Clausola simul stabunt simul cadent: opponibilità, abuso e danno risarcibile

26 Settembre 2023

Nell'analizzare la clausola simul stabunt simul cadent, il Tribunale di Milano si concentra in particolare sull'ipotesi in cui il ricorso a tale strumento possa considerarsi abusivo e strumentale, finalizzato unicamente a liberarsi degli amministratori sgraditi in assenza di giusta causa.

Massima

La clausola simul stabunt simul cadent configura intrinsecamente il rapporto società - amministratore ed essendo prevista dallo Statuto è sempre opponibile all'amministratore anche nell'ipotesi in cui sia stata introdotta dopo la costituzione dell'incarico di amministrazione, dovendosi ritenere una sua implicita accettazione da parte dell'amministratore il quale, dopo la modifica statutaria, non abbia rassegnato le dimissioni.

Il carattere abusivo o strumentale del ricorso alla clausola simul stabunt simul cadent si configura ogni qual volta le dimissioni di quell'amministratore o di quegli amministratori capaci di provocare la decadenza di tutto l'organo di gestione siano dettate unicamente o prevalentemente dallo scopo di eliminare amministratori sgraditi in assenza di giusta causa e quindi eludendo l'obbligo di corresponsione degli emolumenti residui (ed in generale di risarcimento del danno) che spetterebbero loro se fossero cessati dalla carica non per effetto della clausola in discussione, ma per revoca ex art. 2383, comma 3, c.c. nelle s.p.a. ed ex art. 1723, comma 2, e 1725 c.c. nelle s.r.l.

In caso di abuso della clausola simul stabunt simul cadent, l'onere della prova in ordine all'abusività della condotta altrui ricade sull'amministratore decaduto, al quale non basterà dimostrare l'assenza di propri comportamenti negligenti o comunque l'assenza di situazioni integranti giusta causa di revoca. Incombe dunque sull'attore la prova dell'esclusiva finalizzazione della clausola alla sua estromissione dal collegio degli amministratori per il conseguimento di interessi extrasociali o di un gruppo della compagine sociale e quindi la prova dell'ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

La natura abusiva dell'utilizzo della clausola simul stabunt simul cadent comporta necessariamente di considerare l'amministratore revocato dal suo incarico anticipatamente rispetto alla scadenza del mandato e senza giusta causa; il che comporta il riconoscimento ex art. 2383, comma 3, c.c. del diritto al risarcimento del danno. Tale risarcimento va quantificato con riferimento all'ammontare dei compensi non percepiti dall'amministratore revocato nell'arco di tempo ordinariamente occorrente per procurarsi una corrispondente adeguata occupazione, salvo che vengano allegati e provati danni ulteriori.

Il caso

Agli inizi di marzo 2019, Tizio viene nominato presidente del consiglio di amministrazione di M.C. s.p.a.; l'incarico è triennale e il compenso complessivo di € 120.000,00.

La grande armonia iniziale però ben presto si incrina: durante il consiglio di amministrazione del 25 settembre 2019, Tizio è l'unico a opporsi al prospettato conferimento a un terzo di un incarico di consulenza, rilevandone l'eccessività del compenso.

Seguono settimane movimentate:

- il 7 ottobre 2019, l'assemblea di M.C. s.p.a. modifica lo statuto, introducendovi la clausola simul stabunt simul cadent, in forza della quale “se per qualsiasi causa viene meno la metà degli amministratori, in caso di numero pari, o la maggioranza degli stessi in caso di numero dispari, si intende dimissionario l'intero consiglio di amministrazione”;

- il 10 e l'11 ottobre 2019 tre membri del consiglio di amministrazione rassegnano le dimissioni, giustificandole con il richiamo all'imminente modifica della compagine sociale per l'uscita di uno dei soci;

- durante l'assemblea del 23 ottobre 2019, a compagine sociale invariata, in applicazione della clausola simul stabunt simul cadent, l'intero consiglio di amministrazione di M.C. s.p.a. è dichiarato dimissionario, con conseguente decadenza di Tizio dalla carica di presidente; tuttavia, gli amministratori che avevano rassegnato le dimissioni il 10 e l'11 ottobre 2019 vengono riconfermati quali membri dell'organo gestorio di nuova nomina.

