La legge Pinto tra rimedi preventivi e integrità del diritto di difesa

Vito Amendolagine
26 Settembre 2023

L'omesso adempimento dell'onere di chiedere i rimedi preventivi ex art. 1-ter comma 1° l. n.89/2001, anche quando non garantiscono l'effettività del diritto alla ragionevole durata del processo, comporta successivamente il rigetto della domanda di indennizzo azionata dalla parte interessata per l'equa riparazione?
Massima

I rimedi preventivi previsti dalla legge Pinto hanno come unica finalità effettiva quella di evitare che le parti adottino comportamenti dilatori per conseguire indebitamente l'indennizzo per l'eccessiva durata del processo provocata o non contrastata dalle medesime, ragione per cui, non potendo il diritto alla ragionevole durata del processo porle dinanzi all'alternativa tra la possibilità di difendersi adeguatamente nel processo e quella di esigerne la rapida definizione, deve escludersi la ricorrenza dell'onere di richiedere l'applicabilità del rimedio preventivo, se la parte interessata aveva necessità di ottenere il completamento dell'istruttoria.

Il caso

La quaestio juris sottoposta al giudice barese muove dalla riscontrata erroneità del provvedimento con il quale, il giudice di prime cure aveva rigettato la domanda ex l. n. 89/2001 per l'equa riparazione dell'eccessiva durata di una causa civile, perché fondato sull'applicazione dell'art. 1-ter comma 1° l. n.89/2001 concernente il preventivo assolvimento dell'onere di richiedere l'applicazione dei rimedi preventivi, concretamente inapplicabili nella stessa fattispecie scrutinata.

La questione

L'omesso adempimento dell'onere di chiedere i rimedi preventivi ex art. 1-ter, comma 1, l. n.89/2001, anche quando non garantiscono l'effettività del diritto alla ragionevole durata del processo, comporta successivamente il rigetto della domanda di indennizzo azionata dalla parte interessata per l'equa riparazione dell'eccessiva durata della causa civile?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di merito barese, con un'innovativa decisione, accoglie l'opposizione proposta avverso la decisione del tribunale, osservando da un lato, in via generale, che l'adozione dei rimedi preventivi non garantisce sempre l'effettività del diritto alla ragionevole durata del processo, e dall'altro, che l'art. 1-ter, comma 7, della l. n.89/2001, stabilendo che restano ferme le disposizioni che determinano l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti, prevede l'indifferenza del predetto ordine di priorità alla proposizione di rimedi preventivi.

In tale ottica, la Corte di merito, sposa dunque un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata dell'art. 1-ter, comma 1 della l. n.89/2001, volta ad escluderne l'applicazione qualora il rimedio preventivo non risulti in concreto proponibile, rilevando la generale ineffettività dei rimedi preventivi introdotti con le modifiche alla l. n.89/2001 contenute nella l. n.208/2015, atteso che la loro proposizione sortisce effetti acceleratori solo in casi eccezionali.

Osservazioni

La Corte d'Appello di Bari, con la pronuncia che si annota, recepisce le osservazioni emerse in dottrina sulla dubbia effettività dei rimedi preventivi – differenti a seconda della tipologia di processo che si contesta quanto a tardività – nonostante l'intervento della l. n. 208/2015, considerando altresì l'ulteriore criticità concernente la concreta tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost. sotto l'aspetto riguardante il diritto all'autodeterminazione dell'attività difensiva, legittimamente spettante ad ogni parte del processo, posto che quest'ultima risulterebbe in concreto obbligata ad incardinare la causa scegliendo i rimedi preventivi previsti ex lege al mero fine di non vedersi successivamente preclusa la possibilità di azionare un futuro ricorso ex l. n.89/2001, anche qualora ciò possa non risultare conforme alle esigenze di maggior approfondimento giudiziario del caso sottoposto al vaglio del giudice civile.

Posto che nel processo civile il rimedio preventivo è rappresentato dalla proposizione del giudizio con rito sommario o dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario fatta entro l'udienza di trattazione e, in ogni caso, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i tre anni del primo grado di giudizio – ove non sia possibile il rito sommario di cognizione, anche in secondo grado, il rimedio preventivo è rappresentato dalla richiesta di decisione a seguito di trattazione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. da farsi sei mesi prima che spiri il termine di ragionevole durata del processo, e anche se la competenza è quella collegiale del Tribunale – nella fattispecie, oltre a non essere possibile la trattazione collegiale del giudizio presupposto con il rito semplificato, neppure era formulabile la richiesta di decisione ex art. 281-sexies c.p.c. senza determinare un grave pregiudizio al diritto di difesa della parte, perché dagli atti del giudizio presupposto risulta infatti che, dopo l'ascolto di alcuni testimoni, l'udienza venne rinviata in prosecuzione della prova sulla cui scorta se la parte avesse presentato richiesta di decisione ex art. 281-sexies c.p.c. nel rispetto del termine previsto dall'art. 1-ter comma 1, l. n.89/2001, avrebbe di fatto rinunciato al suo diritto all'assunzione dell'intera prova ammessa dal giudice, e cioè al suo stesso diritto di difesa.

