L’accertamento dell’effettiva instaurazione del rapporto professionale tra imputato e difensore
04 Ottobre 2023
Massima Ai fini della corretta instaurazione del giudizio in assenza dell'imputato, può essere ritenuta sintomatica della conoscenza del processo la dichiarazione del difensore d'ufficio di avere avuto un contatto telefonico con l'imputato in vista dell'udienza a seguito del quale veniva concordata la richiesta dell'interrogatorio da parte dell'imputato, in quanto significativa sia della effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale e l'imputato sia della conoscenza del processo da parte dell'imputato. Il caso La Corte d'appello milanese rigettava l'istanza di rescissione del giudicato proposta dal condannato. La sentenza impugnata aveva ritenuto esente da vizi il procedimento di primo grado celebrato in assenza dell'imputato nella misura in cui, a seguito dell'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio effettuata nel corso delle indagini preliminari, si era instaurato un effettivo rapporto professionale tra l'imputato ed il difensore d'ufficio. In particolare, il Tribunale di prime cure aveva valorizzato – ai fini della verifica della conoscenza dell'iter processuale rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. – l'esistenza di un contatto telefonico tra imputato e difensore e la successiva concorde decisione di richiedere un rinvio dell'udienza dibattimentale per procedere all'interrogatorio dell'imputato. Avverso la pronunzia della Corte d'appello, il condannato proponeva ricorso per cassazione affermando che i Giudici di secondo grado avevano erroneamente interpretato ed applicato l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. in quanto, da un lato, l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio – fatto sintomatico che consente di poter proseguire il procedimento in absentia – era stata effettuata nella fase delle indagini preliminari ed a margine di un atto che non recava indicazione dell'esatto procedimento pendente e, dall'altro lato, non poteva dirsi sussistente un effettivo rapporto difensivo nella misura in cui l'unico contatto telefonico tra imputato e difensore non risultava idoneo a dimostrare la conoscenza del processo. La Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore della Cassa delle Ammende. La questione Con la pronuncia in commento ci si chiede se, a fronte dell'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, un contatto telefonico tra il difensore e l'imputato da cui sia derivata la concordata scelta di richiedere l'interrogatorio della parte processuale sia sufficiente per considerare effettivo il rapporto professionale instaurato tra difensore ed imputato e, quindi, idoneo a considerare il protagonista dell'iter processuale a conoscenza della fase processuale e, di conseguenza, sufficiente a fondare la pronunzia dell'ordinanza dichiarativa dell'assenza dell'imputato. Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, prima di analizzare il caso concreto, premette che il fulcro del giudizio di rescissione ex art. 629-bis c.p.p. deve essere individuato nella valutazione della «sintomaticità dei comportamenti tenuti dall'imputato rimasto assente nel corso dell'intero processo, specie nel caso in cui abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza: l'imputato, dunque, ha l'onere di allegare […] gli elementi che hanno determinato l'ignoranza del processo a lui non imputabile». Ciò premesso, i Giudici di legittimità sono chiamati a valutare la corretta instaurazione del giudizio in absentia fondato sul fatto sintomatico dell'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio. Tale valutazione impone, di accertare documentalmente non solo l'esistenza dell'atto con il quale l'imputato ha eletto domicilio, ma anche – e soprattutto – l'instaurazione di un effettivo rapporto professionale tra difensore ed imputato e tale da far ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del processo. La Suprema Corte ritiene che «la dichiarazione del difensore di ufficio, riportata nel verbale di udienza […], di avere avuto un contatto telefonico con l'imputato fin dalla prima udienza e concordato di chiederne l'interrogatorio» rappresenti la prova dell'esistenza in concreto di un rapporto professionale tra difensore ed imputato da cui si può evincere la conoscenza del processo. In particolare, il provvedimento in commento pone l'accento sul fatto che il difensore e l'imputato, pur a fronte di un colloquio solo telefonico, abbiano concordato