Istanza di mediazione e atto introduttivo del giudizio: la necessaria simmetria dei «fatti principali»

02 Ottobre 2023

Il punto affrontato dal Tribunale di Roma riguarda la relazione che deve intercorrere, a livello di contenuto, tra l’istanza di mediazione e l’eventuale e successivo atto introduttivo del procedimento giudiziario perché la condizione di procedibilità possa considerarsi validamente assolta.

Massima

Affinchè si possa considerare assolta la condizione di procedibilità, gli  accadimenti narrati in fase di mediazione devono essere corrispondenti e simmetrici a quelli che  saranno poi esposti in fase processuale, dovendo la domanda di mediazione includere tutti e gli stessi elementi fattuali  del futuro giudizio.

Il caso

Dinanzi al Tribunale di Roma  veniva  impugnata  nel suo complesso la delibera adottata  nell'assemblea condominiale del 5 febbraio 2021 sulla base di un vizio formale attinente allo svolgimento della riunione in modalità di videoconferenza, in violazione  delle disposizioni dell'art. 66, comma 6, disp. att. c.c. (come integrato dalla legge n. 126/2020 in sede di conversione del d.l. n. 104/2020) e, quanto ai consuntivi 2019 e 2020, sul rilievo dell'attribuzione  all'attore di somme non dovute (perché afferenti a  spese individuali) nonché  sulla mancata contabilizzazione di pagamenti afferenti esercizi precedenti.

Sull'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione per decorso del termine decadenziale  in conseguenza dell'asimmetria tra l'istanza di mediazione - riferita invece alle sole delibere di approvazione  del bilancio consuntivo 2019 e 2020, genericamente contestate per attribuzione di somme non dovute dall'istante - e la domanda giudiziale, il Tribunale emetteva la sentenza in commento.

La questione

Le questioni esaminate dal Tribunale sono due.

La prima  si colloca nel perimetro della verifica giudiziale  della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 che può considerarsi assolta, tenuto conto della ratio del procedimento, ove investa le questioni poi sottoposte al vaglio giudiziale.

Il punto, quindi, affrontato dal Tribunale di Roma riguarda la relazione che deve intercorrere, a livello di contenuto, tra l'istanza di mediazione e l'eventuale e successivo atto introduttivo del procedimento giudiziario perché la condizione di procedibilità possa considerarsi validamente assolta.

Il contenuto della prima  è attualmente disciplinato dall'art. 4, comma 2,  del d.lgs.  n. 28/2010 a tenore del quale «la domanda di mediazione deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa».

Proprio il d.lgs. n. 149/2022, per indicare l'atto con cui si incardina il procedimento di mediazione,  ha sostituito, al citato articolo 4, il sostantivo «istanza» (di mediazione)  con «domanda». Secondo la Relazione illustrativa all'art. 7, lett. c), del d.lgs. n. 149/2022 la modifica sarebbe stata giustificata proprio  per evitare la confusione  fra la domanda (relativa  al contenuto dell'atto introduttivo del procedimento di mediazione) e istanza (relativa al documento contenente la domanda) attesa la inutilità pratica di mantenere tale distinzione.

La seconda  e conseguenziale questione, specifica della materia condominiale, inerisce le conseguenze di una  irrituale introduzione della mediazione che, in generale, può essere reiterata, ma nella materia condominiale, potendo la parte interessata beneficiare dell'effetto interruttivo del termine decadenziale di cui all'art. 1137 c.c., per una sola volta, alla instaurazione di una mediazione invalida conseguirebbe lo spirare del termine per la impugnativa.

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima questione la citata unificazione terminologica di cui all'art. 4, comma 2,  si riflette su tutto il d.lgs. n. 28/2010, come novellato dalla riforma c.d. Cartabia, che si riferisce ormai in maniera uniforme alla domanda di mediazione, senza fare  più alcun richiamo all'istanza.

Come evidenziato dal tribunale di Roma nella pronuncia in commento, anche con richiami al precedente dello stesso ufficio giudiziario (Trib. Roma, sez. V, sent., 11 gennaio 2022, n. 259, dott. Corbo), il contenuto della previsione normativa (art. 4, comma 2, cit.) è «praticamente equivalente» a quello dell'art. 125 c.p.c. , concernente, in generale, i contenuti minimi di qualunque atto introduttivo di un procedimento giudiziale (che poi si declina diversamente nell'art. 163 c.p.c. quanto alla citazione, e nell'art. 167 c.p.c.  per la comparsa di costituzione e risposta).

Ai sensi dell'art. 125, comma 1, c.p.c., salvo che la legge stabilisca diversamente, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso ed il precetto devono contenere l'indicazione dell'ufficio giudiziario, delle parti, dell'oggetto, delle ragioni della domanda nonché delle conclusioni.

Il Tribunale di Roma, muovendo da questa constatazione, ha ritenuto che l'applicazione dell'art. 4 implichi che vi debba essere simmetria tra «i fatti narrati in sede di mediazione ed i fatti esposti in sede processuale, almeno per quelli principali» : diversamente dovrebbe essere dichiarata la improcedibilità per mancato assolvimento della condizione prevista dal legislatore.

L'art. 4 richiede espressamente, si osserva,  tra i contenuti essenziali della domanda di mediazione, le «ragioni della pretesa»: come il Tribunale di Roma ha precisato, con tale locuzione può intendersi, in un procedimento deformalizzato come quello di mediazione,  la allegazione di una situazione ingiusta  per la quale si prospetti una futura azione di merito, con il riferimento, tuttavia,  a tutti  e gli stessi elementi fattuali che saranno invocati nel giudizio contenzioso.

