Aborto spontaneo per errore medico: danno alla salute o danno alla genitorialità?

La Redazione
02 Ottobre 2023

Secondo il Tribunale di Agrigento, in tema di responsabilità medica, deve essere dichiarato inammissibile l’ATP con finalità conciliativa sul presupposto che la «lesione del diritto alla genitorialità» a seguito di un aborto causato da un errato trattamento sanitario «non costituisce danno alla salute» e non è quindi suscettibile di valutazione medico legale. Il CTU non potrebbe quindi formulare alcuna proposta conciliativa.

A seguito di un'embolia polmonare subita da una donna in stato di gravidanza e conseguente aborto spontaneo, il ginecologo di fiducia veniva citato in giudizio per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della sua condotta negligente.

Veniva proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo ai sensi della l. n. 24/2017, c.d. legge Gelli-Bianco, affinchè un collegio peritale provvedesse all'accertamento del nesso di causalità e della conseguente liquidazione del danno.

Il Tribunale, con il decreto in oggetto, precisa che «è incontestato il verificarsi dell'evento consistente nello shock cardiocircolatorio subito dalla ricorrente, seguito da un breve stato di coma e successivo aborto spontaneo, in seguito alla conclamata embolia polmonare, risultando tuttavia controverso se in tale accadimento possa ravvisarvi una colpa medica quale causa – o concausa – dell'evento».

Tuttavia, aggiunge il giudice, i ricorrenti «non hanno rappresentato alcuna conseguenza pregiudizievole che sarebbe stata patita», non essendo stati specificamente allegati danni patrimoniali «né tantomeno, neppur in via meramente presuntiva, danni non patrimoniali».

Nel provvedimento si legge inoltre che «la ricorrente, già alla terza gravidanza (nella cartella clinica si riferisce “pluripara”), al momento dell'aborto aveva circa 34 anni e, quindi, in età tale da potere comunque avere altri figli, non avendo inoltre, perso la capacità di procreare e non essendovi allegazioni su ripercussioni negative sulla vita coniugale e/o sessuale della stessa».

Inoltre, viene messo nero su bianco che «l'unico eventuale pregiudizio che potrebbe semmai rilevare – invero nel caso di specie nemmeno dedotto in modo specifico – è la perdita del frutto del concepimento che, tuttavia, non costituisce perdita di una vita ma la perdita di una “speranza di vita”».

Con riferimento a tale specifico aspetto, il giudice afferma che lo svolgimento dell'ATP con finalità conciliativa si rivela inammissibile «in quanto, come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza, la perdita del frutto del concepimento non costituisce un danno alla salute ma lesione del diritto alla genitorialità (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1998, n. 2677); dunque una posta risarcitoria non suscettibile di valutazione medico legale, non potendosi ancorare alle tabelle di Milano in uso per la liquidazione da perdita del rapporto parentale, stante l'impossibilità di equiparare il danno conseguente alla perdita di una persona vivente, con la quale si aveva un legame affettivo, con la perdita del concepito (non nato), non ancora dotato di una sua autonomia soggettiva». Tali aspetti sono dunque riservati alla valutazione del giudice nello svolgimento di un giudizio a cognizione piena diretto alla liquidazione equitativa che tenga conto di tutti gli elementi del caso concreto.

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