Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione: sola continuità o anche liquidazione?

Luca Jeantet
Paola Vallino
11 Ottobre 2023

Gli Autori esaminano una delle questioni di maggior interesse sorte a riguardo del Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), recentemente introdotto dal CCII. Ci si chiede, infatti, se esso persegua, nelle intenzioni del Legislatore, una esclusiva finalità di preservazione e continuità dell’attività d’impresa, come accade per il diverso strumento del piano attestato di risanamento, o se, come previsto per gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo, possa ammettersi una diversa finalità liquidatoria.

La normativa

Tra le novità del Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza vi è l'introduzione di un nuovo strumento di regolazione della crisi:  il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (“PRO”), che può essere utilizzato dall'imprenditore commerciale diverso dal c.d. “imprenditore minore” “che si trova in stato di crisi o di insolvenza” ed è regolato negli articoli 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII, con richiami, “in quanto compatibili”, alla normativa concordataria.

Il PRO si caratterizza per:

  • la conservazione della gestione ordinaria e straordinaria in capo all'imprenditore, a condizione che gli atti di straordinaria amministrazione   siano in linea con il piano;
  • la piena libera distribuibilità dei flussi attivi a servizio del debito;
  • l'obbligatoria suddivisione dei creditori in classi, con l'eccezione dei creditori privilegiati dei quali si preveda l'integrale soddisfazione in denaro entro centottanta giorni dall'omologazione oppure trenta giorni, se si tratti di lavoratori;
  • l'approvazione unanime del piano da parte di tutte le classi, ferme talune regole specifiche circa il raggiungimento della maggioranza all'interno di ciascuna classe;
  • la limitazione del vaglio giudiziale preventivo al controllo della regolarità formale e della correttezza dei criteri di formazione delle classi;
  • la possibilità che il piano preveda la soddisfazione dei creditori in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., fermo il pagamento integrale dei crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751-bis, n. 1, c.c.;
  • la possibilità, anche in caso di mancata approvazione dei creditori, di convertire lo strumento in concordato preventivo, nonché l'ipotesi inversa di convertire una proposta concordataria nel più agevole strumento del PRO.

Il PRO, dunque, ha caratteristiche che lo avvicinano per certi versi all'accordo di ristrutturazione con i creditori (e tra queste, la libertà di offrire ai creditori pagamenti svincolati dal rigoroso rispetto della par condicio creditorum), e per altri al concordato preventivo (quali, a titolo esemplificativo, l'approvazione della proposta tramite l'espressione di voto dei creditori).

Le finalità dello strumento

Lo strumento pone, tra le altre, una questione meritevole di particolare attenzione riferibile all'obiettivo ristrutturativo e, in particolare, se vada necessariamente perseguita una finalità di continuità – diretta o indiretta – oppure possa ammettersi una diversa finalità liquidativa.

Come risulta chiaramente anche dalla Relazione Illustrativa del 4 aprile 2022, l'istituto in esame dovrebbe costituire attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency), che non lega in alcun modo il piano di ristrutturazione alla finalità di continuità, non risultando quindi affatto esclusa da tale Direttiva la finalità liquidativa (cfr. Dossier Ag. 374 - Modifiche al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 reperibile sul sito del Senato).

Se, infatti, da un lato, i quadri di ristrutturazione preventiva da cui deriva il PRO si pongono l'obiettivo della ristrutturazione al fine di assicurare la continuità e la sostenibilità economica delle imprese interessate (così come prevede l'art. 3, par. 1, della Direttiva), dall'altro lato, anche ai sensi degli artt. 9 e 10 della Direttiva, è lasciata agli Stati sovrani la possibilità di adottare soluzioni, anche non in regime di continuità ma pur sempre volte ad evitare l'insolvenza ed a condizione che, nell'ordinamento, ve ne sia una – come oggi evidentemente è – conforme alla disciplina europea (Panzani L., Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, Sez. I – Dottrina, Fascicolo 3/2022).

Proprio guardando alle norme del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza dedicate al PRO, non si rinviene nell'art. 64-bis CCII (come invece avviene per il concordato preventivo) una disciplina specifica circa il contenuto del piano del PRO né sotto il profilo della tipologia del piano né sotto il profilo della finalità perseguibile dal debitore che acceda a questo strumento. Infatti, il tenore testuale di tale disposizione normativa si limita ad affermare che l'imprenditore commerciale può ricorrere al medesimo al fine di rivolgere ai propri creditori una proposta di soddisfacimento delle relative esposizioni, mediante l'inserimento in apposite classi, con la necessità di unanime consenso delle stesse.

