Riciclaggio e frode informatica

17 Ottobre 2023

La Suprema Corte è stata chiamata a risolvere la questione della qualificazione giuridica del delitto di riciclaggio distinguendolo dal concorso in frode informatica.

Massima

Integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, pur non avendo concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente al fine di impedire l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato realizzando il reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari.

Il caso

Con sentenza del 15 marzo 2022 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., si applicava la pena prevista dall'art. 648-bis c.p., rubricato Riciclaggio,  per cui è punito chi sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie, in relazione ad essi, altre operazioni al fine di impedire l'identificazione della loro provenienza delittuosa, nei confronti di soggetti che avevano messo a disposizione di altre persone il proprio conto corrente allo scopo di farvi transitare i profitti di una frode informatica.

Tuttavia, la condotta ascritta agli imputati consisteva nell'aver messo a disposizione il proprio conto corrente, al fine di farvi confluire il denaro proveniente dalle truffe perpetrate con il sistema del c.d. man in the middle. Integrando, tale comportamento, un elemento costitutivo della frode informatica - consentendo di perseguire l'ingiusto profitto -, si dava luogo ad impugnazione della decisione.

La questione

La Corte di cassazione, seconda sezione penale, si interrogava sull'ammissibilità dei ricorsi proposti deducendo una «Erronea qualificazione giuridica del fatto ex art. 448, ultimo comma, c.p.p. e art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. per la mancata riqualificazione nella fattispecie di cui all'art. 640-ter c.p.».

In altre parole, la Suprema Corte indagava se, nel caso di specie, si fosse configurato il delitto di riciclaggio e non, altresì, il concorso in frode informatica, partendo dalla distinzione del momento del consumo del reato, ovvero delle condotte dei soggetti agenti.

Al fine di risolvere la questione della qualificazione giuridica, si chiedeva se fosse adeguata l'applicazione della disciplina di cui all'art. 648-bis c.p.

Le soluzioni giuridiche

Per inquadrare la fattispecie, la Corte di cassazione sviluppava una risposta muovendo dal fatto, così come cristallizzatosi nel giudizio, con particolare riguardo alle modalità delle condotte, non contestate dai ricorrenti.

Difatti, secondo quanto emerso dalle imputazioni, «l'autore della frode informatica aveva già conseguito il profitto, con la percezione fraudolenta delle somme di denaro corrisposte dalle vittime di quel reato». Nello specifico, la percezione segnava il momento perfezionativo del reato con il conseguimento dell'ingiusto profitto, dunque l'ammontare veniva trasferito su tali conti correnti quando ormai il reato presupposto si era perfezionato, senza il contributo dei titolari dei conti stessi.

Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, si rendeva palese la distinzione dei momenti in cui si ponevano in essere le condotte.

In prima istanza, gli autori dei delitti presupposti avevano conseguito il profitto del reato da essi commesso in maniera autonoma; in seconda istanza, si ravvisava una successiva operazione concernente l'immissione del denaro sui conti correnti degli imputati.

Allo stato dei fatti, quest'ultima condotta risultava essere oggettivamente ulteriore e susseguente: difatti, realizzato solo una volta sorta l'esigenza di "ripulire" il denaro proveniente dal delitto di frode informatica, tale comportamento aveva lo scopo di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa. Dunque, mancando il concorso alla realizzazione del reato presupposto – come previsto dalla clausola di riserva –, il delitto era inquadrabile in una delle tipiche ipotesi previste dall'art. 648-bis c.p.

Alla luce di quanto esposto, non era ravvisabile la condotta del soggetto detentore del conto corrente nell'art. 640-ter c.p. che, rubricato Frode informatica, prevede la pena della reclusione nel massimo ad anni 3 a «chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o a esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Contrariamente, il reato ascritto era, per l'appunto, configurabile nell'art. 648-bis c.p.

Pertanto, la Suprema Corte stabiliva che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, pur non avendo concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente al fine di impedire l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato realizzando il reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari.

Da ciò la manifesta infondatezza dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende.

Osservazioni

L'importanza giurisprudenziale della sentenza è ravvisabile ponendo a confronto i due articoli del Codice penale in esame: la frode informatica di cui all'art. 640-ter c.p. e il reato di riciclaggio di cui all'art. 648-bis c.p. Difatti, nel secondo caso, la pena è assai più severa per il reo, dal momento che è prevista la reclusione nel massimo ad anni dodici.

Dunque, chiunque metta a disposizione il proprio conto corrente al fine di impedire l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, riceverà una sanzione fino a quattro volte più elevata.

La decisione presa dai Giudici risulta essere indiscutibilmente considerevole, poiché colpisce duramente l'apparato ben complesso del riciclaggio che, troppo spesso, lascia fuori dai propri confini condotte - come quella in esame - non soggette a pene dure e disincentivanti. Si pone l'accento sulla rilevanza di punire chi ostacola l'identificazione delle provenienze delittuose, soprattutto collegate a delitti informatici, noti per la facilità con i cui i soggetti attivi si muovono nel web protetti dell'anonimato.

