La responsabilità professionale dell’avvocato civilista

Michele Liguori
12 Ottobre 2023

La Cassazione torna a occuparsi della responsabilità professionale dell’avvocato civilista e afferma che in caso di stipula tra l’avvocato e il cliente di un contratto di consulenza e assistenza per l'attività stragiudiziale e giudiziale spetta al professionista e non al cliente la scelta della condotta da seguire nel processo in cui quest’ultimo è stato coinvolto.

Una Casa di Cura erogante servizi sanitari in regime di convenzione con il SSN conviene in giudizio innanzi Tribunale di Palermo un avvocato sostenendo che:

  • ha sottoscritto con lo stesso un contratto di assistenza e consulenza legale;
  • ha affidato allo stesso la sua difesa in una causa intentata nei confronti suoi e di un medico da due coniugi al fine di ottenere il risarcimento dei danni occorsi al loro figlio al momento della nascita in conseguenza della negligente e imperita condotta dei sanitari;
  • è stata condannata in tale causa, in solido con il medico, al risarcimento di € 2.143.895,80;
  • ha appreso, all'atto di notifica del precetto, che il legale aveva omesso di chiamare in causa l'impresa di assicurazione della responsabilità civile con cui aveva stipulato un contratto a copertura, tra l'altro, del rischio derivante dalla responsabilità civile dei medici non dipendenti per danni verificatisi nello svolgimento delle loro mansioni avente massimale di € 516.456,90.

Deduce, quindi, la responsabilità professionale dell'avvocato per omessa vocatio in ius dell'impresa di assicurazione e per omesso assolvimento degli obblighi di informazione, sollecitazione e dissuasione su di lui gravanti.

L'avvocato si costituisce in giudizio, contesta la fondatezza delle avverse pretese e sostiene che, in base alle previsioni contrattuali, l'onere di attivazione della polizza assicurativa ricadeva sugli uffici dell'assicurata e che le istruzioni ricevute dalla stessa erano nel senso di non procedere alla chiamata in causa dell'impresa di assicurazione.

Il Tribunale adito accoglie la domanda e condanna l'avvocato a pagare alla Casa di Cura la somma di € 516.456,90 oltre interessi legali dalla domanda e spese di lite.

La Corte d'Appello di Palermo, adita in via principale dall'avvocato e in via incidentale dalla Casa di Cura rigetta l'appello principale e dichiara inammissibile l'appello incidentale.

La Corte d'Appello in particolare ritiene:

  • non raggiunta la prova che il legale avesse adempiuto ai propri obblighi di informazione nei confronti del cliente sollecitandolo ad attivare la garanzia assicurativa;
  • non configurabile la buona fede del legale in ragione del lungo rapporto di collaborazione sorto con la Casa di Cura a seguito della stipula della convenzione che lo aveva investito di tutta la gestione dell'attività stragiudiziale e di quella giudiziale della Casa di Cura;
  • non necessario che il legale, ricevuta dal cliente la notifica della citazione introduttiva, ricevesse specifiche istruzioni al fine di chiamare in garanzia l'impresa di assicurazione essendo a ciò sufficiente la procura alle liti conferitagli dal presidente della Casa di Cura.

La Corte d'Appello, pertanto, afferma che:

  • il legale era venuto meno agli obblighi di diligenza propri della sua attività professionale;
  • la Casa di Cura, in caso di chiamata in causa dell'impresa di assicurazione, avrebbe potuto - in base a un giudizio prognostico fondato sul principio del “più probabile che non” - giovarsi della copertura assicurativa quantomeno nei limiti del massimale di polizza.

L'avvocato propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La Casa di Cura non svolge attività difensiva e rimane intimata.

La Suprema Corte con l'ordinanza in commento (Cass. 13 settembre 2023 n. 26470) rigetta il ricorso.

La Suprema Corte ritiene che:

  • era dirimente, rispetto alla qualificazione della fattispecie, l'avvenuta stipula tra il legale e la Casa di Cura di una convenzione in base alla quale il primo era incaricato di gestire tutta l'attività stragiudiziale, di consulenza e assistenza e quella giudiziale in cui la seconda sarebbe stata coinvolta;
  • al legale era stata affidata, quindi, anche la gestione del contenzioso della Casa di Cura in materia di responsabilità medico-sanitaria;
  • il legale, pertanto, doveva scegliere la condotta da seguire nel processo e, in particolare, doveva valutare l'opportunità di evocare in giudizio l'impresa di assicurazione della Casa di Cura;
  • il legale, quindi, una volta ricevuta dalla Casa di Cura la notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio non necessitava di alcuna istruzione per chiamare in garanzia l'impresa di assicurazione essendo a ciò sufficiente la procura alle liti conferitagli in base al principio secondo cui al difensore è attribuito il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia impropria.

Trattasi, quest'ultimo, di principio autorevolmente e condivisibilmente affermato dalle Sezioni Unite che, intervenute a risolvere un contrasto interpretativo in ordine al potere del difensore di chiamare in causa un terzo in garanzia impropria sulla base di una procura alle liti che non conferiva espressamente questa facoltà, hanno affermato che “la procura, ove risulti come nella specie conferita in termini ampi e comprensivi ("con ogni facoltà"), in base a un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonché di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell'interesse della parte assistita. Ivi ricompresa, pertanto, l'azione di garanzia c.d. impropria…a salvaguardare l'interesse della parte mediante la chiamata in causa del terzo, perché risponda in suo luogo o venga condannato a tenerla indenne di quanto risulti eventualmente tenuta a prestare all'attore” (Sez. Un. 14 marzo 2016 n. 4909; conf. Cass. 5 agosto 2021 n. 22380; Cass. 22 agosto 2018 n. 20898).

La Suprema Corte ritiene, altresì, corretta la sentenza impugnata nella parte in cui formula un'ipotesi subordinata, secondo cui il legale - anche a voler ritenere che non fosse suo onere denunciare all'impresa di assicurazione la pendenza della lite - era comunque tenuto a fornire la prova di aver comunicato e informato la Casa di Cura circa la necessità di chiamare in giudizio l'impresa sulla base del dovere di diligenza nel cui ambito rientrano i doveri di informazione, di sollecitazione e di dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, così all'atto dell'assunzione dell'incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando innanzitutto al cliente le questioni riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o produttive di un rischio di conseguenze negative o dannose, invitandolo a comunicare o a fornire elementi utili alla soluzione positiva delle questioni.

Trattasi, questi, di principi autorevolmente, costantemente e condivisibilmente affermati dalla giurisprudenza di legittimità (tra le tante e più recenti: Cass. 2 marzo 2021 n. 5683; Cass. 22 febbraio 2021 n. 4655; Cass. 7 gennaio 2021 n. 56; Cass. 6 maggio 2020 n. 8494; Cass. 18 settembre 2019 n. 23272).

La Suprema Corte ritiene, infine, corretta la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la condotta omissiva del legale deve essere valutata alla luce di un giudizio controfattuale secondo cui, senza l'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito sulla base di criteri probabilistici.

Trattasi, anche questo, di principio autorevolmente, costantemente e condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità omissiva in genere e, in particolare, in quella dell'avvocato (tra le tante e più recenti: Cass. 14 novembre 2022 n. 33466; Cass. 12 marzo 2021 n. 7064; Cass. 13 gennaio 2021 n. 410; Cass. 20 novembre 2020 n. 26516).

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