La richiesta di definizione di carichi pendenti non sospende la maturazione degli interessi

11 Ottobre 2023

La richiesta di definizione di carichi pendenti non è atto idoneo ad interrompere la maturazione degli interessi relativamente al credito chiesto a rimborso dal contribuente. Solo il provvedimento di fermo amministrativo, portato a conoscenza del contribuente, impedisce il maturare degli stessi sospendendo l'esigibilità del credito.

Così si pronuncia la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 1184 del 3 aprile 2023.

Il caso. In relazione al periodo d'imposta 2010, una società maturava un credito IVA che chiedeva a rimborso mediante la presentazione, in data 30 settembre 2011, della dichiarazione annuale. Nel gennaio 2012, l'Agenzia delle Entrate formulava alla contribuente una richiesta di definizione di carichi pendenti. Con la stessa, l'Ufficio invitava a presentare, entro 15 giorni, la definizione di alcuni carichi pendenti con l'avvertenza che, in assenza di riscontro, avrebbe proceduto ad emettere fermo amministrativo (art. 69, R.D. 2440/1923) per un importo pari al totale del rimborso indicato in dichiarazione.

Con successivo provvedimento del febbraio 2012, l'Amministrazione invitava la società a presentare documentazione entro 15 giorni che la stessa ottemperava nel maggio 2012. Successivamente, la quasi totalità dei carichi pendenti indicati nella richiesta di definizione era stata oggetto di autotutela, acquiescenza, non luogo a procedere o annullamento. L'Ufficio aveva, quindi, provveduto a rimborsare il credito IVA riconoscendo gli interessi maturati sul capitale rimborsato per un determinato importo con il materiale accredito degli importi sul conto corrente della società nell'ottobre 2018.

La società presentava, quindi, ricorso avverso il diniego di rimborso opposto con l'avviso di riconoscimento nella parte in cui quantificava gli interessi dovuti in misura ritenuta insufficiente. La ricorrente evidenziava come gli interessi avessero iniziato a decorrere il 29 dicembre 2011, fossero rimasti sospesi per 91 giorni ed avessero cessato di decorrere il 24 ottobre 2018. L'Ufficio, invece, aveva negato il rimborso dell'ulteriore importo in ragione della richiesta di definizione di carichi pendenti del 26 gennaio 2012, ritenuta dall'Amministrazione assimilabile ad un provvedimento di fermo amministrativo e, quindi, idonea a sospendere la maturazione degli interessi.

La non equipollenza al fermo della richiesta di definizione dei carichi pendenti. Giudici tributari, di primo e secondo grado, concordi nell'accogliere le doglianze della società contribuente. Risultava, nel caso di specie, corretto il calcolo riportato dalla stessa a mente del quale gli interessi avevano iniziato a decorrere, ex art. 38-bis del d.P.R. 633/1972, dal novantesimo giorno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione annuale Iva, quindi sospesi per complessivi 91 giorni (ossia nel periodo intercorrente tra la data della richiesta di documentazione e la data della presentazione della stessa da parte della Società) e, infine, cessato di decorrere alla data di accredito degli importi rimborsati con l'avviso di riconoscimento oggetto di impugnazione. I giudici hanno considerato dirimente a favore della parte privata la mancata emissione di un provvedimento di fermo amministrativo. Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, il fermo amministrativo rappresenta “uno strumento, eccezionalmente attribuito all'amministrazione obbligata, atto a differire, in via provvisoria e fino alla eventuale estinzione - totale o parziale - del debito per compensazione, il soddisfacimento di un credito liquido ed esigibile: tale facoltà costituisce indubbia espressione di un potere autoritativo, con funzione di autotutela cautelare, comportante l'affievolimento, sia pur temporaneo, del diritto di credito del privato” (Cass., sez.uu., nn. 1733/2002 e 15382/2002 cfr. anche Corte Cost., n. 67/1972). Solo la presenza del fermo avrebbe impedito il maturare degli interessi “sospendendo” l'esigibilità del credito. Non poteva, quindi, essere accolta la tesi erariale secondo la quale la richiesta di definizione dei carichi pendenti avrebbe assolto alla funzione del fermo in quanto la società era stata sostanzialmente e formalmente avvisata che, in assenza di riscontro, si sarebbe proceduto “ad emettere fermo amministrativo…e, conseguentemente, a sospendere l'erogazione del rimborso” (cosa che si era appunto verificata senza ulteriore notizia).

La sospensione del pagamento delle somme dovute dall'amministrazione (“il fermo”), hanno affermato a chiare lettere i giudici, non può prescindere dall'adozione di un provvedimento formale, emesso, nell'esercizio di un potere discrezionale, dall'autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge, compresa una adeguata motivazione in ordine al fumus boni iuris della vantata ‘ragione di credito'; tale provvedimento, poi, deve ovviamente essere portato a legale conoscenza dell'interessato per garantire a quest'ultimo la necessaria tutela giurisdizionale..., al fine di ottenerne, a seconda dei casi, l'annullamento o la disapplicazione” (cfr. Cass., Sez. un., n. 1733 del 2002 cit., e n. 18208 del 2010; Cass., sez. 5, n. 4564 del 2004; Cass., sez. V, 11-11-2011, n. 23601; v. anche questa Corte: CTR Lombardia, 29-6-2018, n. 3023; CTR Lombardia, 6-4-2018, n. 1537; CTR; CTR Lombardia, 27-11-2018, n. 5162).

Non avendo, pertanto, la Pubblica Amministrazione adottato alcun provvedimento di fermo, non poteva disporsi la sospensione degli interessi.

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