Malattia professionale: responsabilità datoriale, individuazione e quantificazione dei danni non patrimoniali chiesti dai congiunti di una vittima di amianto

Marianna Russo
28 Settembre 2023

La sentenza si focalizza essenzialmente su tre nodi da sciogliere: l'accertamento del nesso causale tra l'attività lavorativa svolta con esposizione alle polveri di amianto e la patologia contratta, il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro e l'individuazione e quantificazione dei danni da corrispondere ai congiunti della vittima.
Massima

Provata la nocività dell'ambiente di lavoro, l'azienda non ha fornito la prova liberatoria, indicando l'impossibilità di adempiere all'obbligo di sicurezza e informativo per causa sé non imputabile. Il datore di lavoro non ha provato di avere adottato alcuna misura di protezione, nè gli accorgimenti di prudenza e le cautele che sarebbero state necessarie.

Il caso

La controversia sottoposta al vaglio del Tribunale di Roma concerne la richiesta di risarcimento dei danni iure hereditatis e iure proprio avanzata dai congiunti di un lavoratore che ha prestato servizio per trenta anni alle dipendenze delle F.S. e, dopo il pensionamento, è deceduto per un cancro alle vie respiratorie.

Nelle mansioni ricoperte (cantoniere, operaio dell'armamento, operaio specializzato, tecnico, capo tecnico, capo tecnico superiore e capo tecnico sovraintendente) il de cuius era stato costantemente esposto all'inalazione delle polveri di amianto e di altri cancerogeni residuati da combustioni e fumi di saldatura. Inoltre, l'eziologia professionale della patologia era stata riconosciuta dall'Inail, che aveva costituito la rendita ai superstiti in favore della vedova della vittima.

Alla luce di ciò, i ricorrenti (vedova e figli) chiedono l'accertamento della responsabilità della società convenuta per la malattia professionale che ha causato o concausato la morte del loro congiunto.

La resistente eccepisce, in primo luogo, la nullità del ricorso per genericità ed indeterminatezza della causa petendi e, nel merito, deduce l'assenza di responsabilità extracontrattuale e contrattuale in ordine alla patologia contratta dal de cuius, rilevando l'insussistenza di propri inadempimenti in materia di salute e sicurezza.

Le questioni

Le questioni sottoposte alla valutazione del Tribunale di Roma sono molteplici e concernono diversi profili.

Sotto l'aspetto processuale, il giudice rigetta l'eccezione preliminare di inammissibilità, proposta dalla società convenuta sulla base del fatto che le domande relative al risarcimento del danno iure proprio debbano essere proposte dinanzi al Tribunale civile con il rito ordinario.

Inserendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, la sentenza afferma chiaramente che “la trattazione della controversia da parte del giudice adito con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina inammissibilità della domanda o la nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall'erronea adozione del rito sia derivata una lesione del diritto di difesa, del contraddittorio o un diverso regime probatorio” (v. Cass. 26 settembre 2018, n. 23038; Cass. 30 novembre 2018, n. 31077). E nel caso di specie non è stata dedotta, né provata alcuna lesione del diritto di difesa.

Viene respinta anche l'eccezione di nullità del ricorso, in quanto – seppure siano riscontrate imprecisioni, ripetizioni e ridondanze – risultano comunque identificabili il petitum e la causa petendi.

Nel merito, i nodi da sciogliere sono essenzialmente tre: l'accertamento del nesso causale tra l'attività lavorativa svolta e la patologia contratta, il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro e l'individuazione e quantificazione dei danni conseguenti.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto concerne l'accertamento del nesso causale tra prestazione lavorativa e patologia contratta, al termine di un'accurata istruttoria il giudice è pervenuto al proprio convincimento, avvalendosi sia dell'acquisizione delle dichiarazioni testimoniali di colleghi della vittima, sia della consulenza tecnica d'ufficio.

Alla luce della ricostruzione storica dei fatti è emerso che il de cuius è stato esposto in maniera significativa a sostanze morbigene, in particolare a causa della prassi – confermata da più testimoni – di utilizzare le traversine ferroviarie dismesse come materiale da bruciare per il riscaldamento sia all'aperto, sia nelle stufe presenti negli uffici. In tal modo, il lavoratore ha sistematicamente inalato il creosoto, sostanza altamente nociva, la quale, secondo le conclusioni del c.t.u., rappresenta la concausa dell'adenocarcinoma polmonare che lo ha condotto alla morte.

