L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto al reato di lesione personale colposa grave

Megi Trashaj
25 Settembre 2023

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ha risposto alla seguente domanda: a fronte dell'accertamento della sussistenza del reato di lesione personale colposa grave, è applicabile a beneficio dell'imputato la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.?

Massima

La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., in astratto, può trovare applicazione anche al delitto di lesione personale colposa grave. Ne consegue l'insufficienza della motivazione che ritenga, alla luce del solo riferimento ai limiti edittali previsti dall'art. 583, comma 1, c.p., non applicabile al caso concreto l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il caso

La Corte d'appello di Brescia conferma la sentenza di condanna a carico dell'imputato per il reato di lesione personale colposa grave con violazione di norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare artt. 28, comma 2, lettera a, e 168, comma 2 lettera a, d.lgs. 168/2008).

Dal punto di vista degli elementi di fatto, la persona offesa riporta lesioni alla mano in seguito ad un incidente che avviene all'interno del luogo di lavoro (una fonderia) durante la manovra di sostituzione di un tubo usurato. Proprio per la delicatezza di questo tipo di operazioni la prassi aziendale in uso prevedeva che la sostituzione dei tubi posizionati sulla copertura dello stabilimento venisse eseguita attraverso l'impiego di particolari autogrù, nel caso di specie però – per ragioni di urgenza – la squadra di operai ritiene più opportuno procedere attraverso l'uso di un soppalco. Così, nell'esecuzione dei lavori, il tubo da sostituire si sbilancia provocando la lesione alla persona offesa che riporta un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni.

L'imputato, datore di lavoro e titolare di una delega specifica in materia di sicurezza, viene condannato in primo grado per lesioni colpose aggravate. La Corte d'appello, pur modificando il giudizio di comparazione delle circostanze nel senso della prevalenza delle attenuanti generiche, confermava la pena detentiva, con mitigazione della pena pecuniaria sostitutiva.

L'imputato propone ricorso contro la sentenza di secondo grado deducendo, per quanto qui di interesse, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

La questione

La Corte di cassazione deve stabilire se, in astratto, a fronte dell'accertamento della sussistenza del reato di lesione personale colposa grave sia applicabile a beneficio dell'imputato la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto exart. 131-bis c.p., istituto per il quale il legislatore ha disciplinato in modo espresso e preciso l'ambito di applicabilità con l'utilizzo di diversi criteri.

Le soluzioni giuridiche

Al fine di comprendere la sentenza della Corte, occorre offrire una breve ricostruzione del contesto normativo e giurisprudenziale che viene in rilievo per la decisione del giudice della legittimità.

L'art. 131-bis c.p., introdotto dal d.lgs. 28/2015 e da ultimo modificato dalla cd. riforma Cartabia (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), prevede una causa di esclusione della punibilità a fronte di un reato, perfezionatosi in tutti i suoi elementi (compresa l'offensività), nei casi l'offesa sia valutata di particolare tenuità e il comportamento dell'imputato non risulti abituale.

Al sussistere dei presupposti di cui all'art. 131-bis c.p., l'organo giudicante può dichiarare non punibile l'imputato soltanto dopo aver accertato – con il consueto canone dell'ogni ragionevole dubbio – l'esistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato addebitato. Ne deriva una pronuncia con un contenuto essenzialmente “ibrido”: da un lato il Giudice afferma la sussistenza del reato e la sua riferibilità all'autore, dall'altro ne dichiara la non punibilità, nonostante la responsabilità.

Per la ricostruzione della ratio dell'istituto, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, fanno riferimento ai principi di proporzionalità e meritevolezza della sanzione penale nonché all'esigenza di deflazione come necessità di evitare l'uso dispendioso del processo penale a fronte di fatti bagatellari (in tal senso si vedano Cass. pen., sez. un., 6 aprile 2016, n. 13681; Grosso, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. e proc. 2015, p. 517).