Occorre quindi la individuazione della situazione ritenuta ingiusta  dal punto di vista di parte istante e per la quale potrebbe poi essere promossa un'azione . In un caso affrontato dal Tribunale di Verona (sez. III, ordinanza 11 febbraio 2020) – in ambito di mediazione obbligatoria  in tema di contratto di intermediazione finanziaria, non erano stati esplicitati i profili  di inadempimento  addebitati alla parte invitata.

Mentre non è richiesta la indicazione degli «elementi di diritto», come nel caso della citazione ex art. 163 c.p.c. o del ricorso ex art. 414 c.p.c.  (e, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., per gli atti in generale).

La ulteriore questione inerisce prettamente la materia condominiale.

Ove la mediazione non possa considerarsi  validamente svolta, alcun effetto validamente interruttivo si sarebbe prodotto con conseguente spirare del termine di impugnazione, soggetto, in ambito condominiale, ad un termine di decadenza che viene interrotto, per una sola volta, dalla comunicazione (da parte dell'organismo oppure direttamente a cura dell'istante stesso) dell'istanza di mediazione all'altra parte ed inizia nuovamente a decorrere dalla data del deposito del verbale conclusivo di mediazione.

L'«effetto interruttivo», si legge nella sentenza in commento, «può essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all'istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell'istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, già dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito. Ed è sempre in virtù della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l'interruzione delle decadenze. Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell'impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una “istanza” che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l'istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte».

Nel contenzioso condominiale visto lo stretto termine previsto dall'art. 1137 c.c., ciò comporta, quindi, la decadenza dall'impugnazione delle deliberazioni assembleari.

Osservazioni

La pronuncia in esame ci consente di riflettere sui  limiti della equiparabilità della «domanda» di mediazione rispetto alla  domanda giudiziale.

Nonostante l'art. 4, comma 2, ricalchi, come detto,  il contenuto dell'art.163 c.p.c., la indicazione del diritto controverso nel procedimento di mediazione ha funzione ed effetti più limitati  dalla enunciazione del petitum e  della causa petendi nella domanda giudiziale.

Non trova applicazione, tra la domanda di mediazione e il contenuto del regolamento negoziale,  il principio della necessaria corrispondenza  tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art.112 c.p.c.  potendo la convenzione negoziale vertere anche  su rapporti giuridici diversi da quelli dedotti  nella domanda giudiziale.

La domanda di mediazione non è trascrivibile  non limitando l'oggetto del futuro accordo sicché la detta non avrà gli effetti conservativi, sul piano della pubblicità immobiliare  a quelli prodotti dalla domanda giudiziale, quand'anche la domanda di mediazione avesse il contenuto   degli artt. 2652 e 2653 c.c.

La Riforma ha precisato, poi,  quanto all'incidenza della domanda di mediazione sugli effetti della prescrizione e decadenza che il momento di produzione degli effetti sopra descritti deve ancorarsi non al momento in cui la comunicazione è «inviata»  ma a quello in cui essa perviene a  conoscenza delle parti e, quindi, dalla «ricezione» secondo la statuto normativo  dell'art.1334 c.c. Anche in questo ambito vale la pena  evidenziare la non applicabilità alla «domanda di mediazione» del principio enunciato dalla sentenza a Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 24822/2015 della  scissione degli effetti della notifica per il mittente e per il destinatario, che si applica solamente agli atti processuali (in questo senso anche la sentenza n. 2214/2022 della commissione Tributaria Regionale del Lazio).

Tuttavia, la ratio per cui  l'istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, introducendo in sede di mediazione gli elementi fattuali che saranno introdotti in sede giudiziale, è intuibile e duplice: consentire all'istituto giuridico della mediazione civile e commerciale di espletare la relativa funzione deflattiva; porre l'altra parte, ovverossia parte chiamata in mediazione, nelle condizioni di conoscere la materia del contendere nonché di prendere adeguatamente posizione su di essa (come si può leggere anche in Trib. Roma, sez. V, sent. 28 febbraio 2023, n. 3333).

Ne consegue che una domanda generica sotto il profilo del petitum o, come è avvenuto nel caso esaminato dal tribunale,  sotto il profilo della causa petendi non può essere considerata espletata in maniera valida e comporta, come conseguenza, l'improcedibilità della domanda giudiziale; - quanto alla domanda giudiziale, qualora essa si presenti anche solo in parte diversa dalla domanda di mediazione ed esuli quindi, se pur parzialmente, da questa, dovrebbe considerarsi «nuova» con la sola precisazione, operata, condivisibilmente dal Tribunale di Verona (sez. III, sent., 26 aprile 2021), per cui la difformità tra istanza di mediazione e atto introduttivo del successivo giudizio -  quanto a oggetto e ragioni della pretesa - è rilevabile quando, nel giudizio di merito, la domanda abbia non soltanto un petitum più ampio ma anche, al suo fondamento, fatti costitutivi ulteriori rispetto a quelli dedotti nell'ambito della procedura stragiudiziale.

Riferimenti

F.P. Luiso, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano;

M. Marinaro, a cura di Diritto della mediazione civile e commerciale, GRUPPO24ORE, 2023;

R. Metafora, Mediazione (procedimento di), Bussola di inquadramento del 1.6.2020 in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it).

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