I profili di incostituzionalità della legge di delegazione europea 53/2021 e del d.lgs. n. 83/2021
A distanza di più di un anno da quando è stato emanato il d.lgs. n. 83/2022, meglio noto come “Secondo Decreto Correttivo” del Codice della crisi e dell'insolvenza (del quale ha anche disposto l'entrata in vigore a far data dal 15 luglio 2022, appunto poco più di un anno fa), il momento è ormai maturo per fare qualche maggiore riflessione, a mente fredda, sulle molteplici ed incisive modifiche che ha apportato al preesistente testo del Codice al dichiarato fine di adeguarlo alla Direttiva Insolvency 1023/2019.
In larga parte tali modifiche presentano, infatti, e purtroppo, profili critici sotto svariati aspetti, a cominciare da un duplice profilo di illegittimità costituzionale che rende quanto mai urgente un intervento legislativo volto a sanarlo.
Il d.lgs. n. 83/2022 appare infatti come il “frutto avvelenato” della legge di delegazione europea (la legge 53/2021) sulla cui base esso è stato emanato in sede attuativa, legge che è solo eufemistico definire “dai piedi d'argilla”, tenuto conto dell'illegittimità costituzionale per difetto di delega da cui è oggettivamente e chiaramente affetta.
Conseguendone che proprio tale vizio è la prima e più importante spada di Damocle che grava sul futuro del Codice della crisi e dell'insolvenza, ad ulteriore danno, e beffa - ça va sans dire - dei tanti interpreti, operatori ed imprese coinvolte in situazioni di crisi, che avrebbero non solo la necessità, ma anche tutto il diritto di contare su almeno un minimo di certezza e chiarezza nell'applicazione del Codice.
A tale conclusione porta la considerazione che anche per le leggi di delegazione europea valgono le stesse regole dettate in linea generale dalla Costituzione per l'esercizio della delega al Governo (art. 76 Cost.: “L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”). Questo necessario ossequio alla norma costituzionale da parte delle leggi di delegazioni europea si evince, del resto, positivamente, anche in virtù del combinato disposto degli artt. 31 della l. n. 234/2012, che fissa – tra l'altro – l'iter di formazione della legge di delegazione europea e della legge europea (nonché i criteri per la relativa redazione), e art. 14 della l. n. 400/1988, che, a sua volta, indica in che modo il Governo deve emanare i decreti legislativi attuativi; tali norme rinviando, infatti, riproponendole, alle stesse regole prescrittive di cui al citato art. 76 Cost.
In ogni caso la Consulta ha più volte evidenziato che la delega legislativa è strumento suscettibile di essere impiegato, e viene doverosamente impiegato, anche per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, specialmente in quanto correlato ad una fonte, come la direttiva, bisognosa di ulteriore svolgimento a livello di legislazione nazionale. In tal caso, i principi espressi dalla direttiva si aggiungono a quelli che devono essere necessariamente dettati dal legislatore delegante ed assumono (ma – ovviamente - solo quando questi siano stati dettati) valore di parametro interposto, in quanto idonei a contribuire a stabilire il contenuto e i limiti del potere del legislatore delegato (C. cost. 25 novembre 2016, n. 250, 19 ottobre 2015, n. 210 e 7 giugno 2013, n. 134). L'attuazione di una normativa comunitaria – ove costituisca, secondo l'espressa intenzione del legislatore, la finalità della delega – rappresenta dunque un criterio di determinazione e di interpretazione dei principi e dei criteri direttivi fissati per l'esercizio della delega (C. cost. 29 aprile 1996, n. 132), esercizio, però, evidentemente impossibile ove la legge di delegazione taccia del tutto sui principi e criteri direttivi cui il Governo dovrebbe attenersi.
In ultima analisi, anche la legge di delegazione europea deve necessariamente contenere la “determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.
Se si esamina, però, la legge di delegazione europea 53/2021, che contiene anche la delega per l'attuazione della Direttiva Insolvency 1023/2019 (la quale risulta di fatto semplicemente richiamata nell'elenco delle direttive da attuare di cui all'allegato 1 della medesima l. n. 53/2021), ci si avvede dell'assoluta mancanza di qualunque indicazione di principi e criteri direttivi.
Si è trattato quindi di un'illegittima ed assoluta “delega in bianco" (di cui già alcuni Autorevoli commentatori si sono avveduti, ma stranamente serbando uno “scaramantico” silenzio sulle esiziali conseguenze che da tale assoluta mancanza di principi e criteri direttivi potrebbero conseguirne, quasi che, non evocandole, esse fossero per ciò stesso scongiurate).
Illegittima, tale “delega in bianco”, perché è il Parlamento l'ordinario titolare della funzione legislativa, e proprio per tale motivo non sono ammesse deleghe in bianco o a tempo indeterminato. Risultano, perciò, costituzionalmente illegittime leggi-delega prive di principi e criteri direttivi sufficientemente precisi (o della fissazione di un limite per l'esercizio della delega o dell'individuazione di un oggetto definito rispetto al quale il Governo è abilitato a legiferare).
