Il rigetto dell’istanza di dissequestro, reso dal G.u.p., è inoppugnabile

18 Ottobre 2023

Una decisione che non fa fino in fondo i conti col passato.

Massima

Il criterio ermeneutico della analogia incontra un limite invalicabile nel tenore letterale della legge, specie nella materia delle impugnazioni, dove vige il principio di tassatività dei mezzi di gravame.

Il caso

Il caso concreto, che è stata devoluto al Supremo Consesso dalla III Sezione Penale con la ordinanza di rimessione n. 33959 del 31.05.2022, può essere così sunteggiato (Cass. pen., sez. III, 31 maggio 2022, n. 33959). Nell'ambito di un procedimento penale inerente l'accertamento di fatti di reato sussumibili sotto l'art. 3 comma 1 nn. 2, 3, e 8 e sotto l'art. 4 n. 7 della legge n. 75/1958, il P.M. procedente disponeva con decreto la perquisizione locale e personale a carico degli indagati, oltreché il sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti che fossero affiorati, all'esito degli atti d'indagine disciplinati dagli artt. 249 e 250 c.p.p. La polizia giudiziaria, nel dare esecuzione al provvedimento del titolare dell'azione penale, assoggettava al vincolo reale di cui all'art. 253 c.p.p. un libretto di risparmio postale nominativo co-intestato all'imputata A. L. e alla di lei madre: figura quest'ultima estranea alla inchiesta. Il difensore della prevenuta, con apposita istanza, richiedeva al Giudice dell'Udienza Preliminare la restituzione del libretto. Il PM non avrebbe infatti convalidato il sequestro eseguito dalla P.G. all'uopo delegata, nonostante il decreto di perquisizione e sequestro fosse generico quanto alla indicazione delle cose da ricercare e assoggettare al vincolo disciplinato dall'art. 253 c.p.p. Le somme di denaro oggetto della misura ablatoria, sostanziando le mensilità percepite dalla madre della imputata a titolo pensionistico, avrebbero avuto origine lecita. E inoltre, gli assegni pensionistici non potevano essere pignorati. L'organo giudicante adito, esaminata la istanza, si risolveva per il suo rigetto. Il legale di A.L., nell'impugnare il provvedimento del Giudice dell'Udienza Preliminare, interponeva l'appello cautelare regolato dall'art. 322-bis c.p.p. Il Tribunale di Bari, riqualificato l'appello cautelare in ricorso in Cassazione, investiva della impugnativa proposta la Corte di legittimità. La III Sezione, assegnataria del ricorso, rilevato il contrasto giurisprudenziale delineatosi rispetto alla individuazione del mezzo di gravame da proporre avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di dissequestro dell'istanza di dissequestro, rimetteva la trattazione dell'impugnativa al Supremo Consesso.

La questione

La Corte di legittimità nella sua composizione più autorevole, con la sentenza meglio indicata in epigrafe, è stata chiamata a decidere «se a fronte di istanza di revoca del sequestro probatorio promossa nel corso dell'udienza preliminare, il provvedimento di rigetto emesso dal Giudice dell'udienza preliminare sia impugnabile con ricorso per cassazione oppure mediante appello dinanzi al tribunale del riesame».

Le soluzioni giuridiche

Prima di sciogliere la questione di diritto oggetto di scrutinio, le Sezioni Unite hanno ricostruito la giurisprudenza di legittimità che negli ultimi venticinque anni si è interessata alla materia afferente alla impugnabilità dell'ordinanza reiettiva dell'istanza di revoca del sequestro probatorio resa in sede di udienza preliminare. Secondo un primo indirizzo interpretativo, tale provvedimento giurisdizionale non poteva formare oggetto di impugnazione (Cass. pen., sez. II, 30 settembre 1997, n. 5163, Pietrobono). Nessuna disposizione codicistica ne prevedeva infatti l'assoggettabilità a gravame. Né il disconoscimento del diritto all'impugnativa avrebbe determinato una lesione irreparabile delle prerogative difensive facenti capo al singolo interessato, considerato che la medesima istanza restitutoria, che era stata rigettata nel corso del segmento procedimentale disciplinato dagli artt. 420 ss. c.p.p., ben poteva essere reiterata dinanzi ad un diverso organo giudicante. A lungo, la Corte di legittimità si è attestata in maniera uniforme su questa posizione. Poi, d'un tratto, il quadro è mutato.                                                                                                 

