Opposizione all'esecuzione e opposizione distributiva: un connubio possibile

12 Ottobre 2023

La problematica sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguarda il rapporto tra i rimedi previsti, rispettivamente, dall’art. 512 c.p.c. (che tratta delle controversie distributive, concernenti l’attribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni pignorati) e dall’art. 615 c.p.c. (che disciplina l’opposizione all’esecuzione, con cui può contestarsi il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata o la pignorabilità dei beni).

Massima

L'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. e quella proposta ai sensi dell'art. 512 c.p.c. divergono principalmente per l'oggetto delle due azioni, l'una concernente il diritto di procedere all'esecuzione forzata (art. 615 c.p.c.), con statuizione suscettibile di acquisire la valenza del giudicato sul rapporto di credito azionato, spendibile in ogni altra successiva eventuale controversia; l'altra il diritto di partecipare alla distribuzione (art. 512 c.p.c.). Ne consegue che esse, in considerazione dell'interesse in concreto perseguito dal debitore esecutato, possono concorrere e fondarsi anche sul medesimo fatto costitutivo, dovendo escludersi che le stesse azioni siano legate da un nesso di successione cronologica o di esclusività alternativa, giacché l'interesse del debitore esecutato a che l'esecuzione forzata venga definitivamente arrestata – seppure, a norma dell'art. 615, comma 2, c.p.c., nelle residuali ipotesi ivi previste – è ben configurabile anche quando la procedura sia giunta alla fase distributiva, né tale interesse potrebbe altrimenti realizzarsi mediante la mera proposizione dell'opposizione ex art. 512 c.p.c., una volta che tale fase abbia avuto inizio.

Il caso

All'esito di un'espropriazione immobiliare, il debitore esecutato proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione aveva rigettato le istanze dallo stesso proposte ai sensi dell'art. 512 c.p.c. e dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione.

Nello specifico, veniva reiterata la contestazione – già addotta a fondamento di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. ritualmente proposta – di carenza di un valido titolo esecutivo in capo al creditore procedente.

Il Tribunale di Ferrara respingeva l'opposizione, sostenendo che tale questione non atteneva alla fase distributiva e non poteva, quindi, essere nuovamente sollevata in quella sede, non essendo configurabile un concorso tra opposizione ex art. 512 c.p.c. e opposizione ex art. 615 c.p.c.

La sentenza di rigetto era impugnata con ricorso per cassazione.

La questione

La problematica sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguardava il rapporto tra i rimedi previsti, rispettivamente, dall'art. 512 c.p.c. (che tratta delle controversie distributive, concernenti l'attribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni pignorati) e dall'art. 615 c.p.c. (che disciplina l'opposizione all'esecuzione, con cui può contestarsi il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata o la pignorabilità dei beni).

Mentre il Tribunale di Ferrara aveva affermato che non può sussistere concorso tra le due opposizioni, con la conseguenza che, una volta proposta quella di cui all'art. 615 c.p.c., la medesima ragione posta a fondamento della stessa non può essere addotta in sede distributiva ai sensi dell'art. 512 c.p.c., per il ricorrente i due rimedi si pongono in rapporto di alternatività, dal momento che uno tende a paralizzare l'azione esecutiva, mentre l'altro, intervenendo a vendita già avvenuta, mira a influire sull'an, sul quantum e sul quomodo dell'attribuzione delle somme da distribuire tra coloro che hanno chiesto di partecipare alla ripartizione di quanto ricavato dall'alienazione forzosa dei beni pignorati e possono, dunque, coesistere.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. e l'opposizione distributiva di cui all'art. 512 c.p.c. hanno oggetto differente, giacché la prima concerne il diritto di procedere all'esecuzione forzata, mentre la seconda riguarda il diritto di partecipare alla distribuzione; 2) le due opposizioni, pertanto, non sono legate da un nesso di successione cronologica, tale da impedire l'astratta proponibilità del rimedio di cui all'art. 615 c.p.c. nella fase distributiva, quando sia contestato non solo l'ammontare del credito, ma la sua stessa sussistenza; 3) l'avvio della fase distributiva, quindi, non esclude la proponibilità dell'opposizione all'esecuzione, fermo restando che non potrà essere dichiarata in via retroattiva l'illegittimità dell'esecuzione forzata; 4) nulla esclude, pertanto, che il medesimo fatto costitutivo sia posto a fondamento tanto dell'opposizione all'esecuzione quanto dell'opposizione distributiva, stanti le diverse conseguenze che ne possono derivare.