di richiedere un rinvio d'udienza per l'espletamento di un atto processuale – id est l'interrogatorio – che avrebbe dovuto essere compiuto con la necessaria partecipazione dell'imputato. Pertanto, secondo il ragionamento dei Giudici di legittimità, l'imputato non poteva che conoscere l'iter processuale celebrato a suo carico posto che aveva deciso di intervenire personalmente. Inoltre, la Suprema Corte precisa che – a differenza di quanto sostenuto dal condannato – la dichiarazione rilasciata dal difensore d'ufficio in relazione all'esistenza del contatto telefonico e del contenuto di questo non richiedono alcuna particolare forma di documentazione posto che, da un lato, la valutazione dell'effettività del rapporto tra difensore e imputato è rimessa al prudente apprezzamento del giudice e non risulta subordinata al rispetto di forme tipiche e, dall'altro lato, la mera dichiarazione del difensore riportata a verbale appare prova sufficiente «in ragione della qualità personale del dichiarante». Alla luce di tali considerazioni, la Corte di cassazione ritiene che le valutazioni del giudice di prime cure e della Corte d'appello siano legittime, con la conseguenza che il processo in assenza celebrato a carico del condannato ricorrente appare esente da vizi in quanto fondato su una corretta interpretazione dell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. Osservazioni Il provvedimento in commento si colloca nel solco interpretativo tracciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. pen., sez. un., 17 agosto 2020, n. 23948, Darwish Mhamed Ismail) le quali hanno precisato che il processo in absentia potrà essere celebrato solo se, all'esito di una valutazione fattuale operata dall'Autorità Giudiziaria procedente, la dichiarazione e l'elezione di domicilio, l'applicazione di misure pre-cautelari e cautelari, la nomina di un difensore di fiducia e la ricezione personale della notifica dell'avviso dell'udienza da parte dell'imputato si siano effettivamente ed in concreto tradotte in un momento conoscitivo per il soggetto sottoposto a processo. Tale risultato esegetico ha un'evidente ricaduta sistematica. Infatti, ritenere che il compimento di uno dei comportamenti o delle attività indicati dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. sia idoneo ad instaurare l'iter processuale senza la presenza dell'imputato solo se le modalità con cui il fatto sintomatico si è realizzato in concreto siano tali da rappresentare un reale momento di conoscenza del processo, significa incidere sull'architettura del processo in absentia: da un giudizio in assenza fondato su una triplice presunzione di conoscenza –l'assenza ex art. 420-bis, comma 2, c.p.p. prevede un meccanismo presuntivo secondo il quale da fatto sintomatico si presume la conoscenza del procedimento, da questa si presume la conoscenza del processo e da quest'ultima la volontaria rinuncia a comparire –, si giungerebbe ad un iter procedimentale fondato sull'effettiva conoscenza, proprio attraverso la possibilità – o meglio, l'obbligo – per il giudice di accertare in concreto la consapevolezza dell'imputato in relazione alla vicenda penale che lo vede coinvolto. Pertanto, i fatti sintomatici di cui all'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. non potranno essere considerati come delle mere presunzioni di conoscenza, ma come degli indici che impongono all'Autorità Giudiziaria procedente una concreta verifica delle modalità in cui il fatto sintomatico si è concretizzato all'interno dell'iter processuale: il processo potrà proseguire in absentia dell'imputato, solo se i comportamenti e le attività indicati dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. siano stati per l'imputato delle occasioni di effettiva conoscenza del processo. Con questo contesto esegetico di riferimento, il provvedimento in commento affronta il delicato tema del rapporto instauratosi tra difensore d'ufficio ed imputato ai fini della celebrazione del processo in absentia. In particolare, la Suprema Corte riconosce che ai fini di una corretta instaurazione del processo celebrato in assenza dell'imputato, potrà dirsi efficace solo quella elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio che si sia tradotta in un effettivo e serio rapporto professionale tra il difensore ed il soggetto coinvolto nell'iter procedimentale. In linea con l'orientamento espresso dai giudici di legittimità (cfr. Cass. pen. pen., sez. II, 24 gennaio 2017, n. 9441, Seli; Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2017, n. 