Il mancato autocontrollo del lavoratore causato da un ambiente stressogeno non integra il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo

13 Ottobre 2023

Con sentenza del 3 ottobre 2023, la sezione lavoro del Tribunale di Cremona ha ritenuto che il mancato autocontrollo del cassiere di banca che sia stato esposto a condizioni lavorative stressogene con la colpevole inerzia della società datrice, non può comportare né il licenziamento per giusta causa né quello per giustificato motivo soggettivo, essendo necessario proporzionare la reazione disciplinare all'effettivo disvalore dell'inadempimento, che nel caso di specie avrebbe richiesto una sanzione conservativa.  

Il caso: le condotte “reattive” del dipendente sotto stress

Il caso in esame riguarda il licenziamento disciplinare per giusta causa di un cassiere di banca, a cui venivano imputati una pluralità di episodi consistenti in condotte poco consone alle normali relazioni sociali e alle relazioni sul posto di lavoro, mantenute nei confronti della clientela.

In particolare, veniva contestato al lavoratore:

- di non aver effettuato il versamento di denaro richiesto da un cliente perché privo di appuntamento per effettuare l'operazione;

- di non aver effettuato l'operazione di prelievo richiesta da un'altra cliente, invitandola ad andare a prelevare in un'altra città, definendola “maleducata”;

- di reagire alla richiesta di un cliente di verificare l'accredito dello stipendio sul proprio conto corrente, inveendo nei suoi confronti e strattonandolo per indirizzarlo verso l'uscita della filiale in presenza di altri clienti;

- di invitareun altro cliente a “chiudere il becco” e ad uscire dalla filiale, chiedendogli di seguirlo fuori, e ivi discutendo animatamente.

Mentre i primi due addebiti venivano dichiarati tardivi, essendo decorsi oltre nove mesi prima che la Banca svolgesse la relativa contestazione e non sussistendo un peculiare interesse a svolgere specifiche e ulteriori indagini, trattandosi di fatti semplici nella loro configurazione tipica, al contrario gli ultimi due episodi venivano accertati nella loro materialità sulla base di molteplici prove documentali (riprese video, reclami dei clienti, dichiarazioni rese in sede di audit da alcuni colleghi).

Il Tribunale di Cremona, pur ritenendo sussistente il fatto materiale alla base degli ultimi due addebiti, dichiarava tuttavia la sproporzione della sanzione disciplinare espulsiva irrogata dalla società datrice e, attesa la mancata tipizzazione da parte della contrattazione collettiva in ordine alle condotte disciplinarmente sanzionabili, rilevava il difetto di proporzionalità dei comportamenti contestati considerando la gravità obiettiva, la recidività  e l'intensità dell'elemento soggettivo, come disposto dall'articolo 48 del CCNL per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali.

Nello specifico svolgimento dello scrutinio di proporzionalità, il giudice cremonese prendeva in considerazione:

- la conoscenza da parte della società datrice del costante malessere del lavoratore, dichiarato da oltre sei anni nelle schede di valutazione annuali del dipendente il quale, dopo una pluridecennale progressione professionale, si era visto relegato alle mansioni di cassiere, tornando così al “punto di partenza” della propria carriera;

- la consapevolezza, da parte della Banca, della condizione di stress in cui versava il ricorrente a causa del continuo mutamento di mansioni e dei plurimi trasferimenti di sede;     

- la conoscenza, da parte dell'istituto di credito, delle difficoltà del lavoratore a relazionarsi con i clienti a causa di tali condizioni di stress, risultanti sia da una mail inviata dallo stesso ricorrente al proprio superiore gerarchico, sia da una dichiarazione del direttore di filiale;

- l'eccezionalità degli episodi di intemperanza assunti nei confronti dei clienti da parte del dipendente, mai verificatisi nell'arco di 28 anni di rapporto lavorativo.   

All'esito di tale scrutinio, il giudice cremonese -come accennato- dichiarava la sproporzione della sanzione espulsiva irrogata al lavoratore, annullando il licenziamento per giusta causa e disponendo ex art. 18 comma 5 Stat. Lav. l'indennità risarcitoria pari a 16 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, commisurata sulla base:

i) della durata del rapporto lavorativo (28 anni);

ii) del numero di dipendenti della resistente (di gran lunga superiore a 15);

iii) della condizione personale del ricorrente (che si è trovato senza lavoro all'età di 55 anni, accettando successivamente un lavoro di “supporto segretariale” presso un'altra azienda);

iv) della colpevole inerzia della società datrice rispetto alle plurime richieste del dipendente in ordine al proprio stato di malessere da stress lavorativo,

v) delle circostanze concrete di modo e di tempo delle condotte nonché delle mansioni svolte dal lavoratore (esposto proprio a contatto con il pubblico).