Osservazioni

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione è intervenuta sui rapporti tra opposizione all'esecuzione e opposizione distributiva, sancendo la possibile coesistenza dei due rimedi, quand'anche fondati sul medesimo fatto costitutivo, in ragione dei diversi esiti ai quali essi conducono.

Nel caso di specie, il debitore esecutato aveva contestato dapprima – con opposizione ex art. 615 c.p.c. – il diritto del creditore procedente di agire esecutivamente nei suoi confronti, in virtù della dedotta nullità del titolo esecutivo e successivamente – in sede distributiva – il diritto del medesimo creditore procedente di partecipare al riparto della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati, sempre sostenendo la carenza di un valido titolo esecutivo.

In primo luogo, è opportuno chiarire che, quando insorgano contestazioni in sede distributiva, il giudice dell'esecuzione è chiamato a effettuare un'indagine sommariae a pronunciare, dopo avere sentito le parti, un'ordinanza diretta a risolvere la controversia; le parti possono decidere di prestare acquiescenza alla decisione assunta dal giudice dell'esecuzione o di contestarne la legittimità, proponendo, in questo caso, opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza.

In funzione della decisione che assume, il giudice dell'esecuzione può sospendere – in tutto o in parte – la distribuzione: in particolare, se reputa che le questioni prospettate siano infondate, confermerà il progetto di distribuzione e lo dichiarerà esecutivo; in caso contrario, dovrà dare conto dei motivi per i quali ritiene che le doglianze siano meritevoli di accoglimento e impartire le indicazioni necessarie per modificare il piano di riparto in conformità; in entrambi i casi, potrà disporre la sospensione delle operazioni distributive (e, a tale limitato riguardo, l'ordinanza sarà reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., per effetto di quanto espressamente previsto dal comma 2 dell'art. 624 c.p.c.).

Dal punto di vista processuale, l'impugnazione dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 512 c.p.c. dev'essere introdotta con ricorso al medesimo giudice dell'esecuzione che l'ha pronunciata, il quale disporrà la convocazione delle parti; all'udienza così fissata, il giudice deciderà in merito all'istanza di sospensione dell'efficacia dell'ordinanza eventualmente proposta dal ricorrente e concederà il termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, che non avrà per oggetto il progetto di distribuzione, ma l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione per risolvere la controversia distributiva. L'opposizione agli atti esecutivi inerente alla fase distributiva, infatti, ha mera natura rescidente e non rescissoria, sicché il giudice, quando la ritiene fondata, si limita a pronunciarsi sulla legittimità o meno dell'atto esecutivo opposto, spettando poi al giudice dell'esecuzione, in caso di annullamento dell'ordinanza impugnata, adottare i provvedimenti conseguenti (per esempio, di modifica del progetto di distribuzione), in conformità alle ragioni poste a base dell'annullamento.

La sentenza che decide l'opposizione agli atti esecutivi non è appellabile, ma impugnabile esclusivamente con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

Tornando alla questione affrontata nell'ordinanza che si annota, allorquando la contestazione sollevata in sede distributiva dal debitore esecutato investa l'esistenza stessa del credito del creditore procedente, essa potrà coincidere con quella suscettibile di essere fatta valere con l'opposizione all'esecuzione, che, tuttavia, può essere proposta solo prima che sia stata disposta la vendita, come espressamente sancito dal comma 2 dell'art. 615 c.p.c.

Pertanto, si possono verificare due scenari:

– il debitore esecutato non ha proposto tempestiva opposizione all'esecuzione, sicché non ha evitato la vendita del bene, ma può recuperare il motivo di opposizione sollevando una controversia distributiva, allo scopo di impedire che sul ricavato dalla vendita possa trovare soddisfazione – in tutto o in parte – il creditore;

– il debitore esecutato ha proposto tempestiva opposizione all'esecuzione, ma non ha ottenuto la sospensione dell'esecuzione, che è, dunque, proseguita con la vendita del bene, sicché può avere interesse a sollevare una controversia distributiva per motivi coincidenti con quelli già fatti valere mediante l'opposizione ex art. 615 c.p.c.

