Il cumulo di domande di separazione e divorzio nei ricorsi congiunti: un ulteriore passo verso il superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale?
Massimo Vaccari
06 Ottobre 2023
Il contributo si sofferma sulla possibilità di cumulare, nel ricorso congiunto, proposto ai sensi dell’art. art. 473-bis.51 c.p.c., alla domanda di separazione consensuale quella di divorzio.
I termini della questione
Una delle questioni più controverse, ed anche più interessanti, per le sue implicazioni di diritto sostanziale, che sono poste dalla disciplina del rito unico delle persone, della famiglia e dei minorenni è quella relativa alla possibilità di cumulare, nel ricorso congiunto, proposto ai sensi dell'art. 473-bis.51 c.p.c., alla domanda di separazione consensuale quella di divorzio.
Il dubbio si è posto dal momento che il d.lgs. n. 149/2022 contiene, all'art. 473-bis.49 c.p.c., una disciplina specifica del cumulo di domande di separazione personale e di scioglimento o cessazione deli effetti civili del matrimonio, ma non menziona espressamente una analoga possibilità nell'articolo dedicato al procedimento su domanda congiunta.
Sulla questione, in questi primi mesi di applicazione della riforma, si è subito palesato un acceso contrasto interpretativo, sia a livello dottrinale che a livello giurisprudenziale, che vede contrapposte la tesi sfavorevole (vanno annoverate a tale indirizzo la nota del Tribunale di Bari del 6 aprile 2023, quella del presidente del Tribunale di Padova del 7 aprile 2023 nonché le sentenze del Tribunale di Firenze del 15 maggio 2023 e del Tribunale di Ferrara del 5 giugno 2023) a quellapermissiva (si inseriscono in tale indirizzo: la posizione del Tribunale di Genova, espressa nella riunione ex art. 47-quater dell'8 marzo 2023; quella del Tribunale di Vercelli, di cui al protocollo n. 73/2023 del 15 marzo 2023; Trib. Milano, 9 maggio 2023; Trib. Lamezia Terme, 13 maggio 2023; Trib. Salerno, 5 giugno 2023; Trib. Verona, 20 giugno 2023).
La riprova dell'estrema opinabilità della questione si è avuta con la recente ordinanza del Tribunale di Treviso (ordinanza del 31 maggio 2023), che ne ha rimesso la soluzione, in via pregiudiziale, alla Suprema Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis. c.p.c.
La questione è stata ritenuta ammissibile dalla Prima Presidente della Cassazione che l'ha rimessa alla prima sezione civile con decreto del 14 giugno 2023.
Data la rilevanza sia teorica che pratica che della questione è opportuno esaminare nel dettaglio gli argomenti che sono stati addotti a sostegno dell'uno e dell'altro orientamento.
Gli argomenti di carattere normativo e sistematico
A sostegno della tesi restrittiva è stato addotto innanzitutto un argomento di carattere testuale.
Si è infatti evidenziato come la disciplina di cui all'art. 473-bis. 49 c.p.c. sia stata tenuta distinta da quella del successivo art. 473-bis.51 c.p.c. e, inoltre, come quest'ultima norma non contenga nessun richiamo alla prima, cosicchè dovrebbe applicarsi il criterio ermeneutico in base al quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit (sul punto si vedano comunicazione del Presidente del Tribunale di Bari del 6.4.2023, nonché comunicazione del Presidente del Tribunale di Padova del 7.4.2023; Trib. Firenze 16 maggio 2023; Trib. Ferrara 31 maggio 2023).
Una simile scelta costituirebbe, secondo tale indirizzo, puntuale attuazione della voluntas legis espressa dalla legge delega (l. n. 206/2021) che, non solo non menziona il cumulo di domande di separazione e divorzio per i ricorsi congiunti, ma dedica ad essi, all'art. 1, comma 17, lett. o) e comma 23, lett. hh), indicazioni distinte da quelle che riserva al cumulo delle domande, al comma 23, lett. bb).
Ora, tale interpretazione muove da una premessa ricostruttiva non condivisibile, ossia quella che l'art. 473-bis.51 c.p.c. esaurisca la disciplina dei ricorsi congiunti.
A ben vedere così non è perché, se si legge attentamente tale articolo, ci si avvede che esso, a differenza dell'art. 473-bis.49 c.p.c., nel definire, al suo primo comma, unitamente al criterio determinativo della competenza territoriale, il proprio ambito di applicazione, non si riferisce esclusivamente ai procedimenti di separazione personale ma, testualmente, “alla domanda congiunta relativa a tutti i procedimenti di cui all'art. 473-bis.47 c.p.c., norma che, a sua volta, menziona tutte le domande proponibili nell'ambito del procedimento sulla famiglia, i minori e le persone.
