 547 c.p.c., cioè dalla parte personalmente, da un procuratore speciale (investito del relativo potere mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata) o da un difensore munito di procura speciale. La dichiarazione resa da un soggetto non legittimato è inefficace e non può essere ratificata, perché si tratta di un atto non negoziale, ma processuale, al quale, provenendo da chi non è parte del processo esecutivo, non sono applicabili neppure le disposizioni dettate dagli artt. 75, 77 e 182 c.p.c.

Tuttavia, sulla base di quanto affermato nel provvedimento oggetto della presente nota, la dichiarazione, sebbene resa da chi vi sia legittimato, è da considerarsi invalida e tamquam non esset qualora sia stata trasmessa con una modalità diversa da quelle previste dal legislatore.

Infatti, visto che ha la funzione di individuare la cosa oggetto del pignoramento, ossia la prestazione che il terzo deve eseguire in favore del debitore esecutato, la dichiarazione in questione assume una valenza formale e, come tale, deve rispettare le forme prescritte dalla legge.

In altre parole, il terzo deve attenersi scrupolosamente alle previsioni contenute nell'art. 547 c.p.c. e, così, osservare esattamente le modalità ivi stabilite per la trasmissione della dichiarazione, che debbono reputarsi non surrogabili con altre, quand'anche astrattamente idonee ad assicurare la certezza della ricezione della dichiarazione.

Da questo punto di vista, secondo i giudici di legittimità, poiché non viene in considerazione un mero rapporto epistolare tra il creditore procedente e il terzo pignorato (cui applicare le regole in ordine alla prova delle comunicazioni dettate – in ambito sostanziale – dall'art. 1335 c.c. e – in ambito processuale – dall'art. 136 c.p.c.), bensì un'attività posta in essere da un soggetto che, pur non essendo né divenendo parte del processo esecutivo, assume il ruolo di ausiliario del giudice, la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. non può essere considerata alla stregua di una qualsivoglia comunicazione comunque effettuata, atteso che, una volta resa e in quanto sia positiva, produce l'effetto di concentrare l'azione esecutiva sul bene o sul credito che in essa viene indicato come di spettanza del debitore esecutato.

Pertanto, delle due l'una:

- o la dichiarazione viene comunicata al creditore procedente a mezzo lettera raccomandata o mediante messaggio di posta elettronica certificata, nel quale caso può reputarsi idonea a produrre gli effetti che la legge vi riconnette;

- o la medesima dichiarazione viene effettuata avvalendosi di strumenti di comunicazione diversi da quelli tassativamente prescritti dal legislatore e ritenuti non idonei a dimostrarne immediatamente e incontestabilmente l'esistenza e il contenuto, nel quale caso sarà da considerarsi come non resa, ovvero tamquam non esset, con la conseguenza che dovrà procedersi ai sensi dell'art. 548 c.p.c.

Per la Corte di cassazione, dunque, il terzo che non si sia attenuto alle prescrizioni dettate dall'art. 547 c.p.c. non può sottrarsi all'obbligo di comparire all'udienza fissata dal giudice dell'esecuzione affinché rilasci la dichiarazione di quantità, facendo leva sul fatto che quella già resa in modo irrituale sia stata comunque ricevuta dal creditore procedente e gli sia, pertanto, nota.

Le prevalenti esigenze di certezza che discendono dalla semplificazione delle modalità con le quali il terzo pignorato – a seguito delle riforme culminate, da ultimo, con la riscrittura dell'art. 547 c.p.c. a opera del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, in l. n. 162/2014 – può rendere la dichiarazione necessaria per la prosecuzione del processo esecutivo, impongono di leggere restrittivamente il dettato normativo e, così, di non ritenere consentito un ampliamento degli strumenti ai quali attingere per veicolarla e comunicarla al creditore procedente.

D'altro canto, va anche detto che se, prima delle riforme che hanno interessato l'art. 547 c.p.c., il terzo doveva necessariamente comparire in udienza per rendere la propria dichiarazione, questa possibilità non è venuta meno, visto che, secondo quanto stabilito dall'art. 548 c.p.c., il giudice dell'esecuzione è tenuto a fissare un'udienza quando il creditore dichiari di non avere ricevuto alcuna dichiarazione.

Proprio per questo motivo, nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno stigmatizzato la condotta del terzo, che, pur essendo stato debitamente notiziato della fissazione dell'udienza volta a raccogliere la sua dichiarazione (visto che la relativa ordinanza gli era stata notificata, così come prescritto dall'art. 548 c.p.c.), ha nondimeno ritenuto di non comparire (al limite, per sostenere la regolarità e la validità della dichiarazione già resa), innescando, in questo modo, il meccanismo della ficta confessio che ha indotto il giudice dell'esecuzione a pronunciare l'ordinanza di assegnazione in favore del creditore procedente.

Per completezza, va evidenziato che, come recentemente ribadito da Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2021, n. 13144, la dichiarazione di quantità resa in senso positivo dal terzo pignorato può essere rettificata o revocata fino al momento in cui venga emessa l'ordinanza di assegnazione, in quanto sia frutto di errore di fatto scusabile, ovvero incolpevole e non imputabile.

Verificandosi una simile evenienza, al terzo, nei limiti consentiti dal rispetto dei principi di autoresponsabilità e di correttezza (che deve osservare in quanto chiamato a cooperare con l'ufficio giudiziario, evitando condotte improntate a superficialità, scorrettezza o mala fede) che escludono la possibilità di una revoca ad nutum della propria dichiarazione, è consentito emendarla o rettificarla, onde evitare che formi oggetto di assegnazione un credito solo erroneamente indicato come esistente e che, in realtà, l'esecutato non vanta nei suoi confronti.

Il terzo può pure essere chiamato a integrare la propria dichiarazione, ovvero a fornire precisazioni utili ai fini dell'adozione o meno dell'ordinanza di assegnazione: in particolare, quando venga indicata l'esistenza di un credito già integralmente vincolato in virtù di precedenti pignoramenti, senza che di questi ultimi siano indicati gli estremi ai sensi dell'art. 550, comma 1, c.p.c., il giudice dell'esecuzione è tenuto a chiedere i chiarimenti necessari (anche al fine di disporre l'eventuale riunione dei procedimenti), in assenza dei quali è legittimato a considerare la dichiarazione come non regolarmente resa, con le conseguenze previste dall'art. 548 c.p.c. anche in tema di non contestazione e, dunque, assegnare il credito dichiarato esistente dal terzo, senza tenere conto del generico riferimento ai precedenti vincoli gravanti sullo stesso, in quanto non oggetto di una precisa indicazione (in questi termini, Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2023, n. 9433).

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