Tuttavia, a ben vedere, i contenuti che il piano del PRO deve avere sono disciplinati tramite un preciso richiamo effettuato dal nono comma dell'art. 64-bis CCII al comma 1 dell'art. 87 CCII, che disciplina i contenuti del piano in caso di procedure di concordato preventivo. E tale richiamo, che è integrale e senza eccezioni, comprende quindi anche evidentemente la lettera d) di tale primo comma dell'art. 87 CCII: disposizione questa che disciplina proprio le modalità con cui può avvenire la ristrutturazione, sancendo che essa può avvenire attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni ….. Ciò, in altre più semplici parole, significa che, tramite questo richiamo, il legislatore sembrerebbe aver chiarito che il piano potrebbe essere tanto basato sulla continuità aziendale quanto sulla liquidazione dei beni.

Il richiamo all'art. 87, comma 1 CCII non è l'unico a poter far propendere per l'ammissibilità di piani (anche) liquidatori (o, in ipotesi, anche misti). Infatti, altre disposizioni richiamate (sempre dal comma 9 dell'art. 64-bis CCII), sono:

  • il comma 8 dell'art. 84 CCII (il solo comma dell'articolo richiamato), il quale si riferisce al “piano [di concordato] che prevede la liquidazione del patrimonio” e consente la nomina di un liquidatore, nel caso in cui l'offerente dei beni costituenti il patrimonio del debitore non sia previamente individuato;
  • l'art. 115 CCII (tramite il richiamo integrale alle disposizioni di cui alla sezione VI del capo III del titolo IV del CCII, ad eccezione dei soli articoli 112 e 114), che si riferisce alla possibilità per il liquidatore giudiziale di esercitare (o proseguire) l'azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci nel concordato con cessione dei beni (azioni che invece in un concordato con continuità andrebbero deliberate dall'assemblea). 

Quanto appena esposto è poi solo apparentemente contraddetto dall'argomentazione secondo cui vengono richiamate dal medesimo nono comma dell'art. 64-bis CCII anche delle disposizioni normative relative al solo concordato con continuità aziendale (che potrebbero in alcuni casi apparire incompatibili con una tipologia di piano liquidatoria), perché infatti, a ben vedere, è lo stesso nono comma dell'art. 64-bis CCII a chiarire che i richiami solo effettuati “in quanto compatibili”. Il che farebbe ragionevolmente pensare che il legislatore abbia inteso, per semplicità, richiamare una lunga serie di norme, alcune delle quali compatibili con la tipologia della continuità aziendale e altre con quella liquidatoria, le quali non dovranno tuttavia evidentemente trovare tutte applicazione in ogni caso, bensì soltanto in quanto compatibili a seconda della tipologia di piano prescelta dal debitore (rispettivamente in continuità aziendale ovvero con cessione dei beni).  

Un ulteriore spunto testuale offerto dall'art. 64-bis CCII è rinvenibile nella genericità dell'espressione “valore generato dal piano”, la quale pare orientare l'utilizzo dello strumento nella direzione di un'ampia libertà nell'individuazione delle azioni funzionali alla ristrutturazione dell'indebitamento del debitore; libertà che caratterizza chiaramente questo strumento concorsuale, anche con riferimento alle regole per la distribuzione dell'attivo in favore dei creditori e, parallelamente, con riferimento alla disciplina dettata per la gestione, ordinaria e straordinaria, dell'impresa.

Anche la disciplina della conversione tra PRO e concordato preventivo e in particolare la c.d. conversione inversa di un concordato preventivo in PRO di cui all'art. 64-quater, comma 5 CCII, sembrerebbe militare a favore dell'esistenza di un PRO liquidatorio. Infatti, tale disposizione si limita semplicemente a sancire il principio secondo cui il debitore che ha presentato domanda di concordato preventivo (si badi bene, senza specificare che deve trattarsi di concordati con continuità aziendale) può modificarla, chiedendo la conversione di un concordato in PRO, sino a che non siano iniziate le operazioni di voto. Questa disposizione trova senza dubbio applicazione con riguardo a concordati “pieni” già depositati (tanto è vero che addirittura la conversione è possibile sino all'avvio delle operazioni di voto) e ben potrebbe, quindi, interessare anche concordati prettamente liquidatori, che, com'è evidente, difficilmente si convertirebbero in PRO con continuità aziendale. Forse, quindi, la mancata precisazione che tale conversione è soltanto riferita a concordati con continuità ha un significato preciso, ossia che è possibile anche convertire un concordato liquidatorio in un PRO (che ragionevolmente) pure sia di tipo liquidatorio.    