A fronte di ciò, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 15654 del 21 giugno 2013, aveva affermato che, essendo configurabile l'opposizione ai sensi dell'art. 512 c.p.c. nel caso di contestazione non solo del quantum, ma anche dell'an del credito del creditore procedente, tale rimedio si pone in rapporto di successione rispetto a quello previsto dall'art. 615 c.p.c., con esclusione di una loro concorrenza ovvero coesistenza: seguendo questa impostazione, fino a quando non si è pervenuti alla fase della distribuzione, il rimedio esperibile è quello dell'opposizione ex art. 615 c.p.c., mentre, una volta pervenuti alla fase distributiva, il rimedio è solo quello disciplinato dall'art. 512 c.p.c.

La ricostruzione dei rapporti tra i rimedi oppositivi in parola in termini di consecuzione aveva, alfine, indotto i giudici di legittimità ad affermare che, ove il debitore avesse proposto opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. ancora pendente e sub iudice una volta che la procedura esecutiva fosse pervenuta alla fase distributiva, i fatti con essa dedotti non potevano essere nuovamente posti a fondamento di una contestazione sollevata ai sensi dell'art. 512 c.p.c., restando la loro autonoma cognizione e valutazione da parte del giudice dell'esecuzione impedita dalla proposizione anteriore dell'opposizione all'esecuzione.

Andando di contrario avviso, i giudici di legittimità, nell'ordinanza annotata, hanno affermato che non v'è ragione di ritenere che l'avvio della fase distributiva segni, di per sé, l'improponibilità o l'inammissibilità dell'opposizione all'esecuzione, avanzata dall'esecutato nei confronti del creditore procedente o di uno o più creditori intervenuti titolati (beninteso, in quanto ricorrano le condizioni previste dal comma 2 dell'art. 615 c.p.c., ossia a patto che l'opposizione sia fondata su fatti sopravvenuti, ovvero che il ricorrente dimostri di non essere stato in grado di proporla prima che fosse disposta la vendita per causa a lui non imputabile).

Secondo questa pronuncia, infatti, non è sostenibile la tesi della consecutività ed esclusività alternativa tra i due rimedi oppositivi, perché dalla non sovrapponibilità del relativo oggetto non può che discendere la diversità funzionale delle rispettive pronunce adottate all'esito dei corrispondenti giudizi: pronunce incidenti, nel caso dell'art. 615 c.p.c., sul diritto o meno di procedere a esecuzione forzata, con conseguenti ricadute – in caso di sentenza di accoglimento dell'opposizione – sulla stessa proseguibilità del procedimento esecutivo (e, dunque, sulla stessa necessità di procedere alla distribuzione) o sulla possibilità di promuoverne altri (attesa la potenziale vocazione al giudicato sul rapporto di credito azionato, spendibile in ogni altra successiva eventuale controversia, della sentenza che decide l'opposizione all'esecuzione) e, nel caso dell'art. 512 c.p.c., sulla più limitata questione della partecipazione o meno di quel creditore alla distribuzione di quanto oramai incontestabilmente ricavato dalla liquidazione del cespite pignorato in quello specifico processo esecutivo.

In altre parole, nulla esclude che un medesimo fatto costitutivo della domanda (come, per esempio, la nullità o l'inesistenza del titolo esecutivo azionato) possa porsi a sostegno dell'una e dell'altra opposizione.

Ciò in quanto, attesi i diversi esiti che possono derivare dall'attivazione dell'uno e dell'altro rimedio, il debitore ha un interesse giuridicamente rilevante a perseguire entrambi, sicché gli va riconosciuta la facoltà di optare per l'attivazione di quello che reputa più confacente e, al limite, di avvalersi di tutti e due, anche consecutivamente.

Per ovviare a eventuali e – a questo punto – prospettabili interferenze tra i giudizi oppositivi così radicati, bisognerà fare ricorso all'applicazione delle regole dettate in tema di litispendenza, continenza e connessione (declinabili nel senso della riunione delle cause, ove pendano dinanzi allo stesso ufficio giudiziario).

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