Eccesso di potere giurisdizionale e definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati

La Redazione
02 Ottobre 2023

La Corte di cassazione, nel caso di specie, ha definito il giudizio in conformità alla proposta di definizione accelerata, applicando il terzo e il quarto comma dell'art. 96 c.p.c., come testualmente previsto dall'art. 380-bis, ultimo comma, c.p.c. 

La vicenda esaminata riguardava un contenzioso promosso davanti al giudice amministrativo avente ad oggetto la validità di un permesso di costruire. Le sentenze del TAR venivano impugnate avanti al Consiglio di Stato, che, riuniti gli appelli, decideva per l'annullamento del permesso di costruire, in considerazione del fatto che il titolo edilizio era stato rilasciato ab origine illegittimamente.

Contro la decisione del Consiglio di Stato veniva proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost., con cui veniva censurata la decisione del giudice amministrativo di secondo grado per eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giurisdizione (asserito omesso esame di un motivo di gravame, ritenuto assorbito dai primi giudici e riproposto con l'atto di appello).

In applicazione dell'art. 380-bis, comma 1, c.p.c. (nel testo sostituito dall'art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. n. 149/2022, il Primo Presidente della Corte ha formulato una proposta di definizione accelerata (PDA) del giudizio, ravvisando l'inammissibilità del ricorso che evidenziava eventuali errores in procedendo non rilevanti sul piano dei limiti esterni della giurisdizione e come tali incensurabili in questa sede.

Il ricorso veniva però considerato inammissibile, come già anticipato dalla proposta di definizione accelerata. Osserva infatti il Collegio, richiamando il proprio costante e più recente orientamento, che il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, ex art. 111, comma 8, Cost. ed art. 362, comma 1, c.p.c., concerne le sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per «invasione»o «sconfinamento» nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per «arretramento» rispetto ad una materia che può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull'erroneo presupposto di quell'attribuzione. Il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione non comprende, dunque, anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento rientra nell'ambito del sindacato afferente ai limiti interni della giurisdizione (tra le tante, v. Cass. sez. un. n. 11549 del 2022; Cass. sez. un. n. 14301 del 2022; Cass. sez. un. n. 15573/2021; più di recente, v. anche Cass. sez. un. n. 25503/2022). Tale orientamento è del tutto in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Ed infatti, con la sentenza n. 6/2018 il giudice delle leggi ha affrontato il tema in modo approfondito, superando radicalmente le precedenti oscillazioni giurisprudenziali e disattendendo la tesi, emersa in alcune pronunce della Corte di legittimità, che propugnava un certo ampliamento del concetto di «motivi inerenti alla giurisdizione», attraverso una interpretazione volta ad estendere il perimetro del controllo della Cassazione in ulteriori ambiti, variamente definiti dalle singole pronunce.

Da ultimo, i giudici evidenziano che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell'art. 380-bis, ultimo comma, c.p.c., a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Primo Presidente. La Corte, pertanto, avendo definito il giudizio in conformità alla proposta deve applicare il terzo e il quarto comma dell'art. 96 c.p.c., come testualmente previsto dal citato art. 380-bis, ultimo comma, c.p.c. Trattasi di una novità normativa (introdotta dalla c.d. riforma Cartabia) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, comma 3, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96, comma 4, c.p.c. ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, avvertono i giudici della Suprema Corte, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale). Non attenersi ad una valutazione del Presidente della Sezione che poi trovi conferma nella decisione finale lascia certamente presumere una responsabilità aggravata.

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