Il fatto che poi, come si è premesso, l'art. 64-bis CCII non chiarisca espressamente che il PRO può essere anche di tipo liquidatorio non deve necessariamente far propendere per una volontà di escludere questa tipologia di piano. Il silenzio del Legislatore non è infatti nuovo nell'ordinamento concorsuale poiché si rinviene anche nella disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti c.d. “ordinari” che, tanto nella previgente normativa dell'art. 182-bis l. fall. quanto nell'attuale art. 57 CCII, nulla dice circa la finalità di continuità e/o liquidatoria (salvo introdurre una regolamentazione specifica soltanto limitatamente agli accordi ad efficacia estesa di cui all'art. 61 CCII, ove si richiede che l' “accordo abbia carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta ai sensi dell'art. 84”), da cui è discesa, nella pratica, l'indubbia legalità di entrambe le soluzioni in caso di accordi di ristrutturazione (salvo appunto il solo caso specifico degli accordi ad efficacia estesa di cui all'art. 61 CCII).

Laddove il Legislatore abbia, invece, voluto limitare alla continuità la finalità di uno strumento, ciò è avvenuto; si pensi al piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., che oggi trova la sua disciplina nell'art. 56 CCII. In questo caso, il Legislatore ha ben chiarito che il piano deve apparire “idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria”. Proprio la comparazione con questo diverso strumento di cui all'art. 56 CCII può ulteriormente rafforzare il concetto che il PRO – diversamente dagli accordi in esecuzione di piani attestati e similmente agli accordi di ristrutturazione – possa mirare ad una ristrutturazione dei debiti, più che al raggiungimento di un riequilibrio della situazione economico-finanziaria. Infatti, rappresenta ormai un concetto consolidato in dottrina e giurisprudenza il fatto che i c.d. piani attestati (oggi definiti meglio accordi in esecuzione di piani attestati) non possano essere basati su soluzioni liquidatorie (o quantomeno non esclusivamente liquidatorie), proprio perché la modalità di risoluzione di una crisi di impresa tramite la liquidazione dei beni del debitore appare incompatibile con la finalità di risanare un'impresa, nel senso di permetterle di proseguire la propria attività aziendale attraverso il riequilibrio della situazione economico-finanziaria.

Concetto diverso è invece quello degli accordi di ristrutturazione, che non mirano necessariamente a tale (più ambizioso) risultato, ossia a preservare l'impresa, bensì semplicemente ad addivenire ad una risoluzione della crisi (e dunque alla soddisfazione dei creditori) mediante la ristrutturazione dei debiti. Un primo indizio del fatto che il PRO sia forse più vicino alla finalità degli accordi di ristrutturazione che non dei piani attestati potrebbe essere rinvenuto nello stesso nome di questo strumento (che si chiama appunto piano di ristrutturazione omologato e non piano di risanamento omologato), per poi proseguire con la definizione declinata dal primo comma dell'art. 64-bis CCII, secondo cui con il PRO l'imprenditore che si trova in stato di crisi “può prevedere il soddisfacimento dei creditori, […] distribuendo il valore generato dal piano, anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile, […]”; ciò che indurrebbe a pensare che il focus di questo strumento sia proprio la soddisfazione dei creditori (e quindi la ristrutturazione dei debiti), tramite una precisa deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. (bilanciata però da una necessità di voto unanime dei creditori) e non necessariamente il risanamento dell'impresa con ritorno ad un equilibrio economico-finanziario.   

Pari riferimento può farsi al concordato preventivo, nella cui disciplina il Legislatore del CCII ha espressamente confermato, all'art. 84 CCII (“finalità del concordato preventivo e tipologie di piano”), la possibilità di accedere allo strumento per finalità liquidatoria o di continuità, pur regolando le due fattispecie con specifiche previsioni volte, in via di estrema sintesi, a valorizzare il concordato liquidatorio rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale ovvero favorire l'omologazione della soluzione concordataria in continuità nel miglior interesse dell'azienda e, con essa, della massa dei creditori.

L'assenza di una previsione specifica nell'art. 64-bis CCII, unita ai predetti richiami agli artt. 84, comma 8, 87, comma 1 e 115 CCII e alla non confliggenza con la Direttiva Insolvency di una tipologia liquidatoria, dovrebbero portare logicamente alla conclusione che nulla osti all'accesso allo strumento del Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione in fattispecie esclusivamente liquidatorie ovvero di continuità (diretta e/o indiretta) e, ancora, miste.

Quanto precede vale ancora di più se si pensa che la regola semplice ma determinante per il buon esito della procedura è l'adesione unanime delle classi dei creditori.

Il consenso unanime è, infatti, certamente l'elemento che caratterizza il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, rispetto agli altri strumenti ristrutturativi, che, anche nella normativa del CCII, si caratterizzano per una preferenza di regime maggioritario con un accento, non irrilevante, su dinamiche di cram down rimesse al vaglio giudiziario laddove sia perseguito l'obiettivo della continuità.