I principi di diritto: sproporzionato il licenziamento irrogato in un ambiente lavorativo nocivo

La pregevole e innovativa pronuncia del Tribunale di Cremona tratta - a quanto consta - un caso inedito nella giurisprudenza italiana, ovvero se la nocività del contesto lavorativo in cui si trovi ad operare il dipendente possa incidere sulla legittimità del recesso datoriale

La risposta fornita dal Giudice, sulla base di un'attenta e scrupolosa analisi degli elementi del caso concreto, è molto chiara: sebbene le reazioni impulsive del lavoratore alle richieste dei clienti (innescate dallo stato di malessere più volte segnalato dal dipendente e ben conosciuto dalla società datrice) non esonerino il dipendente dall'osservare il “minimum etico” a cui si deve sempre conformare la prestazione di lavoro, tuttavia l'esistenza di un nocivo contesto lavorativo può e deve avere rilievo giuridico nella valutazione giudiziale.

In definitiva, pur non escludendo l'obiettiva riprovevolezza delle condotte disciplinarmente contestate, l'ordinanza in commento riconosce che il contesto lavorativo stressogeno può incidere sull'elemento soggettivo posto alla base delle condotte stesse, giustificando una differente valutazione in termini di disvalore e, conseguentemente, orientando la dichiarazione di sproporzione della sanzione espulsiva. 

Nel caso di specie, in particolare, il giudice ritiene il caso concreto meritevole dell'applicazione di una sanzione conservativa (sebbene nella misura massima della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni), considerando che la sanzione espulsiva rappresenta l'extrema ratio a cui il datore di lavoro può ricorrere solo in ipotesi di manifesta e provata impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro: il mancato autocontrollo del lavoratore che abbia manifestato all'esterno il proprio malessere in circostanze che richiedevano altro comportamento, pertanto, non può integrare la giusta causa di licenziamento o il giustificato motivo soggettivo.

Ne deriva l'applicazione della tutela indennitaria “forte” prevista dall'articolo 18 comma 5 Stat. Lav., in assenza di una specifica tipizzazione delle condotte disciplinarmente punibili da parte della contrattazione collettiva (l'articolo 48 del CCNL Abi, è il caso di precisarlo, non prevede nemmeno le clausole generali o elastiche che avrebbero comunque legittimato l'applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18 comma 4 Stat. Lav., cfr. Cass. 11 aprile 2022, n. 11665; Cass. 26 aprile 2022, n. 13064 e n. 13065; Cass. 1° agosto 2023, n. 23425).    

La pronuncia esamina, escludendolo, anche il profilo della possibile nullità del recesso datoriale per violazione del precetto di cui all'art. 2087 c.c.; secondo il giudice cremonese, infatti, pur essendo vero che la disposizione codicistica obbliga il datore di lavoro ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente, inibendo anche l'adozione di condizioni lavorative stressogene, è tuttavia altrettanto vero che essa opera sul piano della risarcibilità dei danni per la condotta colposa della società datrice e non sul piano della declaratoria di nullità del recesso, intimato sulla base di un fatto disciplinarmente rilevante.  In tale ipotesi, si legge nel provvedimento, il precetto normativo è violato dalla condotta stressogena anteriore al recesso datoriale, e non dal licenziamento intervenuto allorché la condotta contraria ai doveri di cui all'art. 2087 c.c. si sia ormai già realizzata. 

Il contesto sistematico: la progressiva rilevanza dello stress lavoro-correlato nella giurisprudenza di legittimità e di merito

La pronuncia si pone in un solco tracciato di recente dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., sez. lav., 11 novembre 2022, n. 33428; Cass., sez. lav., 15 novembre 2022, n. 33639; Cass. 30 novembre 2022, n. 35235) (1) che, da ultimo, ha affermato come sia  “ravvisabile la violazione dell'art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (Cass., sez. lav., 7 febbraio 2023, n. 3692; cfr. ROSIELLO, TAMBASCO, Lo slc nella giurisprudenza di legittimità: nuovi sviluppi, ISL, 5/2023, p. 247-250; conf., di recente, Cass., sez. lav., 31 luglio 2023, n. 23216).