Rimasto “fuori dai giochi”, tra la fine del 2019 e gli inizi del 2020, Tizio chiede a M.C. s.p.a. il versamento degli emolumenti non percepiti (i.e. € 105.690,00), senza tuttavia ottenere alcun risultato.

La sola alternativa resta allora il ricorso alle vie giudiziarie.

Tizio conviene avanti al Tribunale di Milano M.C. s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti all'illegittima applicazione della clausola simul stabunt simul cadent, sulla base di due argomentazioni: (i) la clausola non gli era opponibile, perché era stata inserita nello statuto dopo la sua nomina a presidente del consiglio di amministrazione; (ii) la clausola era stata impiegata abusivamente, avendo i tre componenti del consiglio di amministrazione rassegnato le dimissioni il 10 e l'11 ottobre 2019 al solo fine di revocarlo senza giusta causa ed eludendo l'obbligazione di cui all'art. 2383, comma 3, c.c. L'entità dei pregiudizi lamentati era stimata da Tizio in misura pari agli emolumenti non percepiti, salva diversa determinazione.

M.C. s.p.a. si costituisce in giudizio, contestando a vario titolo le difese attoree e, in ogni caso, rilevando l'assenza di prova dei nocumenti prospettati e la loro erronea quantificazione.

Il Tribunale di Milano accoglie la domanda di Tizio, ravvisando nella fattispecie un'ipotesi di abuso della clausola simul stabunt simul cadent; tuttavia, riduce notevolmente la pretesa risarcitoria.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

Opponibilità della clausola simul stabunt simul cadent all'amministratore già nominato

La prima questione affrontata dalla decisione attiene all'opponibilità o meno della clausola simul stabunt simul cadent all'amministratore che, al momento dell'inserimento della clausola nello statuto, era già stato nominato: proprio sulla base dell'assunzione dell'incarico gestorio in un momento anteriore rispetto alla rilevante modifica statutaria, Tizio aveva contestato che la clausola gli fosse applicabile.

Il tema ha trovato soluzioni opposte prima e dopo la riforma del 2003 che, con il disposto dell'art. 2386, comma 4, c.c., ha legittimato l'introduzione negli statuti societari della clausola simul stabunt simul cadent.

Invero, si riteneva originariamente che la clausola simul stabunt simul cadent fosse applicabile soltanto se conosciuta o conoscibile dagli amministratori al momento dell'accettazione dell'incarico (v. F. Ghezzi, Commento all'art. 2386, in Amministratori. Commentario alla riforma delle società,Milano, 2005, 270; P. Cecchi, Gli amministratori di società di capitali, Milano, 1999, 291; A. Daccò, La clausola simul stabunt simul cadent ancora al vaglio del Tribunale di Milano, in Giur. comm., 1996, 243).

Tale opinione – motivata soprattutto dall'esigenza di mantenere intatte le regole del rapporto gestorio e dall'esigenza di ravvisare una deroga al diritto dell'amministratore a ottenere un risarcimento del danno in caso di revoca senza giusta causa ex art. 2383, 3° comma, c.c. (v. F. Ghezzi, Commento all'art. 2386, in Amministratori. Commentario, cit., 265 e ss.; P. Cecchi, Gli amministratori, cit.291) – presentava però una rilevante criticità: l'interesse sociale – di cui l'autonomia statutaria è espressione – sarebbe stato sacrificato a fronte di interessi individuali degli amministratori.

Non stupisce dunque che, a seguito della c.d. Riforma Vietti, si sia preferita la diversa tesi che considera la clausola simul stabunt simul cadent opponibile anche all'amministratore nominato prima della sua introduzione nello statuto: se, stante il disposto dell'art. 2486, 4° comma, c.c., le esigenze organizzative della società consentono espressamente ai soci di inserire nello statuto una nuova ipotesi di decadenza, allora le stesse devono senz'altro prevalere sull'interesse personale degli amministratori a mantenere inalterate le regole del rapporto gestorio (v., sul punto, fra gli altri, A. Zanardo, Opponibilità della clausola simul stabunt, simul cadent, cit., 1267).