Se così è, come è, allora non si comprende perché, in presenza dell'unanimità delle classi dei creditori, possano esservi preclusioni legate alla finalità perseguita dalla ristrutturazione: ben potranno i creditori esprimersi all'unanimità delle classi a favore di una ristrutturazione liquidatoria, così come si esprimeranno al cospetto di una proposta di continuità ovvero mista.

Si deve dunque concludere che l'assenza, nella normativa nazionale, di indicazione in merito alla finalità del piano, accompagnata però (i) dalla chiara presenza nell'art. 64-bis CCII di richiami ad alcune disposizioni che fanno riferimento a piani prettamente liquidatori, (ii) dalla considerazione – a livello di sistema – che un piano di PRO di tipo liquidatorio (o misto) non confliggerebbe affatto con la Direttiva Insolvency a seguito della quale lo stesso PRO è stato concepito nel nostro ordinamento nazionale nei termini sopra indicati e, ancor più (iii) dal meccanismo di votazione del PRO all'unanimità che costituisce un principio fondante del PRO di cui all'art. 64-bis CCII, sono tutti elementi idonei a sostenere che sussista una libertà del debitore di determinare il contenuto del Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione.

E tanto potrebbe anche valere, se pur non espressamente oggetto del tema in esame, per la possibilità di procedere ad un trattamento remissorio, previo se del caso degrado del relativo privilegio generale, dei debiti erariali e previdenziali.

I precedenti giurisprudenziali

Pur con la limitazione derivante dall'introduzione recentissima dello strumento di cui trattasi nel nostro ordinamento, merita soffermarsi sui precedenti noti per comprendere se nei medesimi si rinvengano pronunce idonee a orientare l'utilizzo del Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione limitandolo solo ad alcune finalità ristrutturative ovvero estendendolo a tutte le finalità note (liquidazione, continuità ovvero mista).

Un primo caso è stato affrontato dal Tribunale di Vicenza che è meritevole di attenzione in quanto rappresenta un caso di Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione di natura, se non del tutto, in prevalenza liquidatoria.

La corte vicentina, infatti, ha recentemente ammesso alla procedura una società immobiliare, portando, incidentalmente, a compimento una ristrutturazione che ha previsto il ripagamento delle esposizioni mediante la destinazione ai creditori di tutta la liquidità esistente, ivi inclusi i proventi derivanti dalla cessione, previa procedura competitiva, del principale asset immobiliare.

E' noto il dibattito che si era concentrato, ancora nella vigenza della Legge Fallimentare, circa la possibilità per le società immobiliari di accedere a ristrutturazione in regime di continuità laddove il ripagamento delle esposizioni complessive avveniva mediante i proventi netti della dismissione del compendio immobiliare (e, così, recuperando il concetto di continuità tipo del piano di risanamento attestato mediante un più ampio ragionamento legato alla realizzazione dell'oggetto sociale della società immobiliare).

Orbene, guardando al caso vicentino e tenuto conto che il ripagamento delle esposizioni è previsto tramite utilizzo di liquidità esistente in società e dismissioni di asset (con una risibile, se non assente, persistenza di attivi dopo l'omologazione) e non tramite investimenti e/o flussi aziendali, ben si può ricondurre la fattispecie ad una ristrutturazione (quantomeno a prevalenza) liquidatoria.

Un altro caso noto è quello pendente presso il Tribunale di Udine laddove, a differenza del caso vicentino, la finalità perseguita dalla società debitrice è, quantomeno in prevalenza, di continuità dell'attività aziendale, anche per il tramite di soggetti terzi e dunque non direttamente tramite la conduzione in proprio dell'azienda.

Un ultimo e diverso caso è, invece, quello pendente presso il Tribunale di Prato che ha dichiarato l'ammissione di un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione che fonda il pagamento della massa dei creditori sulla liquidazione di immobili, già oggetto di contratti preliminari, nonché sull'apporto di risorse terze, lasciando operare la società in continuità ma senza destinare alcun flusso della stessa a pagamento dei crediti anteriori.

Si tratta dunque di una fattispecie c.d. “mista” dove il debito concorsuale trova soddisfacimento mediante la liquidità derivante dalla liquidazione di una parte del patrimonio e da impegni assunti da terzi estranei alla società, con prosecuzione dell'attività non a servizio del debito anteriore alla procedura, bensì risanata dal medesimo.

Conclusioni

L’assenza di indicazioni normative contrarie (e, anzi, la presenza di richiami di alcune norme che fanno palesemente riferimento a tipologie di piano liquidatorie) e la concentrazione della ristrutturazione sull’espressione del consenso dei creditori, unite ad un primo precedente giurisprudenziale, sono elementi che conducono a riconoscere la possibilità che il PRO non abbia limiti applicativi legati alla finalità ristrutturativa ovvero al contenuto del piano, ben potendo essere applicato tanto a fattispecie in continuità, quanto a fattispecie liquidatorie.

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