In buona sostanza, la giurisprudenza di merito per la prima volta nella letteratura giuridica, pone specificamente l'attenzione sulla concreta applicabilità dei rimedi preventivi (al di fuori dei casi in cui essi sono esclusi in radice ex lege, come ad esempio nel processo governato dal rito del lavoro in quanto a seguito della modifica dell'art. 429, comma 1, c.p.c. disposta dall'art. 53, comma 2, del d.l. n. 112/2008, conv., con modif., dalla l. n. 133/2008 è già previsto che il giudice all'udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, in analogia con lo schema dell'art. 281-sexies c.p.c. cfr. Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2022, n. 16741) – quali disposizioni volte a valutare il comportamento processuale delle parti costituite –nell'ottica del diritto alla ragionevole durata che tuttavia, non può configurarsi come una sorta di diritto tiranno, nel senso di porre l'utente del “servizio giustizia” di fronte al dilemma se difendersi adeguatamente nel processo a costo di rinunciare ad invocarne successivamente la ragionevole durata, oppure restringere tale sua attività difensiva nel processo per non compromettere la possibilità di chiedere indennizzo per l'eccessiva durata dello stesso.

In particolare, premesso che attraverso l'art. 1, comma 177, della l. n. 208/2015 è stato introdotto nella l. n. 89/2001 l'art. 1-ter, in forza del quale rappresenta rimedio preventivo alla violazione dell'art. 6, par. 1, Cedu la proposizione dell'istanza di decisione a seguito di trattazione orale della causa ex art. 281-sexies c.p.c., ai sensi dell'art. 2, comma 1, della citata l. n.89/2001, la domanda di equa riparazione risulta inammissibile qualora la parte non abbia esperito i rimedi preventivi di cui al suddetto art. 1-ter nel cui ambito, rientrano oltre all'istanza di decisione orale, anche le istanze ex artt. 702-bis e 183-bis c.p.c.

In tale ottica, con riferimento al processo amministrativo, si era già affermato il principio che la presentazione di un'istanza di prelievo non abbia un effetto significativo sulla durata del procedimento, portando alla sua accelerazione od impedendole di oltrepassare il limite di quanto possa essere considerato ragionevole, con la conseguenza che, la condizione di ammissibilità di un ricorso ex lege Pinto, previsto dall'art. 54, comma 2 della l. n. 112/2008 – prima della sua dichiarata incostituzionalità, cfr. Corte cost., 6 marzo 2019, n. 34 – risulta essere una condizione formale che produce l'effetto di ostacolare l'accesso alla suddetta procedura, per effetto dell'inammissibilità automatica dello stesso, basata unicamente sul fatto che la parte ricorrente non ha presentato l'istanza di prelievo, in tale modo, privando quest'ultima della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente (Cedu, sez. I, 25 febbraio 2016, Olivieri ed altri c. Italia).

La questione esaminata dalla Corte di merito barese pone in evidenza il più ampio problema dell'efficienza della giustizia e della sostenibilità dei costi del processo secondo una prospettiva critica volta ad evidenziare come l'intento deflattivo si presti a determinare una concreta riduzione delle garanzie del giusto processo e, con esso, della stessa qualità della tutela giurisdizionale.

Non è certo un caso se l'esigenza di ridurre la tempistica del processo civile e dei relativi costi ha indotto il legislatore ad operare su un duplice fronte, orientato teleologicamente “a monte” nel restringere la possibilità concreta per le stesse parti del processo dall'intraprendere la strada giudiziale e, per quanto qui interessa, quella ulteriore “a valle” di farle desistere dall'intraprendere la strada dell'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo precedentemente instaurato.

Non va infatti dimenticato che nell'attuale impianto normativo, oltre all'introduzione dei suddetti rimedi preventivi, di cui all' art. 1-ter l. n. 89/2001, che condizionano l'ammissibilità della domanda di equa riparazione ex art. 2, comma 1 l. n. 89/2001 il legislatore ha previsto anche una serie di ipotesi in presenza delle quali deve presumersi insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria da parte dell'istante.