Questa posizione è stata espressa di recente dal Tribunale di Napoli che ha ritenuto applicabile a un amministratore la clausola simul stabunt simul cadent introdotta successivamente alla sua nomina, rilevando che: (i) “non sarebbe coerente con il sistema […] pretendere […] che per […] gli amministratori nominati ex novo valesse il nuovo statuto, e per il solo attore rimanesse vigente quello vecchio”; (ii) il rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società era tale che “il primo non <potesse> ritenersi slegato dai vincoli rappresentati dal rispetto delle norme che disciplina<va>no la convivenza dei soci all'interno della società e che regolamenta<va> altresì l'operato e i limiti di operatività dei singoli amministratori” (v. Trib. Napoli 8 febbraio 2023, n. 1402, in DeJure).

Analogamente si è pronunciata la sentenza in esame: il Tribunale di Milano ha anzitutto ribadito che “la clausola simul stabunt simul cadent […] configura intrinsecamente il rapporto società - amministratore ed essendo prevista dallo Statuto è sempre opponibile all'amministratore anche nell'ipotesi in cui sia stata introdotta dopo la costituzione dell'incarico di amministrazione, dovendosi ritenere una sua implicita accettazione da parte dell'amministratore il quale dopo la modifica statutaria non abbia rassegnato le dimissioni”; sulla base di tali presupposti ha considerato opponibile a Tizio la clausola simul stabunt simul cadent introdotta nello statuto societario circa sette mesi dopo la sua nomina quale presidente del consiglio di amministrazione.

Abuso della clausola simul stabunt simul cadent: ratio, presupposti e onere probatorio

Una volta definita l'opponibilità della clausola simul stabunt simul cadent introdotta successivamente alla nomina dell'amministratore, la sentenza si è soffermata sulla sua ratio e sulle ipotesi di abuso.

Le finalità principali della clausola simul stabunt simul cadent sono tre: (i) “mantenere costanti, a livello di organo gestorio, gli equilibri interni originariamente voluti e cristallizzati secondo una determinata configurazione nella delibera assembleare di nomina(così, Cass. 16 marzo 1990, n. 2197, in DeJure. In senso conforme anche: Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 8088; Trib. Milano 24 aprile 2020, n. 2565; Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, tutte in DeJure); (ii) assicurare un'adeguata rappresentazione in seno all'organo gestorio delle minoranze che compongono la compagine sociale, onde evitare che possa essere alterata dal meccanismo della cooptazione di cui all'art. 2386, 1° comma, c.c. (v., ad esempio, Trib. Milano 13 marzo 2015, n. 3388); (iii) fungere da “stimolo alla coesione dell'organo gestorio, poiché ciascun amministratore è consapevole che le dimissioni di uno/alcuni degli altri determinano la decadenza dell'intero consiglio e, nel contempo, può contribuire a quella decadenza, quando in disaccordo con gli altri(così, Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, cit. Nello stesso senso, anche Trib. Milano, 9 dicembre 2020, n. 8088, cit.).

Il meccanismo decadenziale configurato dalla clausola simul stabunt simul cadent però si è prestato a utilizzi distorti: è stato riconosciuto il carattere strumentale e abusivo del ricorso alla clausola simul stabunt simul cadent quando le dimissioni dei componenti dell'organo gestorio sono state determinate dall'unico o prevalente scopo di revocare implicitamente gli amministratori “sgraditi” in mancanza di giusta causa e senza riconoscere loro il risarcimento del danno (v., fra le altre: App. Firenze 1° marzo 2021, n. 500, in DeJure; Trib. Milano, 9 dicembre 2020, n. 8088, cit.; Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, cit.; Trib. Milano 6 marzo 2019, n. 2303, in DeJure).

È onere dell'amministratore che lamenta l'abuso della clausola simul stabunt simul cadent provare che il meccanismo decadenziale è stato “sfruttato” soltanto o soprattutto per estrometterlo senza giusta causa e opportuno ristoro, onde realizzare interessi extrasociali o condivisi da una sola parte della compagine sociale. A tal fine, non sarà sufficiente dimostrare che la condotta dell'amministratore decaduto è stata conforme agli obblighi connessi alla carica e manca una giusta causa di revoca, ma occorrerà allegare e provare elementi gravi, precisi e concordanti attestanti l'utilizzo strumentale e pretestuoso della clausola da parte degli amministratori dimissionari (v. Trib. Napoli 8 febbraio 2023, n. 1402, cit.; Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 8088, cit.; Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, cit.; Trib. Milano 5 febbraio 2019, n. 1124, in DeJure; Trib. Roma 15 giugno 2016, n. 12147, in giurisprudenzadelleimprese.it).