In particolare, si sta affermando sia nella giurisprudenza di legittimità sia in quella di merito (cfr. Trib. Torino, sez. lav., 17 agosto 2022, n. 908; Trib. Firenze, sez. lav., 13 luglio 2022) un consistente orientamento volto a valorizzare non tanto la condotta individuale del soggetto agente quanto i fattori organizzativi che, di norma, determinano le condotte medesime. Si tratta di un orientamento che, nel passaggio da una visione individualistica ad una concezione sistemica, ha quale fulcro l'analisi dei profili strutturali insiti nell'organizzazione dei fattori produttivi: in questa nuova e illuminante prospettiva, ecco che acquistano rilievo le disfunzioni organizzative sia rispetto alla prestazione lavorativa, nel duplice profilo quantitativo (es. superlavoro, usura psico-fisica) e qualitativo (es. dequalificazione, omessa organizzazione logistica degli spazi e degli strumenti di lavoro, mancata conciliazione vita-lavoro), sia nei rapporti interpersonali (violenze e molestie sul lavoro quali il mobbing, il  work stalking, il bullying, le molestie sessuali, le violenze fisiche etc.).

Lo stress lavorativo quale categoria “polifunzionale” (2), consente dunque la valorizzazione di una “prospettiva di progressiva rilevanza della dimensione organizzativa quale fattore di rischio per la salute dei lavoratori”, imponendo come prioritaria “l'obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro , che consente di configurare la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento -imputabile anche solo per colpa- che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale” (Cass., sez. lav., 15 novembre 2022, n. 33639). Ne deriva la configurabilità dell'inadempimento datoriale agli obblighi di appropriatezza nella gestione del personale, ai sensi dell'art. 2087 c.c., anche nel caso in cui si accerti obiettivamente la sussistenza di una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato”, tale da “provocare una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta a incidere sul suo (del lavoratore) diritto alla salute, costituzionalmente tutelato(Cass., sez. lav., 7 febbraio 2023, n. 3692, cit.).   

Se fino ad oggi l'analisi della giurisprudenza ha riguardato principalmente il profilo della gestione del rapporto di lavoro sul piano della responsabilità risarcitoria, l'ordinanza in esame si distingue per il fatto di trattare l'incidenza del contesto lavorativo stressogeno nell'ambito della cessazione del rapporto lavorativo determinato dal recesso datoriale per giusta causa, proponendo una soluzione ragionevole ed equilibrata, che giunge per questa via -per la prima volta, a quanto consta- alla pronuncia di annullamento

Non sono peraltro mancate in giurisprudenza, nel recente passato, pronunce di segno analogo che hanno posto l'attenzione sul contesto ambientale connotato da forte stress determinante le dimissioni del dipendente, addivenendo all'annullamento ai sensi dell'art. 428 c.c. (cfr. Cass 21 novembre 2018, n. 30126; conf. Cass., 9 giugno 2021, n. 16153; Cass., 6 settembre 2018, n. 21701; nel merito, App. Bari, sez. lav., 8 giugno 2007, n. 807). Così come, sempre di recente, la giurisprudenza di merito ha trattato anche il licenziamento datoriale, vagliandolo attraverso le lenti dello stress lavorativo, riconoscendo la legittimità del recesso per giusta causa dei dirigenti, responsabili e coordinatori che abbiano generato forti tensioni o un clima lavorativo teso e pesante, con ricadute negative nei rapporti tra lavoratori e lavoratrici “in termini di valenza pregiudizievole […] sulla serenità dell'ambiente di lavoro” (cfr. Trib. Roma, sez. lav., 1° giugno 2022, n. 5259; Trib. Reggio Emilia, sez. lav., 4 novembre 2016, n. 248).     

Note

(1) Si rimanda al commento di ROSIELLO, TAMBASCO, La lunga marcia dello stress lavoro-correlato nella giurisprudenza, in ISL,  2/2023, p. 77-80.

(2) Si veda ROSIELLO, TAMBASCO, Il danno da stress lavorativo: una categoria polifunzionale all'orizzonte? in IUS Lavoro, 8 novembre 2022; BIGHELLI, Condotte vessatorie di colleghi: anche se non si ravvisa il mobbing, vi è violazione dell'obbligo di tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore , in IUS Lavoro, 7 giugno 2023.

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