La sentenza ora in commento, a ben vedere, non ha disvelato le premesse storiche al sovvertimento del panorama giurisprudenziale, che si era venuto a profilare. Con la presente nota, sembra dunque opportuno supplire al silenzio che il Supremo Consesso ha serbato sul punto. Come è noto, l'art. 586 c.p.p. prescrive che l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza. Come è altresì noto, il terzo interessato, non rivestendo la veste di parte, non è legittimato ad avversare il provvedimento decisorio che definisce il primo grado di giudizio. Come è pure noto, l'art. 263 comma 6 c.p.p. prevede che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ogni questione inerente la restituzione delle cose sottoposte a sequestro probatorio debba essere devoluta al giudice dell'esecuzione. Il rispetto rigoroso di queste plurime disposizioni importava che l'interessato diverso dall'imputato, che aveva subito il rigetto della istanza di revoca del sequestro probatorio nel corso della fase dibattimentale, rimanesse sprovvisto della men che minima tutela processuale, finquando il giudizio non fosse stato definito da una sentenza irrevocabile: momento, superato il quale la domanda restitutoria, che era stata respinta in dibattimento, ben poteva essere riproposta dinanzi al giudice dell'esecuzione. La compressione del diritto di difesa e del diritto di proprietà, di cui era titolare il terzo interessato, era obiettivamente insostenibile. La giurisprudenza di legittimità veniva così chiamata ad ovviare a questa situazione oltremodo penalizzante. Secondo un duplice arresto giurisprudenziale, ogniqualvolta l'ordinamento processualpenalistico manifesti una lacuna normativa, tale da menomare una prerogativa costituzionalmente garantita, è ben possibile fare ricorso all'interpretazione estensiva o addirittura alla analogia (Cass. pen., sez. I, 24 giugno 1992, n. 2958, Romeo, Cass. pen., sez. I, 6 luglio 1992, n. 3239, Barbaro).         Nel caso in esame, l'inoppugnabilità della ordinanza reiettiva dell'istanza di dissequestro resa in sede dibattimentale decretava per il terzo una grave frustrazione del diritto di difesa previsto dall'art 24 Cost e del diritto di proprietà riconosciuto dall'art. 42 Cost. e dall'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU. Con la ordinanza n. 4554/2007, la III Sezione Penale, facendo ricorso all'interpretazione analogica, si determinava quindi nel senso che il terzo interessato avrebbe potuto avversare, con l'appello cautelare disciplinato dall'art 322-bis c.p.p., il provvedimento di rigetto emesso dal giudice del dibattimento (Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2007, (dep. 29 gennaio 2008), n. 4554).                    Come era parsa ingiustificata la limitazione del diritto di difesa e del diritto di proprietà del terzo interessato, che aveva subito il rigetto della propria istanza di dissequestro nel corso del giudizio, d'improvviso, non sembrava più accettabile neppure l'inoppugnabilità del provvedimento reiettivo della domanda di revoca del sequestro probatorio adottato dal Giudice dell'Udienza Preliminare. Si argomentava infatti che, ogniqualvolta l'istanza restitutoria fosse stata dettata da ragioni di urgenza, la stretta osservanza del dettato normativo, che subordinava la riproposizione della domanda alla definizione della udienza preliminare, avrebbe irreparabilmente compromesso il diritto di difesa e il diritto di proprietà dell'interessato: fosse costui l'imputato o un terzo estraneo al procedimento. Sulla scorta di questo rilievo, la giurisprudenza di legittimità si risolveva univocamente per la assoggettabilità a gravame della ordinanza di rigetto della istanza di restituzione delle cose sequestrate resa nel segmento processuale regolato dagli artt. 420 ss. c.p.p.

La Corte di cassazione, di contro, si divideva nella indicazione del mezzo di impugnazione da esperire avverso un simile provvedimento giurisdizionale. Due distinti ragionamenti analogici conducevano infatti a conclusioni divergenti sul punto.                                                                                                                                      

Secondo un primo indirizzo interpretativo, alla stessa stregua della ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, a fronte della opposizione al decreto di rigetto della istanza di dissequestro reso dal P.M., il provvedimento del Giudice dell'Udienza Preliminare era direttamente ricorribile in Cassazione. Non foss'altro perché ambedue le ordinanze venivano adottate, all'esito di una camera di consiglio partecipata (Cass. pen., sez. V, 18 giugno 2009, n. 33695, Basso; Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2015, n. 11489, Gazzola).  

In conformità ad un diverso orientamento giurisprudenziale, viceversa, il provvedimento reiettivo dell'istanza di revoca del sequestro probatorio adottato dal GUP, al pari della ordinanza di rigetto della domanda di restituzione delle cose sottoposte a sequestro preventivo resa nel medesimo segmento processuale, doveva formare oggetto dell'appello cautelare disciplinato dall'art. 322-bis c.p.p. (Cass. pen., sez. VI, 29 ottobre 2019, n. 46141, Delli Carpini, Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 2021, (dep. 27 gennaio 2022), n. 3167, Sidoti). La tesi in oggetto, a ben vedere, poggiava sul fatto che tra il mezzo di ricerca della prova regolato dall'art. 253 c.p.p. e la misura cautelare reale normata dall'art 321 c.p.p. esistevano una pluralità di affinità.

In maggiore dettaglio. Il provvedimento genetico di ambedue le misure ablatorie poteva essere impugnato, proponendo la richiesta del riesame.                                                                                                                                                   

E ancora.        