In questo contesto, è stato precisato che: (i) “la mancata rielezione dell'amministratore non dimissionario”decaduto per effetto della clausola simul stabunt simul cadent “non connota l'abuso in quanto tale […], ma assume rilievo sul diverso piano della prova dell'abuso, per contrapposto alla rielezione degli amministratori dimissionari” (così, Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, cit., nonché App. Milano 6 marzo 2007, in Società, 2007, 9860); (ii) la rinuncia alla carica da parte di un amministratore senza che sussista in capo agli altri amministratori decaduti una giusta causa di revoca non configura l'abuso della clausola simul stabunt simul cadent, caratterizzando intrinsecamente quest'ultima il rapporto amministratore-società (v. Trib. Milano 20 aprile 2016, n. 4955, in DeJure).

Nella fattispecie oggetto della decisione analizzata, il Tribunale di Milano ha concluso che, sulla base degli elementi acquisiti in corso di causa, sussistessero indici tali da far ritenere abusiva l'applicazione della clausola simul stabunt simul cadent.

In particolare, richiamando i principi menzionati, la sentenza ha considerato rilevanti per la configurazione dell'abuso della clausola simul stabunt simul cadent quattro circostanze allegate e provate dall'attore, ossia: (i) il 25 settembre 2019, Tizio era stato l'unico amministratore a opporsi al prospettato conferimento a un terzo di un incarico di consulenza; (ii) il 7 ottobre 2019 era stata introdotta nello statuto di M.C. s.p.a. la clausola simul stabunt simul cadent; (iii) il 10 e l'11 ottobre 2019 la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione avevano rassegnato le dimissioni, motivandole con l'imminente modifica della compagine sociale; (iv) il 23 ottobre 2019, senza che fosse intervenuta l'annunciata modifica della compagine sociale, era stata dichiarata la decadenza del consiglio di amministrazione presieduto da Tizio con contestuale nomina di un nuovo organo gestorio da cui questi solo era stato escluso.

Secondo il Giudice, i fatti descritti dimostravano che “il vero motivo delle dimissioni della maggioranza degli amministratori fosse quello di escludere l'attore dalla amministrazione della società” e questa convinzione risultava altresì corroborata da un ulteriore aspetto: costituitasi in giudizio, la società convenuta aveva fra l'altro argomentato la sussistenza di una giusta causa di revoca ex art. 2383 c.c. per l'amministratore decaduto, rendendo così palesi sia l'avversione nei confronti del suo operato sia la volontà di estrometterlo.

Abuso della clausola simul stabunt simul cadent: danno risarcibile

Accertato l'utilizzo abusivo della clausola simul stabunt simul cadent, la sentenza ha riconosciuto all'amministratore ingiustamente – e implicitamente – revocato il diritto al risarcimento del danno, facendo applicazione dell'art. 2383, 3° comma, c.c. In particolare, nella pronuncia si legge che “la natura abusiva dell'utilizzo della clausola contestata comporta necessariamente di considerare l'attore come revocato dal suo incarico di amministratore anticipatamente rispetto alla scadenza del mandato e senza giusta causa; il che comporta il riconoscimento ex art. 2383 co. 3 c.c. del diritto al risarcimento del danno”.

La soluzione è conforme all'orientamento giurisprudenziale costante: viene generalmente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno agli amministratori non dimissionari decaduti per effetto della clausola simul stabunt simul cadent quando si dimostra che le dimissioni che ne hanno determinata la decadenza sono state rassegnate per eludere l'obbligo risarcitorio connesso alla revoca senza giusta causa o comunque per scopi diversi da quelli per cui è riconosciuto il diritto di rinunciare alla carica (v., fra le altre: Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 8088, cit.; Trib. Milano 14 gennaio 2020, n. 247, cit.; Trib. Milano 5 febbraio 2019, n. 1124, cit.).