Tale situazione, dunque, è stata creata dallo stesso legislatore, evidentemente seguendo la politica dei due forni o se si preferisce, dei due pesi e due misure, consistente nell'apprestare uno strumento giuridico per consentire al cittadino di chiedere l'indennizzo ex legge Pinto, ma nel contempo, soggiogarlo all'osservanza di norme talmente stringenti, da restringerne concretamente la possibilità d'uso, sino al limite di costringerlo alla scelta anzidetta, ed in ciò prescindendo dalla qualità stessa dell'utente se abbia avuto torto o ragione nel processo, a dimostrazione dell'ulteriore paradosso imposto all'utente vittorioso nel giudizio presupposto, per effetto dell'inaccettabile aut-aut tra il diritto di difesa nel processo ed il diritto alla sua ragionevole durata, nonostante il sistema costituzionale e sovranazionale non possa che essere improntato ad un et-et tra i due diritti.

Al riguardo, come sostenuto da un'autorevole dottrina, sebbene l'intento del legislatore è chiaramente quello di fare risparmiare denaro allo Stato sugli indennizzi da corrispondere alle parti processuali a titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, la tecnica utilizzata non appare certo delle migliori, ponendosi al limite della contrapposizione con i principi costituzionali ed il diritto comunitario.

Le conclusioni rassegnate nella pronuncia in commento, costituiscono in effetti, una sorta di cartina di tornasole per affermare che la preoccupazione del legislatore italiano sia non tanto quella di coltivare la finalità acceleratoria del processo civile ovvero quella di porre rimedio ai ritardi della giustizia civile, ma quella di deflazionare il contenzioso riparatorio.

Orbene, fermo restando che il principio della ragionevole durata del processo civile non può esercitare alcuna limitazione sull'attuazione dei precetti costituzionali espressi in forma di regola, perchè quest'ultime, a differenza dei principi, sono soggette ad eccezioni, ma per la loro stessa struttura sfuggono al bilanciamento, forse una via d'uscita potrebbe ravvisarsi nell'attento bilanciamento tra i diversi principi di rango costituzionale, quali, appunto, la ragionevole durata del processo – corollario del giusto processo – riconducibile all'art. 111, comma 2, Cost. oltre che all'art. 6, par. 1 della Cedu, ed il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost.

Il diritto di difesa, in quanto principio, è definito come inviolabile dalla stessa Carta costituzionale, ed in quanto tale, non può essere eroso in nome dell'efficienza del processo civile o di altri valori ad essa immanenti.

In tale ottica, la ragionevole durata del processo civile può allora soltanto fungere da equilibrato correttivo alla potenziale illimitata espansione delle garanzie sottese all'utile esplicazione del diritto di difesa al fine non di esautorarlo, ma di meglio ottimizzarlo, in tale modo evitando la paralisi di fatto del “servizio giustizia”.

In conclusione, come affermato da una risalente ma autorevole dottrina (Carrè, Commentario sulle leggi della procedura civile, Napoli, 1853, I, Cap. I, IV), “se il prolungamento delle lotte giudiziarie è un male un'imprudente precipitanza nuoce alla indagine dei titoli, alla scoperta del vero e al diritto di difesa”.

Riferimenti
  • T. Potenzano, La ragionevole durata del processo civile. Uno studio di diritto comparato, Torino, 2022, 138 e ss.;
  • R. Giordano, Legittimità costituzionale dei rimedi preventivi quali condizioni di ammissibilità della domanda di indennizzo per irragionevole durata del processo civile, 7 luglio 2020, in www.ilprocessocivile.it;
  • F. Barone, La «legge Pinto» nell'applicazione giurisprudenziale, in Resp. Civ. e Prev., 2020, 1122 e ss.;
  • C. Trapuzzano, L'equo indennizzo per l'irragionevole durata del processo amministrativo spetta anche in mancanza dell'istanza di prelievo, 16 ottobre 2019, in www.ilprocessocivile.it;
  • S. Calvetti, Irragionevole durata del processo e necessaria definitività del processo presupposto: la parola (di nuovo) alla Corte Costituzionale, 1° febbraio 2017, in www.ilprocesso.it.
  • M. Polizzi, I rimedi preventivi per la ragionevole durata del processo civile e la prospettiva di (il)legittimità convenzionale: un epilogo già annunciato? 6 dicembre 2016, in www.eclegal.it.
  • G. Scarselli, Le modifiche alla c.d. legge Pinto poste in essere dalla legge di stabilità 2016 in Foro it., 2016, V, 1 e ss.;
  • A. Romano, La legge Pinto: commento alle modifiche contenute nella legge di stabilità 2016, in Federalismi.it;
  • G. Scarselli, La ragionevole durata del processo civile, in Foro it., 2003, V, 126 e ss. (Si veda Sulla ragionevole durata del processo e ed effettività della tutela giurisdizionale prima delle modifiche del 2015).

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