Il vincolo di indisponibilità che scaturiva dall'applicazione del sequestro probatorio o del sequestro preventivo, all'atto pratico, si rivelava assolutamente identico. Con la conseguenza che la compressione del diritto di proprietà dell'imputato o del terzo interessato risultava immutata, nell'un caso e nell'altro. Il Supremo Consesso, dopo aver illustrato i tre differenti indirizzi interpretativi che si erano succeduti nella regolamentazione della materia inerente la impugnabilità della ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca del sequestro probatorio resa dal Giudice dell'Udienza Preliminare, ha stabilito che tale provvedimento giurisdizionale non può formare oggetto di gravame. Le Sezioni Unite, nel recuperare il primo filone giurisprudenziale che per anni era stato accantonato, hanno così motivato la propria decisione, indubbiamente sorprendente. La interpretazione analogica conosce un limite invalicabile nella lettera della legge. Il combinato disposto di cui agli artt. 263 comma 5 e 127 comma 7 c.p.p. non contempla la ricorribilità in Cassazione dell'ordinanza reiettiva dell'istanza di revoca del sequestro probatorio emessa dal Giudice dell'Udienza Preliminare. L'art. 322-bis c.p.p., per parte sua, non prevede che il provvedimento del GUP in questione possa formare oggetto di appello cautelare. Ne discende che alcun atto di gravame può avversare l'ordinanza reiettiva dell'istanza di restituzione delle cose sottoposte a sequestro probatorio resa nel corso udienza preliminare.

Osservazioni

Si può discutere a lungo sulla bontà della statuizione sottesa al provvedimento ora in esame. Altrettanto non può però assumersi rispetto al suo impianto motivazionale. L'apparato logico argomentativo, su cui si fonda la sentenza in nota, risulta affetto da una macroscopica illogicità per contraddittorietà intra-testuale: il Supremo Consesso, in un primo momento rileva che «La lettera della legge non impedisce interpretazioni analogiche»; a distanza di poche righe, afferma invece che «L'interpretazione analogica o estensiva non può prescindere dalla lettera della legge». Ma soprattutto. Il vizio della motivazione appena denunciato tradisce la consumazione di un errore diverso ed ultroneo: la indebita assimilazione operata tra la interpretazione estensiva e l'analogia. L'interpretazione estensiva muove nel solco disegnato dal tenore letterale della previsione di volta in volta in rilievo. L'analogia, di converso, volge a integrare i contenuti della singola previsione oggetto di scrutinio, nell'intento di colmare una lacuna dell'ordinamento. Di riflesso, la interpretazione estensiva non può che essere rispettosa della lettera della legge, per come cristallizzata in un testo normativo, all'esatto opposto dell'analogia che è ontologicamente preordinata a trascendere, e dunque a forzare, il tenore letterale di qualunque disposizione legislativa. A ben vedere, il Supremo Consesso sarebbe potuto giungere a conclusioni similari, impostando un diverso tipo di ragionamento, di gran lunga più lineare. La materia delle impugnazioni è informata al principio di tassatività dei mezzi di gravame. Lo si evince chiaramente dalla lettura dell'art. 568 comma 1 c.p.p. Il corollario di un simile postulato si risolve nel divieto di analogia. Sulla scorta di questo duplice rilievo, è di palmare evidenza che alcun provvedimento giurisdizionale può essere avversato, se una disposizione codicistica non ne ammette espressamente l'impugnazione, con l'indicazione dell'apposito atto di gravame da esperire allo scopo. In ogni caso, al di là della condivisibilità o meno del percorso logico giuridico adottato, la statuizione sottesa al pronunciamento ora in esame lascia più di qualche perplessità. Stando agli insegnamenti giurisprudenziali impartiti dal Supremo Consesso, l'analogia non può supplire al silenzio serbato dalla legge circa l'impugnabilità dell'ordinanza reiettiva dell'istanza di revoca del sequestro probatorio resa dal Giudice dell'Udienza Preliminare. Questo principio di diritto, per ragioni sistematiche, non può che essere mutuato pure rispetto al provvedimento di rigetto della domanda di restituzione delle cose sottoposte a sequestro probatorio adottato nel corso del dibattimento. Con la conseguenza che l'interessato, che non ricopre la veste processuale di parte, deve tornare ad attendere il passaggio in giudicato della sentenza, per poter reiterare la propria istanza dinanzi al giudice dell'esecuzione, in conformità all'art. 263 comma 6 c.p.p. Come in passato, ancora oggi, tale soluzione appare eccessivamente penalizzante per le prerogative costituzionalmente garantite dall'art. 24 Cost. e dall'art. 42 Cost. che fanno capo al terzo. D'altro lato, è d'obbligo riconoscere che il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione e il relativo corollario, che si sostanzia nel divieto di analogia, costituiscono effettivamente due assi portanti dell'intero sistema processualpenalistico. Per coniugare l'osservanza dei diritti costituzionalmente tutelati con il rispetto del principio di tassatività dei mezzi di gravame, sembra dunque che le Sezioni Unite avrebbero potuto e dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 322-bis c.p.p., in riferimento agli artt. 3,24,42 e 117 Cost., nella parte in cui tale disposizione non prevede che l'imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possano proporre appello pure contro le ordinanze emesse in materia di sequestro probatorio. 

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