16416, Somai; Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2015, n. 37555, Romano e altri; Cass. pen., sez. II, 15 aprile 2015, n. 21393, N; Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 19781, Nikolic e altro; Cass. pen., sez. IV, 18 luglio 2013, n. 991, Auci), la celebrazione del processo in absentia non può fondarsi su una mera elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, soprattutto se effettuata nell'immediatezza dell'accertamento del reato ed antecedentemente all'iscrizione della notitia criminis nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (ContraCass. pen., sez. V, 13 luglio 2017, n. 40848, Fanici e altro; Cass. pen., sez. V, 13 novembre 2015, n. 12445, Degasperi; Cass. pen., sez. V, 7 luglio 2016, n. 36855, Baron; Cass. pen., sez. II, 1 agosto 2016, n. 33574, Suso; Cass. pen., sez. II, 25 gennaio 2017, n. 14787, Xhami; Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2018, n. 34436, Tusha; Cass. pen., sez. I, 18 settembre 2018, n. 57899, Darwish; Cass. pen., sez. IV, 16 ottobre 2018, n. 49916, F.; Cass. pen., sez. II, 23 maggio 2018, n. 25996, Geusa; Cass. pen., sez. IV, 7 maggio 2019, n. 32065, Bianchi; Cass. pen., sez. II, 10 settembre 2019, n. 39158, Hafid Aiumin e Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 2020, n. 10238, G.). Infatti, «l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non può ritenersi di per sé idonea a dimostrare l'effettiva conoscenza del procedimento da parte dell'imputato, ma è necessaria la prova positiva che lo stesso difensore sia riuscito a rintracciare il suo assistito e abbia instaurato un effettivo rapporto professionale con lui» (Varone). Pertanto, non può essere riconosciuta rilevanza al mero compimento di un atto, bensì dovrà essere accertato se, successivamente all'elezione di domicilio, si sia instaurato un tangibile e concreto rapporto tra difensore ed assistito tale da poter ingenerare nell'imputato la conoscenza dell'iter processuale e la conseguente consapevolezza in ordine alla propria scelta partecipativa. Alla luce di tali circostanze, il provvedimento in commento appare condivisibile sia in relazione al metodo utilizzato sia con riferimento al risultato raggiunto. Il processo in absentia oggetto del vaglio dei Giudici di legittimità non risulta fondato su alcun automatismo in quanto l'Autorità Giudiziaria procedente non si è limitata a prendere asetticamente ed automaticamente in considerazione l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, ma ha effettivamente sondato l'atteggiarsi del rapporto difensivo. Alla luce del rifiuto dell'automatismo insito nella formulazione dell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., l'iter logico ed argomentativo del provvedimento in commento appare corretto e coerente con l'interpretazione preferibile e divenuta maggioritaria. Con riferimento al risultato raggiunto, occorre osservare che, nel caso in esame, appare corretto sostenere l'esistenza documentata di un rapporto professionale effettivo tra difensore ed imputato. La mera circostanza di tempo (un incontro) e di modo (contatto telefonico) non sono, di per sé, in grado di condurre a sostenere l'ineffettività del rapporto professionale. Infatti, appare evidente dagli atti processuali – e per stessa ammissione del difensore – che un contatto seppur a distanza e cronologicamente limitato sia stato in grado di rendere edotto l'imputato dell'esistenza del procedimento a suo carico e della fase processuale in cui l'iter processuale si trovava. Inoltre, il difensore ha dato prova di aver concordato con il proprio assistito la strategia processuale da adottare nel caso concreto. Pertanto, emerge con chiarezza l'esistenza di un effettivo rapporto professionale da cui è possibile desumere – rectius affermare – la conoscenza del processo da parte dell'imputato. L'insegnamento della Suprema Corte è condivisibile: se l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. deve essere interpretato senza fare ricorso ad alcun automatismo, allora anche la modalità con cui si articola il rapporto professionale tra il difensore e l'imputato non può essere valutato in astratto, ma solo in concreto. Pertanto, la mera telefonata all'assistito non può condurre sempre e con una certezza matematica a negare la legittimità del processo in absentia, dovendosi verificare il contenuto della telefonata e le scelte processuali derivanti dal contatto con il difensore d'ufficio. Riferimenti
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