Somministrazione di lavoro: la reiterazione della missione del lavoratore e il requisito della temporaneità
26 Settembre 2023
Massima
Lo svolgimento di missioni successive del medesimo lavoratore per l'espletamento di identiche mansioni presso la stessa impresa, qualora la durata complessiva della prestazione lavorativa somministrata superi un lasso di tempo che possa essere incluso nel concetto di temporaneità, può essere considerata somministrazione irregolare con conseguente possibilità per il lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore a partire dall'inizio del primo contratto illecito. Spetta all'impresa utilizzatrice dimostrare le ragioni in base alle quali ha dovuto reiterare le missioni al fine di evitare l'imputazione del rapporto. Il caso
La questione affrontata dalla Cassazione riguarda la richiesta di una lavoratrice in somministrazione volta ad ottenere la conversione del rapporto in contratto subordinato a tempo indeterminato nei confronti dell'impresa utilizzatrice e, in subordine, nei confronti dell'agenzia di somministrazione.
La dipendente somministrata riporta che le tre missioni, svolte senza alcuna interruzione temporale, hanno comportato una violazione del principio dell'utilizzo temporaneo del lavoratore somministrato, stabilito dall'art. 1 dir. 2008/104/CE. In relazione a tale domanda la ricorrente si richiama anche all'art. 5.5 della medesima direttiva che prevede che gli stati membri debbano adottare misure affinché il requisito della temporaneità non sia eluso mediante l'utilizzo di missioni reiterate.
Evidenzia, inoltre, che la durata totale delle tre missioni svoltesi senza soluzione di continuità era stata superiore ai 36 mesi che costituiva il limite temporale massimo stabilito dal Legislatore per i contratti a tempo determinato “diretti” all'epoca dei fatti oggetto della controversia.
Sia il Tribunale di Genova che la Corte d'appello avevano respinto i ricorsi della lavoratrice. In particolare, la Corte d'Appello aveva ritenuto la legittimità dei tre contratti di somministrazione respingendo la tesi della ricorrente che si trattasse di un'unica missione prorogata due volte.
Secondo la Corte d'appello l'onere di dimostrare l'assenza di ragioni temporanee per lo svolgimento della missione spettava alla lavoratrice che si era, invece, limitata ad affermare che la durata complessiva delle tre missioni superasse i 36 mesi.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova la lavoratrice presenta ricorso in Cassazione riproponendo le stesse censure in diritto (violazione degli artt. 1 e 5.5 dir. 2008/104/CE). Inoltre, eccepisce l'errore in diritto della sentenza della Corte d'appello che aveva statuito che l'onere probatorio in merito all'assenza di esigenze temporanee a causa dei rinnovi ripetuti della somministrazione, fosse a carico del lavoratore. Le questioni
Quando la reiterazione di missioni per lo svolgimento di identiche mansioni comporta una violazione del requisito della temporaneità della somministrazione?
Nel caso di reiterate missioni del medesimo lavoratore per identiche mansioni presso la stessa impresa utilizzatrice, spetta al lavoratore o all'utilizzatore dimostrare in giudizio la presenza o meno di ragioni temporanee che hanno giustificato il rinnovo della missione o una sua proroga? La soluzione giuridica
La Suprema Corte accoglie il ricorso della lavoratrice riaffermando come il requisito della temporaneità sia essenziale nella somministrazione poiché espressamente previsto dalla dir. 2008/104/CE.
Nel caso del contratto di somministrazione, la sentenza della Corte di Giustizia del 17 marzo 2022, causa C-232/20 ha confermato quanto stabilito dalla sentenza del 14 ottobre 2020, C-681/2020: la temporaneità è un elemento intrinseco della somministrazione. Sulla base di tale principio, qualora il legislatore nazionale non abbia stabilito un limite massimo temporale alla durata della somministrazione, spetta al Giudice valutare caso per caso se l'eccessiva durata della missione e/o il suo rinnovo siano finalizzati ad evitare la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La suprema Corte ricorda come la disciplina nazionale non preveda una durata massima della missione. Ciononostante, la temporaneità della missione in somministrazione costituisce un principio della più volte citata direttiva sul lavoro interinale.
Posto che l'art. 5, § 5, dir. n. 104 non può essere direttamente invocato dal lavoratore in rapporti orizzontali, cioè tra soggetti privati, la possibilità di un'interpretazione conforme delle disposizioni nazionali alla normativa può avvenire mediante disposizioni interne che disciplinano gli effetti di condotte elusive di norme imperative, quali gli artt. 1344 e 1418 c.c. Infatti, le disposizioni delle direttive hanno valore precettivo così come le sentenze della Corte Di Giustizia che le interpretano.