Particolare attenzione viene posta, altresì, al fattore economico del fenomeno, sottolineando l'assenza di discrepanza tra il “lavaggio di denaro sporco” posto in essere dall'autore del reato presupposto e quello compiuto dal terzo: entrambi dannosi per l'intero sistema.

Tuttavia, il bene che si vuole tutelare non è solo il patrimonio, bensì è anche il bene dell'amministrazione della giustizia.

Per quanto concerne la clausola di riserva, che esclude la punibilità a titolo di riciclaggio di chi abbia commesso o concorso a commettere il reato presupposto da cui provengono il denaro, i beni o le altre utilità, essa costituisce una deroga al concorso di reati e trova la sua ragion d'essere nella originaria valutazione del Legislatore di ritenere sufficiente punire l'autore per aver commesso il delitto presupposto. Il motivo dell'utilizzo della clausola di riserva trova fondamento nella tesi secondo cui la pena del reato presupposto racchiude in sé la punizione, identificando le condotte successive di occultamento di denaro come una mera attività penalmente irrilevante.

Nel caso di specie, come già evidenziato, il GIP di Torino aveva applicato all'imputato la pena concordata per il delitto di riciclaggio, non essendo stato contestato il diverso delitto previsto e punito dall'art. 640-ter c.p.

Dal momento che la condotta degli imputati veniva inquadrata in una delle tipiche ipotesi dell'art. 648-bis c.p., sorta solo successivamente con l'esigenza di “ripulire” gli illeciti proventi, il Collegio del diritto ha dichiarato inammissibile il ricorso ed affermato il principio di diritto contenuto nei passaggi della sentenza che seguono: «Ebbene, dalle imputazioni emerge che l'autore della frode informatica aveva già conseguito il profitto, con la percezione fraudolenta delle somme di denaro corrisposte dalle vittime di quel reato. Vale rimarcare come la percezione delle somme per effetto della frode segna il momento perfezionativo del reato, con il conseguimento dell'ingiusto profitto. Tale dato vale a risaltare come le somme di denaro venivano trasferite sui conti correnti degli odierni ricorrenti, quando il reato presupposto si era ormai perfezionato, in via autonoma e senza il contributo dei titolari dei conti correnti costituenti i recipienti delle somme di denaro provento di delitto. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, dunque, gli autori dei delitti presupposti avevano autonomamente conseguito il profitto del loro reato, così che la successiva operazione di immissione del denaro sui conti correnti degli imputati è una condotta oggettivamente ulteriore e successiva, idonea a configurare il reato di riciclaggio, mancando il concorso alla realizzazione del reato presupposto, così come impone, in generale, la clausola di riserva prevista dall'art. 648-bis c.p. La loro condotta si colloca, invece, in un momento successivo, quando sorge l'esigenza di “ripulire” il denaro proveniente dal delitto di frode informatica, ostacolando l'identificazione della provenienza delittuosa del medesimo; con una condotta, dunque, esattamente inquadrabile in una delle tipiche ipotesi previste dall'art. 648-bis c.p. Va, dunque, affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari». 

Riferimenti

  • Azzellini G., Riciclaggio e frode informatica. Cass. Pen., Sez. II, 6 luglio 2023, n. 29346, in Antiriciclaggio & Compliance, 20 Settembre 2023;
  • Bussolati N., L'associazione per delinquere “informatica”, in Cadoppi A., Canestrari S., Manna A., Papa M., (diretto da), Cybercrime, Milano, 2023, 261 – 283;
  • Delitto di riciclaggio per messa a disposizione del conto corrente, in Non solo Diritto Bancario, 10 Luglio 2023;
  • Galante A., Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti, in Cadoppi A., Canestrari S., Manna A., Papa M., (diretto da), Cybercrime, Milano, 2023, 297 – 319;
  • Minicucci G., Le frodi informatiche, in Cadoppi A., Canestrari S., Manna A., Papa M., (diretto da), Cybercrime, Milano, 2023, 893 – 923;
  • Mongelli G., Romanazzi S., Il fenomeno del riciclaggio e il quadro normativo, in Dell'Atti S., Mongelli G. (a cura di), Il rischio del riciclaggio. Normativa, soggetti coinvolti e procedure sanzionatorie, Milano, 2022, 15 – 65;
  • Razzante R., Manuale di Cybersicurezza, Pisa, 2023;
  • Razzante R., Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, II ed., Torino, 2023;
  • Razzante R., Riciclaggio e reati connessi, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023;
  • Redazione Giurisprudenza Penale, Risponde di riciclaggio chi mette a disposizione il proprio conto corrente per farvi transitare il denaro ricavato, da altri, come profitto di frode informatica, in Giurisprudenza Penale, 7 Luglio 2023;
  • Urbani A., Supervisione bancaria e lotta al riciclaggio, in Di Brina L., Picchio Forlati M. L. (a cura di), Normativa antiriciclaggio e contrasto della criminalità economica, Milano, 2002, 101 – 170.

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