Quanto ai presupposti applicativi ed ai relativi limiti di operatività della causa di non punibilità in commento, l'art. 131-bis, comma 1, c.p. individua in primis un ambito formale di operatività dell'istituto non lasciando, su tale versante, alcun margine di discrezionalità all'interprete: la particolare tenuità del fatto, per espressa previsione del legislatore, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 1, lett. d), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (in vigore dal 30.12.2022), si può applicare ai soli «reati per i quali è prevista la pena non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena». Prima della recente modifica introdotta dalla citata novella il limite edittale era diversamente individuato: l'istituto poteva trovare applicazione per i reati puniti con pena massima non superiore ai cinque anni. Il quarto comma precisa l'irrilevanza di alcune circostanze ai fini del calcolo della pena. Il terzo comma esclude l'applicabilità dell'istituto con riferimento ad un catalogo di fattispecie astrattamente individuate, tra le quali quella di cui all'art. 583, comma 2, c.p. (lesioni personali gravissime). Nel complesso queste disposizioni circoscrivono il potere del giudice nella selezione dei fatti non sanzionabili ex art. 131-bis c.p.

La norma in commento specifica altresì i due elementi strutturali oggettivi e soggettivi necessari per la sua applicazione, facendo riferimento

  • alla particolare tenuità dell'offesa ed
  • alla non abitualità del comportamento.

Sul piano oggettivo (tenuità dell'offesa) il focus dell'interprete cade sul disvalore dell'azione e dell'evento e il riferimento è alle modalità della condotta ed all'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p.; in relazione al profilo soggettivo (non abitualità del comportamento) l'attenzione deve cadere suoi comportamenti dell'autore pregressi o contestuali rispetto al reato (art. 131-bis, comma 4, c.p.).

Tornando al profilo di interesse per l'analisi della decisione in commento, e cioè a quello relativo all'ambito formale di operatività dell'art. 131-bis c.p., l'interprete – accertata la esistenza del reato in tutti i suoi elementi – è chiamato a domandarsi (in primo luogo e, dunque, a prescindere dai menzionati profili oggettivi e soggettivi) se (in astratto) per l'illecito penale oggetto di contestazione possa trovare applicazione la causa di non punibilità in analisi, profilo rispetto al quale, come segnalato, la discrezionalità del giudice è limitata dalle disposizioni legislative che escludono, con un criterio “per cornice edittale” (art. 131-bis, comma 1, c.p.) o “per catalogazione” (art. 131-bis, comma 3, c.p.), l'applicabilità della non punibilità.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il reato accertato dai giudici di merito è quello di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) “gravi” ex art. 583, comma 1, c.p.

Con riferimento alle lesioni dolose, seppur autorevole dottrina sostenga che il combinato tra gli artt. 582 e 583 c.p. dia luogo ad una “fattispecie autonoma di reato”, in senso contrario la corrente maggioritaria e la giurisprudenza propendono per la teoria secondo la quale l'art. 583 c.p. (sia con riferimento alle lesioni gravi di cui al primo comma che a quelle gravissime di cui al secondo) disciplini “circostanze aggravanti speciali” rispetto alla fattispecie “base” dall'art. 582 c.p. (Dolcini-Gatta, Art. 583, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015, 2975).

Mentre per le lesioni dolose gravissime è l'art. 131-bis, comma 3, c.p. ad escludere esplicitamente l'applicabilità della non punibilità («l'offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: […] 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli […] 582, secondo comma […], sul punto si veda Cass. pen., sez. IV, 29 settembre 2022, n.39498), una disposizione di questo tenore manca con riferimento alle altre tipologie di lesioni.

Per esse, dunque, nell'indagine sull'applicabilità della esclusione della punibilità dovrebbe essere utilizzato il criterio “per cornice edittale” (cioè “pena detentiva non superiore nel minimo a due anni” o, prima della riforma Cartabia, “pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni”) e, con riferimento alle lesioni gravi, la regola di cui al comma quinto dell'art. 131-bis c.p. che impone, ai fini della determinazione della pena a fronte della quale è permessa la non punibilità, di tenere conto delle circostanze ad effetto speciale (a prescindere dall'eventuale giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti ex art. 69 c.p.).

La lesione personale dolosa (ipotesi “base”, non aggravata exart. 582 c.p.) è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni. La lesione dolosa “grave” (quella contestata nel caso di specie) con la reclusione da tre anni a sette anni (aggravante ad effetto speciale ex art. 583, comma 1, c.p.).