In caso di revoca anticipata senza giusta causa, il danno risarcibile consiste “nel lucro cessante, e cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l'amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca, salvo che non vengano provate altre voci di danno derivanti da ulteriori condotte dolose o colpose della società o di terzi idonee a ledere un diritto diverso da quello alla prosecuzione della carica sino alla naturale scadenza" (così, Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037, in DeJure. Conformi anche: Cass. 12 settembre 2008, n. 23557 in DeJure; Trib. Catanzaro 23 maggio 2023, n. 814; Trib. Ancona 8 novembre 2022, n. 1277; App. Firenze 11 novembre 2020, n. 2466).

È stato altresì puntualizzato che, stando alle regole dettate dagli artt. 1223-1227 c.c., va riconosciuto soltanto il ristoro del danno-conseguenza effettivamente patito, rifuggendo ingiustificate presunzioni e irrazionali automatismi determinati dall'erronea assimilazione del rapporto società - amministratore a quello di lavoro subordinato (v., per tutte, Cass. 12 settembre 2008, n. 23557, cit.).

Quest'ultimo principio è stato diversamente applicato dai giudici di merito. Da un sommario esame delle decisioni pubblicate, si desume infatti che:

- alcune pronunce hanno parametrato il risarcimento del danno dovuto all'amministratore nominato a tempo determinato e revocato senza giusta causa a tutti gli emolumenti e le indennità che questi avrebbe ragionevolmente percepito sino alla scadenza naturale del mandato, salvo il ricorso a opportuni “correttivi” per determinarne il quantum. Nello specifico, ai fini della quantificazione del risarcimento dovuto ex art. 2383, 3° comma, c.c.: (i) Trib. Milano 24 maggio 2010, n. 6836, in DeJure, da un lato, ha tenuto conto del compenso correlato alle deleghe strumentali al raggiungimento dell'indirizzo gestionale e delle variabili in negativo che avrebbero potuto giustificare una riduzione dell'emolumento annuale e, dall'altro lato, non ha considerato gli importi che sarebbero stati dovuti per le eventuali remunerazioni di risultato (c.d. benefits); (ii) Trib. Milano 7 novembre 2012, n. 12216, in DeJure ha considerato sia il compenso lordo pattuito per l'amministratore sino alla naturale scadenza del mandato sia le somme dovute a titolo di trattamento di fine mandato; (iii) App. Napoli 27 gennaio 2011, n. 165, ha computato il complessivo ammontare dei compensi che l'amministratore “avrebbe presumibilmente ogni mese percepito fino alla naturale scadenza del suo incarico, da considerare al lordo delle ritenute fiscali che dovranno essere operate […], nonché il tempo trascorso fino alla data della presente decisione, ma tenendo conto anche dei correlativi vantaggi patrimoniali in termini di risparmi di spese e di energie lavorative, che, essendo impossibile una loro precisa quantificazione monetaria, possono essere approssimativamente determinati applicando al predetto ammontare una percentuale del 35%”; (iv) App. Firenze 11 novembre 2020, n. 2466, in DeJure ha considerato il compenso lordo pattuito per l'amministratore sino alla naturale scadenza del mandato, nonché l'importo corrispondente ai gettoni di presenza e quello medio correlato ai c.d. fringe benefits che sino ad allora gli sarebbero stati riconosciuti;

- altre pronunce hanno parametrato il risarcimento del danno dovuto all'amministratore nominato a tempo indeterminato e revocato senza giusta causa all'emolumento che questi avrebbe conseguito dalla sua funzione nel lasso di tempo ritenuto idoneo per consentirgli di trovare nuovi incarichi analoghi nello stesso o in altro settore operativo (v. Cass. 12 settembre 2008, n. 23557, cit. che ha confermato App. Catania 7 ottobre 2004, nonché Trib. Ancona 8 novembre 2022, n. 1277, cit.; Trib. Milano 9 giugno 2021, n. 4898, in DeJure).