Pertanto, tale esteso rinvio consente di ritenere cumulabili nel ricorso congiunto tutte le domande rientranti nel suddetto elenco, purchè tra loro compatibili, quali sicuramente solo quella di separazione e quella di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Questa lettura non è smentita dai commi successivi dell'art. 473- bis.51 c.p.c., atteso che, come chiarisce la relazione al d.lgs. n. 149/2022, il secondo fissa i requisiti di forma e contenuto del ricorso e il terzo disciplina il procedimento a seguito di domanda congiunta, sul modello previsto dall'attuale art. 711 del c.p.c. in attuazione dei principi della legge delega sopra citati.
La legge delega è quindi intervenuta solo su tali specifici aspetti, dopo aver indicato, nella prima parte dell'art. 1, comma 23, lett. hh), la necessità dell'introduzione di un rito unico per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, “modellato sul procedimento previsto dall'art. 711 del codice di procedura civile”, e questo può spiegare perché non abbia espressamente menzionato la possibilità di cumulo delle domande di separazione e divorzio nei ricorsi congiunti.
In ogni caso tale criterio non limita espressamente la possibilità di domanda congiunta ad uno solo degli istituti che elenca.
Se si condivide tale lettura si perviene ad una conclusione opposta a quella indicata dall'orientamento restrittivo: nei procedimenti congiunti la cumulabilità delle domande tra loro compatibili costituisce la regola mentre in quelli contenziosi è l'eccezione.
Vi è poi un ulteriore argomento di ordine sistematico a sostegno della tesi estensiva.
Se al procedimento unico della famiglia si applicano le disposizioni generali del codice di procedura civile, come non pare potersi dubitare, tra esse è ricompreso l'art. 104 che consente la proposizione di una pluralità di domande nei confronti della stessa parte.
GIi argomenti di carattere funzionale
L'ulteriore argomento che viene valorizzato a favore della tesi restrittiva è quello secondo cui la tesi contraria finisce per determinare un allungamento della durata del procedimento congiunto perché, “mentre l'art. 473-bis.49 c.p.c. consente un significativo contenimento del tempo complessivamente necessario per giungere ad una definizione delle domande anche accessorie alle separazione e al divorzio, ove si consentisse il cumulo delle domande… il medesimo procedimento resterebbe pendente per tutto il tempo necessario al maturare dei presupposti per il divorzio” (così testualmente il Tribunale di Firenze nella sentenza sopra citata).
A parere di scrive però una simile prospettiva è alquanto fuorviante perché non considera che il protrarsi del giudizio congiunto dopo la sentenza, necessariamente parziale, di omologa della separazione evita l'instaurazione di un successivo giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che è proprio ciò che il legislatore ha inteso evitare nei giudizi contenziosi, prevedendo la possibilità di cumulare la domanda di divorzio a quella di separazione personale, come può evincersi, ancora una volta, dalla relazione al decreto delegato.
In essa si afferma infatti che, “a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 55/2015, che ha previsto la riduzione dei termini per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla data della comparizione dei coniugi nell'udienza presidenziale del procedimento di separazione, è emersa con sempre maggiore urgenza la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione”.
Da tale passo si desume che l'obiettivo immediato che il legislatore ha inteso realizzare con la disciplina dell'art. 473-bis.49 c.p.c. non è stato quello di contenere i tempi del giudizio contenzioso con cumulo di domande di separazione e di divorzio ma quello di economizzare l'attività processuale, anche se è indubbio che quest'ultimo risultato può determinare anche una minor durata del giudizio di divorzio.
La tesi che consente il cumulo della domanda di separazione e di quelle di divorzio anche nei procedimenti congiunti si pone allora nella medesima prospettiva, diversamente da quanto ritiene l'indirizzo restrittivo.
A ben vedere la prospettiva secondo cui il procedimento su ricorso congiunto è destinato ad essere definito alla prima udienza pare trovare un riscontro nel tenore dell'art.473-bis.51, quarto comma, c.p.c., che sembra contemplare, quale unico esito dell'udienza di comparizione delle parti, e purchè il loro accordo sia avallabile, l'emissione della sentenza di omologa (della separazione), mentre l'art. 473-bis.49 c.p.c. lascia intendere che il giudizio prosegue poichè, al primo comma secondo periodo, precisa che le domande (sott. di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) divengono procedibili decorso il termine previsto dalla legge e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale.
Ora, tale apparente contrasto può essere risolto ritenendo che la previsione da ultimo menzionata possa essere applicata analogicamente, con riguardo allo sviluppo processuale successivo alla sentenza parziale di omologa della separazione, anche per i procedimenti su ricorso congiunto in cui siano cumulate la domanda di separazione e quella di divorzio.