Dunque, sulla base di tali coordinate normative e giurisprudenziali, la Corte Territoriale avrebbe dovuto valutare se nel caso a lei sottoposto sussistesse il requisito della temporaneità della somministrazione. Seppur tale requisito non è espressamente stabilito dalla normativa nazionale, la Suprema Corte ricorda come alle norme nazionali debba essere fornita un'interpretazione conforme a quelle comunitarie, con l'unico limite dell'interpretazione contra legem.
L'ordinanza in commento ricorda come la Corte di Giustizia abbia stabilito che la reiterazione di missioni dello stesso lavoratore somministrato per lo svolgimento di identiche mansioni presso un'unica impresa utilizzatrice senza che sia fornita alcuna spiegazione obbiettiva costituisca un elemento presuntivo di un utilizzo elusivo dell'istituto al fine di evitare l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato in capo all'utilizzatore.
Nel caso di specie, rilevano gli Ermellini, l'impresa utilizzatrice non aveva fornito alcuna motivazione volta a sostenere l'esistenza di una ragione produttiva temporanea da soddisfarsi con il rinnovo delle missioni. Inoltre, la durata complessiva delle missioni era incompatibile con il requisito della temporaneità. I giudici di legittimità motivano la decisione sull'assenza della temporaneità accogliendo la censura di parte ricorrente che aveva evidenziato come le missioni avessero superato la durata di 36 mesi che costituiva il limite massimo di durata per i contratti a termine diretti stabilito dal Legislatore all'epoca dei fatti di causa.
Sulla base di tali presupposti la Corte D'appello di Genova avrebbe dovuto ritenere l'assenza di temporaneità della missione ed accogliere la richiesta della ricorrente. Per questo motivi rinvia alla Corte d'appello in altra composizione affinché emetta una nuova decisione sulla base dei principi di diritto sopra delineati. Osservazioni
L'ordinanza in commento riafferma un recente filone giurisprudenziale che ha avuto inizio nel luglio del 2022 in merito alla valutazione del requisito della temporaneità e della possibile natura elusiva delle reiterate missioni del lavoratore somministrato (Cass. civ., sez. lav, 27 luglio 2022, n. 23531 e Cass. civ., sez. lav., 21 luglio 2022, n. 22861).
Nelle più volte citate due sentenze della Corte di Giustizia il concetto di temporaneità viene esclusivamente collegato alla durata complessiva delle missioni, senza alcun nesso alle esigenze tecnico, produttive e organizzative, tipiche del contratto a termine.
Dunque, ciò che rileva dovrebbe essere esclusivamente la durata complessiva della o delle missioni. Tuttavia, nel caso di reiterazioni di missioni che mettono in dubbio il requisito della temporaneità, la stessa Corte di Giustizia -e sul punto anche l'ordinanza in commento – afferma che il Giudice deve verificare la sussistenza o meno di ragioni temporanee idonee a giustificare la reiterazione delle missioni per il medesimo lavoratore per identiche mansioni.
Dunque, se da un lato la disciplina della somministrazione, sia in ambito comunitario che nazionale, cerca di smarcarsi dalle causali tipiche del lavoro a tempo determinato, dall'altra queste giocoforza rientrano nel caso in cui il requisito della temporaneità venga messo in dubbio.
L'ordinanza in commento omette di analizzare l'applicabilità o meno dei termini decadenziali di cui all'art. 32 del collegato lavoro nel caso di reiterazione di contratti atipici tra le medesime parti. La Suprema Corte nella precedente sentenza del 21 luglio 2022, n. 22861, alla quale l'ordinanza in di cui trattasi si conforma, aveva esplicitamente stabilito che la mancata impugnazione nei termini di legge dei precedenti contratti di somministrazione non costituisse un elemento impeditivo affinché il giudice non potesse considerare la loro durata per valutare la sussistenza o meno del requisito della temporaneità della somministrazione. Diversamente opinando il vincolo della temporaneità sarebbe facilmente aggirabile se al Giudice non venisse concesso di considerare, sul piano quantomeno fattuale, la durata delle missioni non oggetto di impugnazione nei termini di cui all'art. 32 del collegato lavoro.
Sul punto è opportuno evidenziare come sulla base anche del principio in merito al dies a quo della prescrizione della retribuzione dei lavoratori che inizia a decorrere dalla fine del rapporto, a parere di chi scrive in ogni caso i termini decadenziali di cui all'art. 32 del collegato lavoro debbano decorrere, nel caso di reiterazione di contratti atipici, alla fine dell'ultimo contratto e ciò in relazione a tutti i contratti che si sono susseguiti.
È evidente il particolare timore del lavoratore con contratto atipico di effettuare rivendicazioni durante il rapporto perché potrebbero pregiudicare la possibilità di un rinnovo del rapporto o di una stabilizzazione dello stesso. |