Nel caso analizzato, pur dovendo quantificare il danno da lucro cessante ex art. 2383, 3° comma, c.c. dovuto a un amministratore nominato a tempo determinato, il Tribunale di Milano non ha ritenuto opportuno usare come riferimento gli emolumenti che sarebbero stati probabilmente percepiti sino alla scadenza naturale del mandato gestorio: il mancato guadagno di Tizio è stato considerato coincidente soltanto con i compensi pattuiti per i sei mesi successivi alla decadenza, ossia per il periodo di tempo stimato come necessario a reperire un impiego equivalente.

Osservazioni

La sentenza ha applicato in modo coerente e condivisibile principi ormai consolidati in relazione all'opponibilità, alla ratio e all'abuso della clausola simul stabunt simul cadent.

Desta soltanto qualche perplessità il criterio utilizzato per la quantificazione del danno risarcibile ex art. 2383, 3° comma, c.c.: nonostante l'amministratore decaduto fosse stato nominato a tempo determinato, il pregiudizio patito per lucro cessante è stato parametrato all'emolumento che sarebbe stato corrisposto non già sino alla scadenza naturale del mandato, bensì per il lasso di tempo ritenuto idoneo a trovare un nuovo incarico nello stesso o in altro settore operativo.

Il Tribunale di Milano ha quindi determinato l'entità dell'obbligazione risarcitoria richiamando il criterio di solito utilizzato per gli amministratori nominati a tempo indeterminato, anche se l'incarico gestorio di Tizio aveva durata triennale.

La soluzione non appare conforme ai principi generali in tema di risarcimento del danno.

Del resto, l'amministratore nominato a scadenza, in virtù del rapporto esistente con la società, ha la ragionevole aspettativa di portare a termine il mandato, tanto più se mantiene una condotta rispettosa degli obblighi connessi alla carica; in ipotesi di abuso della clausola simul stabunt simul cadent nella fattispecie considerata, parrebbe perciò coerente parametrare il pregiudizio risarcibile al mancato guadagno relativo al periodo compreso tra l'anticipata decadenza e la scadenza naturale dell'incarico: è questo il danno-conseguenza, peraltro prevedibile, patito dal gestore dell'impresa a seguito dell'illegittima estromissione.

Guida all'approfondimento

Sull'opponibilità della clausola simul stabunt simul cadent all'amministratore già nominato

- A. Zanardo, Opponibilità della clausola simul stabunt, simul cadent e qualità di “terzo” dell'amministratore, in Società, 2009, 1263;

- F. Ghezzi, Commento all'art. 2386, in Amministratori. Commentario alla riforma delle società Milano, 2005, 2386;

- P. Cecchi, Gli amministratori di società di capitali, Milano, 1999, 289;

- A. Daccò, La clausola simul stabunt simul cadent ancora al vaglio del Tribunale di Milano, in Giur. comm., 1996, 235.

Sull'abuso della clausola simul stabunt simul cadent: ratio, presupposti e onere probatorio

- N. De Luca, Uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, in Società, 2020, 293;

- L. Castelli - L. Rizzi, La clausola simul stabunt simul cadent nella giurisprudenza del Tribunale di Milano, in questo Portale, 2020;

- F. Brizzi, La clausola statutaria simul stabunt, simul cadent tra utilizzo abusivo e conflitto interorganico (a margine del caso Telecom), in Corriere giuridico, 2018, 1567;

- A. Stabilini, Osservatorio di giurisprudenza di merito, in Società, 2013, 211;

- C. Garilli, Il limite della buona fede nell'applicazione della clausola simul stabunt simul cadent, in Società, 2013, 800;

- P. Pautriè, In tema di clausola simul stabunt, simul cadent, in Società, 1999, 1055.

Sull'abuso della clausola simul stabunt simul cadent: risarcimento del danno

- N. De Luca, Uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, cit.;

- L. Castelli - L. Rizzi, La clausola simul stabunt simul cadent nella giurisprudenza del Tribunale di Milano, cit.;

- A. Monteverde, Clausola simul stabunt simul cadent, in Giur. It., 2015, 1931;

- C. Garilli, Il limite della buona fede nell'applicazione della clausola simul stabunt simul cadent, cit.;

- G. Mina, La clausola simul stabunt simul cadent e le relative problematiche, in Società, 2011, 1410;

- N. Michieli, La buona fede come limite insuperabile all'applicazione della clausola simul stabunt, simul cadent, in Giur. It., 2011, 2093.

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