Infatti non risulta di ostacolo ad una simile interpretazione, l'indicazione data dal legislatore delegante, nel sopra citato art. 1, comma 23, lett. hh), l. n. 206/2021, di seguire, nella disciplina attuativa dei procedimenti a domanda congiunta, il modello del procedimento di cui all'art. 711 del codice di procedura civile, ben potendo tale indicazione essere intesa in termini di compatibilità con le peculiarità del caso.
In alternativa può giungersi alla medesima conclusione ritenendo che possa trovare applicazione la norma generale di cui all'art. 473.bis.22, ultimo comma, c.p.c. che prevede l'adozione di una sentenza parziale “quando può essere decisa la domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento deve continuare per la definizione delle ulteriori domande”.
…e quelli di diritto sostanziale
Vi è anche una argomentazione di diritto sostanziale che osterebbe all'ammissibilità del cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti su domanda congiunta.
Si è infatti osservato che se lo si consentisse, pur in difetto di previsione normativa esplicita in tal senso e di una puntuale indicazione da parte della legge delega, si opererebbe in deroga al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale più volte affermato dalla Suprema Corte (l'indirizzo, avviato da una pronuncia alquanto risalente nel tempo, Cass. civ. 11 giugno 1981, n. 3777, è stato ribadito da ultimo da Cass. civ. 26 aprile 2021, n. 11012).
Va però evidenziato che una simile obiezione muove dalla premessa che l'ipotesi del cumulo non sia stata contemplata né nella legge delega né nel decreto delegato ma, una volta che si affermi il contrario, per le ragioni anzidette, deve trarsi la conseguenza che in realtà il legislatore ha inteso proseguire nel percorso di graduale, ma incessante, superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c., avviato alcuni anni fa.
E' opportuno infatti rammentare che già con l'art. 6 del d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014, che ha introdotto, nel nostro ordinamento la negoziazione assistitavolontaria nella materia matrimoniale, quel principio, come è stato osservato da diversi commentatori, è stato messo in discussone per la prima volta.
Con quella novella infatti fu rimessa alla disponibilità delle parti non solo la materia del divorzio, nei casi di cui all'art. 3, lett. b) l. n. 898/1970, ma anche le statuizioni, personali ed economiche, che riguardano la prole minorenne o affetta da handicap, sia pure prevedendo per questi casi in aggiunta al controllo del P.M. quello del Presidente del Tribunale.
Parte della dottrina osservò, all'epoca, che in tal modo fu creata una categoria di diritti intermedia tra quella dei diritti disponibili e quella degli indisponibili e ciò, si noti, avvenne con l'introduzione di norme processuali, cosicchè non può sorprendere che ora sia stato utilizzato lo stesso metodo, anche perché la scelta compiuta allora è stata ribadita e rafforzata dallo stesso d.lgs. n. 149/2022.
Infatti con esso è stato aggiunto al predetto art. 6 un comma 1-bis, che prevede l'utilizzo della negoziazione assistita anche “al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonchè per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate.”
Il comma 3-bis poi prevede che “Quando la negoziazione assistita ha ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell'unione civile, le parti possono stabilire, nell'accordo, la corresponsione di un assegno in unica soluzione. In tal caso la valutazione di equità è effettuata dagli avvocati, mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell'art. 5, ottavo comma, della l. n. 898/1970”.
L'estensione dell'ambito di operatività dell'autonomia negoziale anche nei procedimenti congiunti, nei termini sopra ricostruiti, si inserisce quindi perfettamente in una simile tendenza evolutiva del diritto sostanziale matrimoniale.
E' opportuno poi evidenziare che le pronunce di legittimità sopra citate erano state rese in casi in cui i patti di natura economica erano stati conclusi in un giudizio di separazione consensuale, al quale, a distanza di tempo, era seguito un giudizio contenzioso e quindi in un contesto molto diverso da quello in cui si colloca la possibilità delle parti di cumulare nello stesso processo separazione e divorzio in forma congiunta.
In esso infatti le parti si vedono attribuita la facoltà di scegliere un rito con caratteristiche peculiari e di concordare da subito le condizioni delle due fasi di soluzione della loro crisi coniugale sotto il controllo non solo del P.M. ma pure del giudice che ha ampia possibilità di verificare se il consenso di una di esse a quell'accordo sia o meno viziato, fissando eventualmente un'udienza di comparizione personale delle parti ad hoc, anche laddove non prevista.
Val la pena aggiungere poi che non costituisce un ostacolo al cumulo di domande di separazione e divorzio nei ricorsi congiunti la mancanza di una disciplina dell'iter da seguire dopo la pronuncia di separazione perché tale incertezza caratterizza anche i procedimenti contenziosi in cui siano cumulate le medesime domande.