Dal quadro prospettato emerge con evidenza anche la responsabilità datoriale, in quanto la prassi di impiegare le traversine come legna da ardere per il riscaldamento derivava da precise disposizioni aziendali, senza che ai lavoratori venissero fornite le informazioni relative ai rischi collegati, né gli adeguati dispositivi di protezione (ad esempio, le mascherine) per prevenire le potenzialità dannose dell'inspirazione dei residui di combustione.

Accertata, dunque, la non salubrità dell'ambiente di lavoro, è riscontrabile la violazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro, perché nell'esercizio dell'impresa non ha adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Trattandosi di responsabilità contrattuale, avrebbe potuto essere fornita la prova liberatoria ai sensi dell'art 1218 c.c., indicando l'impossibilità di adempiere all'obbligo di sicurezza e informativo per causa sé non imputabile (v., al riguardo, Cass. 12763/1993; Cass. 14469/2000; Cass. 3162/2002; Cass. 13887/2004), ma, nel corso delle attività processuali, il datore non è stato in grado di dimostrare alcunché.

L'ultimo punto concerne l'individuazione delle poste risarcitorie e le modalità di calcolo adottate per la loro liquidazione.

La domanda risarcitoria iure hereditatis riguarda sia il danno non patrimoniale biologico-terminale, sia il danno patrimoniale. Il primo si identifica nella lesione dell'integrità psico-fisica del dante causa verificatosi nell'intervallo di tempo compreso tra l'insorgenza della malattia e la data del decesso. Quando intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra l'evento lesivo e la morte causata dallo stesso è configurabile un danno biologico subito dal danneggiato, da liquidarsi in relazione alla effettiva menomazione della integrità psicofisica da lui patita.

Nel caso di specie, il c.t.u. ha quantificato n. 151 di inabilità assoluta – tra la diagnosi della malattia e il decesso – essendo le condizioni di salute del de cuius talmente deteriorate e compromesse dal punto di vista clinico-funzionale da rendergli impossibile lo svolgimento di qualsiasi attività.

Tale diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento si trasmette agli eredi iure hereditatis (v. Cass. n. 9470/1997; Cass. n. 1131/1999; Cass. n. 24/2002; Cass. n. 3728/2002). La somma liquidata dal giudice mediante il ricorso alle Tabelle romane – ritenute più idonee delle tabelle milanesi per la soluzione del caso concreto perché consentono di computare il danno biologico in modo distinto da quello morale e di quantificarlo in una dimensione standard – deve essere ripartita tra i coeredi in ragione delle rispettive quote ereditarie.

Non viene, invece, accordato alcun risarcimento del danno patrimoniale, atteso che è mancata al riguardo qualsiasi allegazione in fatto e qualsiasi argomentazione in diritto in ordine all'an ed al quantum del pregiudizio patito.

Osservazioni

Infine, il Tribunale affronta la questione del risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio chiesto dai ricorrenti per la definitiva perdita del rapporto parentale con il congiunto. Alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale avviato con la sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite 11 novembre 2008, n. 26972, il giudice ricorda i princìpi di onnicomprensività e unitarietà del danno non patrimoniale e della sua liquidazione.

In tema di danno non patrimoniale, il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l'esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite (Cass. n. 25541/2022).

Anche in questo caso la liquidazione del danno è avvenuta equitativamente, assumendo come parametro i valori previsti dalle tabelle del Tribunale di Roma.

La pronuncia – ampiamente articolata e argomentata – affronta in maniera chiara e schematica alcuni punti essenziali nella tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore esposto all'inalazione delle polveri di amianto e di altre sostanze cancerogene e fornisce valide indicazioni nell'accertamento delle responsabilità datoriali e delle modalità di individuazione e quantificazione dei danni non patrimoniali spettanti ai congiunti della vittima.

Minimi riferimenti bibliografici

P. Bellocchi, P. Lambertucci, M. Marasca (a cura di), I danni nel diritto del lavoro, Milano, 2022;

M. Biasi, Studio sulla polifunzionalità del risarcimento del danno nel diritto del lavoro: compensazione, sanzione, deterrenza, Milano, 2022;

AA.VV., Memento Pratico Salute e sicurezza sul lavoro, Milano, 2023.

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