Con riferimento alle lesioni dolose gravi, dunque, formalmente, sia prima della riforma Cartabia (art. 131-bis c.p. ancorato alla reclusione nel massimo non superiore a cinque anni) che dopo la stessa (art. 131-bis c.p. ancorato alla reclusione nel minimo non superiore ai due anni) sembrerebbe non possa trovare applicazione la non punibilità per particolare tenuità del fatto: dinnanzi alle circostanze ad effetto speciale la lettera della legge impone di tenere in considerazione la “cornice aggravata” (tre anni – sette anni) che, nel caso di specie, supera quella a fronte della quale poteva (massimo non superiore a cinque anni) e può (minimo non superiore a due anni) applicarsi l'art. 131-bis c.p.

La decisione della Corte sembra porsi in direzione diametralmente opposta rispetto a questa lettura.

Il Giudice della legittimità, infatti, in accoglimento del motivo di ricorso fondato sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto rileva che la Corte di merito ha escluso l'art. 131-bis c.p. facendo semplicemente riferimento alla configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 583 c.p., argomentazione “insufficiente” considerato che “in astratto la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.può trovare applicazione anche al delitto di lesioni colpose gravi in relazione ai limiti edittali di pena previsti per tale reato”. Secondo la Corte di cassazione, infatti, «non è sufficiente, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità di che trattasi, fare riferimento alla mera configurabilità di una circostanza aggravante (a meno che, beninteso, essa non comporti automaticamente l'emergere di elementi decisivi in senso ostativo ai fini dell'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p.), dovendo procedersi, a tal fine, ad una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta».

In sintesi, il Giudice di merito, per escludere l'applicabilità della non punibilità per fatti bagatellari, avrebbe dovuto sviluppare un «elemento argomentativo in ordine alla caratterizzazione del fatto storico (ad esempio con riguardo all'esiguità o meno delle conseguenze dannose del reato)» che però è mancato.

Da tale interpretazione, deriva l'annullamento della sentenza impugnata, seppur limitatamente alla statuizione sull'applicazione dell'art. 131-bis c.p., e il rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello per un nuovo giudizio sul punto.

Osservazioni

Dalla lettura del testo della sentenza, che parte da un caso di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) non è chiaro se la Corte abbia voluto esprimere un dato pacifico, cioè che i limiti edittali delle lesioni colpose aggravate ex art. 590, comma 3, c.p. rientrino pienamente nei limiti di pena previsti per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. o se, invece, la Corte abbia voluto andare oltre al caso sottoposto al suo giudizio per esprimersi anche sulla compatibilità delle lesioni dolose e la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La Corte, infatti, nel suo argomentare richiama più volte la cornice edittale prevista dall'art. 583 c.p. (in materia di lesioni dolose): «è, invece, fondato il terzo motivo. Il mero riferimento della Corte di merito, nell'argomentare l'esclusione della particolare tenuità del fatto, alla configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 583 c.p. risulta infatti insufficiente, a considerare che in astratto la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.».

 Un'interpretazione di questo tipo, pur offrendo una lettura a primo sguardo non perfettamente aderente al disposto letterale dell'art. 131-bis c.p., giungerebbe ad una soluzione interpretativa condivisibile nella sostanza, esegesi volta alla valorizzazione del principio costituzionale di offensività (con riferimento, occorre ribadirlo, a fatti che pur essendo offensivi lo sono in misura esigua) e dunque diretta a consentire l'esclusione dall'area del penalmente rilevante di fattispecie che, in concreto, mostrano di essere bagatellari.

Non mancano tuttavia interpretazioni di segno contrario, più ancorate al dato testuale, volte ad escludere la compatibilità tra le lesioni gravi e la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. Di recente, infatti, la Corte di cassazione, a fronte di una decisione di merito che escludeva l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. dinnanzi “al mero rilievo dei limiti edittali delle lesioni personali gravi contestate” ha stabilito che «nessun rilievo può essere mosso alla decisione di negare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., stante il permanente divieto di legge derivante dalla cornice edittale delle lesioni gravi (da tre a sette anni di reclusione: cfr. art. 583 c.p., comma 1 n. 1)» (Cass. pen., sez. V, 6 giugno 2023, n.32271).

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