In questi procedimenti poi non viene nemmeno disciplinata l'ipotesi, che può verificarsi con una certa frequenza, che la separazione originariamente contenziosa diventi consensuale sulla base di un accordo che potrebbe estendersi anche alla fase divorzile.
Nemmeno le incognite sulle conseguenze dell'eventuale revoca, nell'arco di tempo richiesto per rendere procedibile la domanda, del consenso al divorzio (recte ad una o più delle condizioni concordate al momento della presentazione del ricorso) da parte di una delle parti ostano alla praticabilità della soluzione estensiva.
Innanzitutto è dubbio se il consenso sia revocabile, per il solo fatto del trascorrere del tempo, nel momento in cui la Cassazione, sia pure con riguardo al contesto normativo ante riforma, lo aveva sempre escluso (Cass. civ. 24 luglio 2018, n.19540; Cass. civ. 7 luglio 2021, n. 19348), o se invece, proprio il riconoscimento della possibilità di cumulare le domande nei ricorsi congiunti implichi ora che il consenso sia revocabile purchè a fronte di circostanze sopravvenute.
Ma anche ritenendo che si possa rispondere affermativamente a tali interrogativi bisognerebbe poi escludere che vi siano norme che diano indicazioni sul conseguente sviluppo processuale.
Secondo la sentenza del Tribunale di Milano del 5 maggio 2023 la conseguenza della revoca del consenso al divorzio o il ripensamento sulle condizioni originariamente pattuite da parte di una delle parti (si noti per circostanze sopravvenute non definite), in difetto di un nuovo accordo, sarebbe, necessariamente, quella del rigetto della domanda per difetto dell'indicazione congiunta delle relative condizioni.
Si tratterebbe però di un esito, a ben vedere a posteriori, che non è contemplato da nessuna norma.
Non si vede invece perché, in caso di successiva revoca al consenso al divorzio il giudizio non possa proseguire in forma contenziosa in base al disposto dell'art. 473.bis.19, comma 2, c.p.c., norma rientrante tra quelle comuni ai giudizi di primo grado generali, da interpretarsi nel senso che il mutamento delle circostanze in essa citato sia costituito, nel caso di specie, dalla revoca del consenso al divorzio.
Tale soluzione, oltre ad avere un sostegno normativo, a differenza di quella milanese, consentirebbe di perseguire quella finalità di duplicazione dei giudizi che il legislatore, come si è detto, ha inteso realizzare.
Essa peraltro comporta che, se le parti erano assistite da un unico difensore, questo dovrebbe rinunciare al mandato ed essere sostituito da altri due difensori, uno per ciascuna parte.
Alla luce di tale evenienza se una o entrambe le parti fossero state ammesse al patrocinio a spese dello Stato per la fase separativa dovrebbe essere chiesta una nuova ammissione per la fase divorzile con un difensore iscritto negli appositi elenchi.
Costoro sarebbero poi autorizzati a presentare richieste istruttorie o produzioni documentali funzionali alla nuova fase contenziosa proprio in virtù della norma sopra citata, che consente alle parti di proporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni (in questo caso si tratterebbe della precisazione delle conclusioni sulla domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio), “nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori.”
Infine, la regolamentazione delle spese dovrebbe attenersi al criterio della soccombenza per la sola fase divorzile, divenuta contenziosa, mentre la liquidazione delle spese della fase di separazione potrebbe attenersi ad un diverso criterio, eventualmente concordato tra le parti, con conseguente deroga al principio solitamente applicato nel caso di giudizi in cui siano emesse sentenze parziali (sul punto si veda Trib. Verona, 8 agosto 2023).
Riferimenti
C. Costabile, Il punto sul «Separ-orzio», in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 14 giugno 2023;
F. Danovi, Per l'ammissibilità della domanda congiunta (cumulata) di separazione e divorzio (prime riflessioni nell'era della riforma Cartabia), in Dir. e Fam., 2023, 5, 487;
R. Donzelli, Il problema del cumulo delle domande di separazione e divorzio nel procedimento su ricorso congiunto, in www.iudicium.it, 2023, 05;
A. Simeone, Il cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti congiunti, in IUS Famiglie (ius.giuffrefl.it), 13 febbraio 2023;
C. Trapuzzano, Procedura di negoziazione assistita da avvocati, in La riforma del processo civile, Commentario al d.l. n. 132/2014 conv. con mod. in l. n. 162/2014, aggiornato alle circolari Ministeriali nn. 2309/105 e 6/2015, Giuffrè Francis Lefebvre, 2015.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.