Su questi aspetti la giurisprudenza costituzionale (come è stato chiaramente posto in luce anche in una Relazione redatta dal Servizio Studi della Corte costituzionale, a cura di R. Nevola e D. Diaco, La delega della funzione legislativa nella giurisprudenza costituzionale, in www.cortecostituzionale.it/documenti, di cui sono debitore per i brevi e pedissequi cenni qui riportati a proposito dei requisiti della delega) appare caratterizzata da una sostanziale continuità ed omogeneità di indirizzi, e può quindi considerarsi consolidata.
Secondo la giurisprudenza della Consulta, dunque, l'art. 76 Cost. prescrive contenuti costituzionalmente necessari della legge di delega (C. cost. 11 maggio 2017, n. 104 e C. cost. 27 giugno 2012, n. 162), la cui mancanza è suscettibile di determinarne l'illegittimità costituzionale.
I limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale può essere emanata la legge delegata e degli oggetti definiti servono a circoscrivere il campo della delegazione al fine di evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l'hanno determinata (C. cost. 3 giugno 1998 n. 198 e C. cost. 26 gennaio 1957, n. 3).
La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore delegato, e la conseguente inammissibilità di deleghe in bianco, si giustificano con le finalità della delega e, più in generale, con l'assetto delle attribuzioni disegnato dalla Costituzione per una forma di governo fondata sul ruolo centrale del Parlamento, cui l'art. 76 Cost. impone di non delegare i suoi poteri se non con vincoli precisi (C. cost. 19 dicembre 1962, n. 106).
Quando quest'ultima ipotesi si verifica, la Corte ritiene che si possano direttamente dichiarare incostituzionali le disposizioni della delega: la legge di delega può, cioè, essere dichiarata incostituzionale quando il legislatore delegante non abbia determinato “principi e criteri direttivi tali da consentire al Governo l'esercizio della funzione legislativa in modo conforme a Costituzione” (C. cost. 22 luglio 2010, n. 278, che richiama C. cost. 4 maggio 1990, n. 224; cfr. anche le sentenze C. cost. 7 ottobre 1993, n. 359 e C. cost. 18 novembre 2000, n. 503).
In sostanza, la Corte costituzionale è legittimata a sindacare la costituzionalità tanto della legge-delega quanto del decreto delegato, come essa stessa ha stabilito fin dalla sentenza C. cost. 26 gennaio 1957, n. 3; ma l'esame della legittimità della legge di delegazione, della quale si assuma l'incostituzionalità, è pregiudiziale rispetto a quello della legge delegata, che, evidentemente, non potrebbe trovare applicazione se la fonte da cui trae la sua efficacia normativa fosse illegittima (Corte cost., sentenza n. 106/1962).
Poste tali premesse, e ritornando al nostro problema, il fatto che la legge di delegazione europea 53/2021 abbia omesso qualsiasi indicazione sui principi e criteri direttivi da seguire per l'attuazione della Direttiva 1023/2019 lascia prospettare, di conseguenza, il forte rischio - ove la questione di legittimità costituzionale fosse portata dinanzi alla Consulta - di una possibile declaratoria di incostituzionalità della suddetta legge per violazione dell'art. 76 Cost., in quanto contenente un'assoluta “delega in bianco”.
Peraltro, il difetto di delega è in tal caso tanto più sorprendente se si considera che la Direttiva non soltanto, come del resto è tipico di ogni direttiva, ha semplicemente posto gli obiettivi che i Paesi dell'UE avrebbero dovuto perseguire al fine di garantire, come dispone il suo art. 4, comma 1, “qualora sussista una probabilità di insolvenza”, che “il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l'insolvenza e di assicurarne la sostenibilità economica”, mentre sarebbe spettato ai singoli Paesi definire attraverso disposizioni nazionali specifiche come conseguire gli obiettivi stessi; ma è stata anche infarcita di molte norme “aperte”, ossia tali da lasciare molto spazio alle scelte da parte dei Paesi membri nell'individuazione in concreto delle soluzioni normative preferite per perseguire gli obiettivi fissati, in molti casi restando liberi finanche di non effettuare alcuna modifica ordinamentale, di talché nel caso di specie sarebbe stato più che mai necessario che il Parlamento specificasse le scelte alle quali poi il Governo avrebbe dovuto attenersi – tra le possibili opzioni - nell'attuazione della delega.
Ma guarda caso, purtroppo, il Governo ha fatto ampio ricorso proprio all'ampia facoltà di scelta lasciata ai Paesi membri per la selezione delle soluzioni normative con cui perseguire gli obiettivi fissati, interpretando il compito di attuare la Direttiva come se la mancata specificazione dei principi e criteri direttivi lo autorizzasse ad apportare qualsivoglia modifica al Codice.
Il che rappresenta a sua volta, evidentemente, una criticità di non poco momento, aggiungendo benzina sul fuoco, ed aggravando ancor di più, se possibile, il già spinoso problema dell'illegittimità costituzionale derivativa che vizia il Decreto 83/2022 per aver dato attuazione ad una legge di delegazione europea priva di principi e criteri direttivi.